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PER LA CULTURA da Marino Freschi
A ELFRIEDE JELINEK IL NOBEL PER LA LETTERATURA
Molti pensavano che era venuto il momento degli olandesi, sempre più emergenti nella letteratura europea. Ma tante voci invocavano di nuovo il Nobel per una donna. Era dal 1996 che non veniva più premiata una scrittrice, mentre l’universo della scrittura si colora sempre più di rosa. Di rosa, si fa per dire perché Elfriede Jelinek, la scrittrice che ha ricevuto il massimo riconoscimento letterario del mondo, è un’autrice dalla scrittura dura, impietosa, provocatoria, sconvolgente, eppure sempre elegante,sempre viennesamente fluida e coinvolgente. Jelinek nasce già in una cosmo contraddittorio: il padre, morto nel 1968, era un ingegnere di origine ceca e di ascendenza ebraica, la madre partecipa dell’alta borghesia viennese, pervasa di cultura musicale, cui aveva destinato questa figlia ben presto ribelle, che scriverà così intensamente sul rapporto amaro e doloroso che troppo spesso connota il rapporto tra madre e figlia. Se Vienna è la città di Freud, della psicoanalisi e dell’investigazione del complesso di Edipo, dell’ossessivo, castrante autoritarismo paterno, Vienna è anche la città spirituale di Elfriede e della sua spietata perlustrazione del rapporto sado-maso che lega e soffoca la figlia alla madre. Questo tema affiora angosciante e travolgente in quello che può ancor oggi essere considerato il suo capolavoro, La pianista (Einaudi) del 1983, da cui il regista Michael Haneke ha tratto l’omonimo film, con Isabel Huppert nel ruolo della protagonista, che nel 2001 ebbe la Palma d’Oro a Cannes. Dunque una letteratura di denuncia e di protesta, che rivela la tempra da lottatrice della scrittrice che dal 1974 al 1991 milita nelle esigue file del Partito Comunista Austriaco, un movimento d’élite intellettuale, che raccoglieva numerosi artisti e intellettuali. Ma l’ex allieva delle suore dell’esclusivo collegio viennese Notre Dame de Sion, la giovane destinata alla musica, non perde alcun elemento della sua ricca e variegata tradizione culturale. Dal padre lei riconosce di aver mutuato quella peculiare sensibilità ebraica verso al lingua come pure verso quelle armonie sotterranee di stile che s’intrecciano misteriosamente nel suo palinsesto poetico e letterario.Ed è proprio questa fedeltà al grande stile che affiora nella motivazione del conferimento del Nobel. Elfriede Jelinek nasce in un piccolo centro della Stiria, per noi quasi impronunciabile, a Mürzzuschlag il venti ottobre 1946. E scoperta – e affermata contro al madre, ma anche contro il padre - la sua vocazione letteraria partecipa al Gruppo di Graz con Peter Handke (1942) e Barbara Frischmuth (1941), ne è la recluta più giovane. L’uggioso capoluogo di provincia diventa il centro di un fervore artistico, poetico e teatrale che cambierà la fisionomia della letteratura tedesca dopo la crisi del Gruppo 47 per affermare una strana, esplosiva miscela di una scrittura ribelle, anarchica, fortemente iconoclastica e dissacrante, ma con una segreta fascinazione per la grande scritture. Per Handke il percorso letterario sarà sempre più verso una scrittura sollevata dalla conflittualità sociale, intimamente autoreferenziale, mentre la Jelinek è troppo donna per non avere sempre viva in lei al verità cui era pervenuta con il suo splendido libro porno-antiporno Le amanti del 1975 (pubblicato nel 1992 nella “Biblioteca dell’eros” di ES nella perfetta traduzione di Valeria Bazzicalupo, una napoletana che è anche delle migliori traduttrici italiane): “se qualcuno ha un destino, è un uomo, se qualcuno riceve un destino, è una donna”. Quindi di pornografia allegra e ludica non c’è alcuna traccia; il sesso è denuncia e amarezza, violenza e brutalità, è il paradigma dell’oppressione maschile e maschlista, aggravata da una tradizione che la Jelinek (come Bernhard e la Bachmann) . Una letteratura d’accusa e un’esperienza di estrema eleganza: ecco il segreto dell’universo letterario di questa che è una delel più autentiche voci dell’universo letterariocontemporaneo.
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