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Le finestre dell'anima di Guido Brunetti

Le Finestre dell'Anima

di Guido Brunetti   indice articoli

 

Alla scoperta degli stati d'animo soggettivi.

Storia dolente ma a lieto fine del cucciolo Kimi.

Stati d’animo, emozioni, sentimenti, coscienza e autocoscienza, morale, empatia ed altruismo negli esseri umani e negli animali.

Ottobre 2012

 

 

Chi salva una vita salva il mondo intero.
(Bibbia)

 

Il senso morale o coscienza è il più nobile di tutti gli attributi

dell’uomo e lo spinge senza la minima esitazione a rischiare la
propria vita per quella del suo simile, o spinto dal profondo senso
del diritto o della giustizia, a sacrificarla per qualche grande causa.

(C. Darwin)

La mente, chiamata anche anima, spirito o psiche, da sempre pervasa di valenze soprannaturali, è una proprietà misteriosa, enigmatica e affascinante dell’ essere umano. Che si è venuta formando attraverso uno straordinario e complesso percorso evolutivo di miliardi di anni. Funzioni mentali si trovano - come mostrano le ricerche e gli esperimenti scientifici - nel feto e nel neonato, negli animali, dal più semplice ai primati, e nelle fasi dell’ ominazione.

A cominciare dal periodo fetale, il cervello riceve stimoli per mezzo di una complessa interazione tra fattori genetici ed esperenziali, tra innatismo e condizioni di vita, tra biologia e ambiente socio- culturale. E’ l’ aspetto più singolare e caratteristico delle menti.

 

Il cervello è l’ organo che ci distingue dalle altre specie. A renderci diversi - scrive P.T. Rakic - “non è la forza dei nostri muscoli o delle nostre ossa, è il nostro cervello”. Un fantastico cervello costituito da circa 100 miliardi di neuroni, numero che corrisponde a 15 volte la popolazione terrestre. Ogni neurone stabilisce un contatto con altre 10 mila cellule nervose attraverso 500.000 miliardi di sinapsi.

La nostra è la sola specie che si sia mai occupata di studiare se stessa. Il cervello che studia il cervello. La persona umana poi ha un linguaggio, un’ ideazione simbolica, un pensiero astratto, la capacità di apprendere, ricordare e acquisire cognizioni, creando sempre nuovi pensieri e nuove emozioni.

Tutto ciò è scritto nel complesso dei geni. I quali contengono le istruzioni per crescere, mantenersi in vita e generare.

 

Negli ultimi anni, abbiamo appreso sulla mente e il cervello più che nei precedenti 5 mila. Eppure, conosciamo soltanto una minima percentuale dei loro meccanismi, e ci sono aspetti, in particolare alcuni disturbi e patologie, di cui non sappiamo quasi nulla.

Le neuroscienze sono impegnate a conoscere i correlati neurali della mente e della coscienza. Credere però di arrivare a capirle del tutto “assomiglia - ha dichiarato Levi Montalcini - al tentativo di chi volesse sollevarsi da terra tirando le proprie bretelle”.

 

Il cervello esprime una combinazione di eventi meravigliosi e di fatti disumani, malvagi e orribili. Il paradiso e l’ inferno - ha scritto lo scienziato E. Wilson - “li creiamo noi su questa terra”. In realtà, il cervello è cresciuto secondo spinte evoluzionistiche “casuali” ed è difficile, secondo alcuni autorevoli neuro scienziati, vedervi un “senso”. Arthur Koestler ha sostenuto che l’ uomo è un “errore dell’evoluzione”, perché la neocorteccia è cresciuta sopra il cervello del serpente (cervello rettiliano: istinti, aggressività, violenza, impulsi) senza modificarlo e addomesticarlo.

Questo errore sembra una costante dell’ evoluzione. Nel cervello del topo si ritrova, per esempio, quello della lucertola. Nel cervello umano appare chiara la presenza di Apollo e di Dioniso, di Eros e Thanatos, una “schizofrenia perenne”. Che porta al suo interno, come tutte le pazzie, il germe della distruzione e dell’ autodistruzione.

