L'interpretazione dei sogni
"In questo momento - scriveva Freud pochi mesi dopo l'uscita del suo libro, il 1° febbraio 1900 - io non sono affatto uno scienziato né un osservatore né uno sperimentatore né un pensatore. Non sono niente altro, per temperamento, che un conquistador, un avventuriero se vuoi tradurre così, con tutta la curiosità, l'ardimento e la tenacia caratteristiche di un uomo di tale specie".
Era, d'altronde, necessario un simile temperamento per infliggere l'ultima - la più "scottante" - mortificazione alla "megalomania dell'uomo": dopo che Copernico lo aveva costretto a prendere atto di non essere il signore dell'universo e Darwin di non essere al centro della natura, la psicoanalisi - diceva Freud per spiegare le "resistenze" che aveva suscitato il suo lavoro - gli ha tolto anche la signoria su se stesso, ha ridotto la coscienza a una sottile pellicola, l'io a una zona continuamente minacciata e di cui bisogna sforzarsi di difendere e, se possibile, di estendere il dominio. Wo es war, voll ich werden (Dove c'era l'es, deve subentrare l'io) dirà Freud chiudendo la trentunesima delle sue lezioni introduttive, E in effetti la sua opera presuppone un drastico decentramento: "qualcosa", un'istanza, l'io, che poteva avere contorni indefiniti, che poteva nel corso dei secoli avere mutato fisionomia, e che nondimeno era stato costantemente identificato grazie al suo essere "al centro, alla base", veniva sospinto ora alla periferia, riceveva una notifica di sfratto non meno perentoria di quella che gli era stata comunicata una trentina di anni prima da Rimbaud con la sua "formula folgorante: Je est un autre", a dimostrazione, secondo Lacan, del fatto che "i poeti spesso non sanno quello che dicono e tuttavia lo dicono prima degli altri".
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