Una bella poesia!
Mi piacerebbe molto provare a capirne il significato… a coglierne l'essenza (come si usa dire), tanto quella espressiva, quanto quella dell'animo dell'uomo che l'ha composta.
E' solo un misero tentativo, il mio.
Ho, però, la necessità di ottenere alcune conferme. Vorrei capire se nella trascrizione è stato omesso qualche segno di punteggiatura.
Antonio, aiutami un po’, fuga i miei dubbi; confermami il verso che segue:
Citazione:
"di tanto in tanto (,) quest'anno si guarda intorno ed urla
si guarda intorno e poi, di colpo, si ferma impietrito(a)"
|
Chi è il soggetto che 'si guarda intorno ed urla'? Chi compie l'azione, la Morte? Allora impietrita; 'quest'anno'? Allora la virgola.
In attesa dei chiarimenti, provo comunque a 'leggere' il significato e, contemporaneamente, anche la passione, le emozioni dell'autore.
Impresa ardua; la poesia è troppo bella per rischiare di stravolgerne il messaggio; nell'eventualità, il suo autore saprebbe… saprà perdonarmi? Penso, credo di sì!
E' una poesia triste… considerazione alquanto scontata, non poteva essere altrimenti, visto il contesto. L'autore si guarda intorno ed osserva la Natura. Il suo è uno sguardo lucido, indagatore, privo di estasi. Egli attende la propria morte, senza timore, quasi con distaccata indifferenza e sente il dolore della Natura (il mondo, il Tempo). Prova meraviglia nel trovarsi, nonostante tutto, ancora in vita. Questa meraviglia, che emerge dall'osservazione di una Natura dolente e rabbiosa, stride col sentore di morte che avverte nelle cose che lo circondano. La Natura, l'oggetto osservato e agente, che si ribella, che aggredisce, trasuda sofferenza. Già da subito la Morte irrompe sul proscenio; è fredda, calcolatrice, non furiosa o irosa; calma, meticolosa, cerca le vittime da ghermire (non capisco il perché tutto sia velato di bianco; forse per celare i colori del mondo, per non lasciare spazio alla lirica). E' una Morte attenta, non colpisce a caso, opera con estrema cura… vuole lui.
Nella strofa che segue non comprendo bene se chi 'si guarda intorno' sia la Morte o 'quest'anno'… insomma, la virgola c'è o no? Propenderei, comunque, per attribuire l'azione di urlare a 'quest'anno', al Tempo. Diversamente le considerazioni da fare sarebbero altre, ben più terrificanti (io guardo con connaturato ottimismo… per cui, chi urla è il Tempo, la Storia). Potrebbe essere lo sguardo di un'era, un'epoca, di un momento storico sofferente che osserva se stesso ed intravede l'inverno che si approssima; un inverno che preannuncia nuovi e più tremendi tormenti, che è causa d'angoscia… privo di speranza? Oppure, pieno di una 'speranza conseguente' che nasce dalla visione dell'orrido?
Poi, l'uomo si volge e riprende a scrutare sé stesso, immerso nel mondo. Vede il sangue che scorre e le tenebre del Tempo che, per mezzo del vento, pare scrivano un nefasto messaggio sulla neve.
La strofa successiva, forse la più bella, è anche quella che presenta maggiori difficoltà di decodifica (si sa, le cose più sono contorte e più intrigano e piacciono). Parla di pesantezza, di silenzio, evoca, quasi, funerei paesaggi connessi alla morte, per poi, in un rocambolesco rapporto dialettico, quasi in un sogno melanconico, l'uomo si ritrae in sé stesso, riconducendoci ad una visione dell'esistenza prenatale, che, nella nostra cultura, rappresenta una condizione dell'essere semi idilliaca… un tiepido silenzioso abbraccio l'avvolge; il frastuono del vivere è stemperato… sembra un riposo, un voler riconquistare sé stesso, un'estraniazione dal mondo e da ciò che l'affligge.
E' solo un attimo, un momento; la realtà riprende il sopravvento; l'urlo della Natura profanata, la sua dolorosa rabbia, la sua ribellione, sembra vogliano ghermire e sopraffare l'uomo (umanità)… artefice del dramma. L'identificazione operata dall'autore fra la Natura e la Morte sembra evidente… un'alleanza inedita, potentissima, distruttiva (Cecil amerebbe questa poesia… forse). Una Natura antropomorfizzata (sic!) che, ferita, diviene nemica dell'uomo. Incute terrore, eppure, lui, stanco, sfinito, spossato, non teme. Resta attonito e silenzioso, quasi rassegnato ma mai dimentico di quel che intorno accade… vuole essere presente; vivere fino in fondo il dramma che l'attende. Egli è immerso in questo dolore e, nell'atto consueto e banale di accendersi, con meticolosa cura (la quotidianità), una sigaretta, si accorge di essere vivo. Percepisce che anche ciò che sperimenta in quel momento drammatico, tragico, tremendo, è vita.
E' la poesia di un uomo solo, sfinito, che aspetta il riposo, lo immagina e rifiuta di arrendersi, ma non lotta. Grandiosa l'intuizione (sempre che io abbia saputo ben interpretare… altrimenti, pazienza, ci ho solo provato) di far emergere la sofferenza attraverso il 'dialogo' fra l'animo dell'uomo, le sue sensazioni, il suo sentire e il 'pianto' dolente e rabbioso della Natura. Poco spazio alla speranza; una lucida esplorazione del mondo circostante in un'ambientazione tragica. Uno scenario poco idilliaco che non lascia alcuno spazio alla liricità, che non vede i colori della Natura. Il titolo è già una sintesi del dramma che si consuma sotto i nostri occhi. Il cielo… spazi liberi, in cui lo spirito e l'immaginazione navigano liberi… reso schiumoso, forse scivoloso che nasconde tutto, che non lascia intravedere o anche solo intuire questi immensi spazi… un cielo che opprime… c'è del 'sano' dolore… sicuramente un uomo che ha sofferto nell'animo… ma un uomo che, malgrado tutto, riesce a scoprirsi vivo.
Antonio, è vero, questo testo stimola la discussione… dai suoi versi si può prendere spunto per parlare di molte cose…
Ciao!