 

Non siamo ancora in grado, a causa della scarsità delle nostre conoscenze sul cervello e la mente, di spiegare in termini oggettivi e causali la coscienza in tutte le sue forme e varietà (Searle). Alcuni autori hanno messo in discussione la “possibilità” di giungere a conoscere il cervello, la mente e la coscienza, in ragione soprattutto della soggettività della nostra coscienza, che non ci consente di “identificare” la relazione che essa intrattiene con le proprie basi materiali.

La coscienza è formata di stati soggettivi, che i neuro scienziati chiamano qualia, esperienze personali e soggettive, emozioni, sentimenti e sensazioni. Sono stati fenomenici - come le cose ci sembrano (per esempio l’ “essere rosso” di un oggetto rosso). Sapremo mai che significa la rossità del rosso?

La coscienza si basa dunque su eventi che appartengono alla storia privata, all’ esperienza diretta di un soggetto. Questo fatto rende difficile lo studio scientifico della coscienza e della mente. Ciò che un individuo sperimenta “in modo diretto” non può essere condiviso (valutato) da un altro individuo che funga da osservatore.

Un individuo può comunicare il proprio stato soggettivo - quale- , ma tale resoconto è sempre parziale, impreciso e legato alla situazione personale del soggetto. Lo scienziato pertanto non dispone di dati oggettivi o causali, cioè di controlli sperimentali. Appare chiaro il limite dell’ indagine scientifica: le forme (biologiche) che conducono alla coscienza sono uniche per ogni individuo, uniche e irripetibili, essendo legate a quel particolare corpo e alla particolare storia di quel soggetto.

In sostanza, i qualia riflettono la capacità di un individuo cosciente di operare discriminazioni. Il neuro scienziato Edelman cita l’ esempio di un animale dotato di coscienza primaria che vaga per la giungla al crepuscolo. Accortosi di alcuni rumori insoliti e del cambiamento del vento, d’ un tratto si allontana di corsa. E’ bastato all’ animale dotato di coscienza un insieme di eventi simili accompagnati da una precedente esperienza, in cui all’ improvviso era comparsa una tigre, per avere una reazione causale. E per “discriminare e pianificare” le proprie strategie comportamentali.

 

Stati soggettivi, cervello, mente, anima: sono concetti complessi, sfuggenti e addirittura inafferrabili. Per non parlare dell’ anima di un pipistrello. Che cosa si prova cioè a essere un individuo cosciente di una particolare specie? Un autorevole studioso, Thomas Nagel, si chiede ad esempio se potremo mai sapere “Che cosa vuol dire essere un pipistrello”. Come dire, indicare, comprendere e manifestare la “sensazione” dell’ esperienza (soggettiva) della coscienza, “che cosa si prova a essere un pipistrello”.

Per quanto si possa conoscere la neuroanatomia del cervello del pipistrello o la neurofisiologia dei suoi organi di senso, non si potrà mai sapere - rileva Nagel - qual è la sensazione soggettiva di essere un pipistrello, un lombrico o un cucciolo di cane. Non è possibile derivare la sensazione soggettiva di essere un pipistrello dall’ esame del suo sistema nervoso.

Mi sono precluse le sensazioni soggettive di un’ altra persona. Ma mi è precluso anche il mio stesso mondo interiore. Non sapremo mai che colore, che sapore, che stato affettivo ed emotivo caratterizzano quello specifico stato di coscienza (Boncinelli).

 

La conclusione è che i fenomeni della coscienza e della mente non potranno mai essere spiegati in termini di processi neurali, che abbiano cioè una base fisica e materiale. Questo non significa che un domani si possa arrivare a comprendere l’ origine della coscienza a partire dalle neuroscienze.

 

E’ la grande, affascinante sfida che tutta una schiera di neuro scienziati sta in ogni parte del mondo affrontando. Progressi fenomenali già sono stati compiuti a cominciare dalle formidabili ricerche di Kandel ed Edelman, i quali sono convinti che sia possibile sottoporre la mente e la coscienza a indagine scientifica. Si tratta di rispondere a questo interrogativo: come fanno le scariche dei neuroni a dare origine a sensazioni, emozioni e pensieri soggettivi? Sono domini divergenti, tanto che alcuni scienziati li giudicano inconciliabili.

Una teoria della coscienza deve essere basata sul cervello e dovrebbe fornire “una spiegazione causale” delle sue proprietà (Edelman). Per sviluppare questo modello, si deve conoscere come funziona il cervello tanto da riuscire a comprendere i fenomeni che danno origine alla coscienza, come la percezione e la memoria. Ciò significa che si devono “scoprire i correlati neurali della coscienza”, la “connessione tra cervello e mente, tra neuroni, pensiero e coscienza”. Di modo che - precisa Edelman - si possano “comprendere le proprietà dell’ uno in funzione di eventi che si verificano nell’ altro”.

 

Gli stati soggettivi, le esperienze della coscienza, comprendono due aspetti: primo, siamo coscienti del nostro ambiente. Fatto che si ritrova in ogni organismo vivente: anche un organismo unicellulare si muove verso il cibo e si allontana dalla sostanze velenose. Sa dunque cosa si trova nell’ ambiente. In secondo luogo, vi è la coscienza di sé. Che non è una caratteristica esclusiva dell’ essere umano, e che si può accertare negli animali e nei bambini con la prova dello specchio.

La coscienza di sé appare sviluppata - osserva Swaab - in tutta una serie di animali: alcuni scimpanzé, orangutan, gorilla, gazza e l’elefante asiatico si riconoscono alla specchio. Un delfino attraverso lo specchio si accorge se gli è stato apposto un contrassegno sul corpo.

Gli animali e gli esseri umani si comportano in modo simile quando sono emotivamente attivati. I ratti e le persone per esempio esprimono reazioni di paura simili in situazioni di pericolo. E’ possibile che esperiscano anche i medesimi stati soggettivi.

 

In realtà, gli studi sugli animali rappresentano il miglior modo di esaminare e comprendere il cervello. Il comportamento non verbale costituisce il principale strumento di valutazione degli stati emotivi e dei sentimenti negli animali.

Va da sé che gli esseri umani dispongono di una coscienza di altro tipo rispetto a quella degli animali a causa dell’ influsso enorme del linguaggio (Dennett). Si tratta di un “diverso grado” di coscienza. Il grado di coscienza di un cane che riconosce la propria urina da quella di un altro cane è ovviamente diverso rispetto agli organismi che superano la prova dello specchio. Ma anche nel cane - precisa lo scienziato Swaab - “è presente un certo grado di autocoscienza”. Con il termine autocoscienza intendiamo la consapevolezza di sé, della propria interiorità e della propria posizione nel mondo. Stiamo parlando della coscienza di ordine superiore, che è la capacità di essere coscienti di essere coscienti. Definiamo la coscienza – o coscienza primaria - come la consapevolezza delle cose del mondo. Le aree del cervello essenziali per la coscienza sono la corteccia cerebrale, il talamo e la loro connessione funzionale.

 

Coscienza, autocoscienza e coscienza di sé, e non solo. Negli animali è presente anche un sistema morale (Swaab). Darwin ha descritto in maniera dettagliata come la “consapevolezza morale” nasca da meccanismi biologici e sociali importanti per la “sopravvivenza” dell’ individuo e della specie. E ha mostrato che “non vi è alcuna differenza fondamentale tra l’uomo e i mammiferi superiori per quanto riguarda le facoltà mentali”. Frans de Waal nelle sue opere ha poi precisato che ciò si ritrova in tutte le specie che devono contare sulla cooperazione, come i primati, gli elefanti e i lupi.

L’empatia, cioè la comprensione e la condivisione della sofferenza altrui, costituisce la base dell’ agire morale. Dick Swaab racconta di essere rimasto “ammirato” dalla compassione che il suo cane mostrava per il suo compagno, il cane dei vicini, dopo che era stato operato a una zampa.

Negli esperimenti, gli animali domestici hanno mostrato un comportamento consolatorio, altruistico.

Durante l’ evoluzione, l’ altruismo si è manifestato inizialmente nelle “cure amorevoli” prestate dagli animali ai loro cuccioli. Successivamente, l’ aiuto reciproco è diventato “uno scopo in sé” e infine, frutto di milioni di anni di evoluzione, è diventato il fondamento della morale umana e della religione. Promuovere l’ altruismo e l’ empatia è in sostanza “parte integrante dello scopo biologico” della moralità.

I nostri valori morali si sono evoluti durante milioni di anni e si fondano su “valori universali inconsapevoli”. Nel cervello è presente una “rete morale” (Swaab), un’ etica “universale” (Gazzaniga), ovvero una “scintilla morale” comune a tutti gli esseri umani. Il comportamento morale si può osservare già durante la prima infanzia, il che “assieme al comportamento morale degli animali”, costituisce un argomento a favore delle sue basi biologiche.

Innanzi tutto, riconosciamo l’ emozione degli altri grazie ai “neuroni specchio”. Osservare qualcuno che fa un gesto con la mano stimola gli stessi neuroni che si attivano quando lo si compie. Essi rendono possibile “comprendere” quali emozioni provano gli altri e costituiscono quindi la base dell’ empatia.

 

Per lo più, l’ uomo - precisa lo scienziato de Waal - “non riflette affatto” sulle azioni morali. Si agisce moralmente “in modo rapido e istintivo, ispirati da una solida base biologica”. E’ proprio quello che è avvenuto in questa storia che ora racconterò.

Tornava mio figlio, Valentino, da Napoli. Aveva partecipato come avvocato ad un processo in Tribunale. La pioggia che cadeva fin dal mattino si addensava sempre più sino ad assumere il carattere di un nubifragio. Tuoni e lampi squarciavano l’ atmosfera. Uscendo dalla città, in una strada poco abitata e frequentata, egli si accorgeva che sul ciglio della strada, vicino ad un muretto, giaceva in terra abbandonato un cucciolo di cane.

La scena scatenava in lui una fulminea e istintiva cascata di emozioni, sensazioni e sentimenti. Scende dall’ auto e si avvicina al cagnolino. Si offre ai suoi occhi (al suo cervello e al suo cuore) uno scenario pietoso e drammatico. Giaceva il cucciolo su una chiazza d’ acqua mista a sangue. Il sangue che usciva dalla sua zampetta ferita. Lo sguardo impaurito, gli occhi spenti, nessuna reattività né neuromuscolare né emotiva. Sembrava non dar alcun segno di vita. “Ho colto nel cucciolo – dirà Valentino - un inenarrabile senso disperato di angoscia e di impotenza, il suo sguardo, la sua immagine mi trasmettevano una sensazione di grande pietà : era un grido di aiuto. Un grido di aiuto che suscitava in me tanta sofferenza e tanta rabbia”. L’ abbandono - scrive Hauser- “ è una cosa proibita agli occhi di madre natura”.

 

Lo prende tra le braccia, lo accarezza, lo tranquillizza e lo adagia sul sedile. Gli fascia con il suo fazzoletto la ferita. Lo asciuga. Cerca di rifocillarlo. E corre veloce verso Roma, tenendo la mano sul capo del cucciolo. Giunto a casa lo pone su una poltrona, lo disseta e gli dà da mangiare. “Non si regge in piedi, è denutrito, stremato, debilitato”. Con il vestito ancora sporco di sangue e di fango, bagnato per la pioggia, stanco e senza aver pranzato, lo porta dal veterinario per le prime cure.

Il cucciolo ha pochi mesi di età, se viene accudito e assistito adeguatamente - dice il veterinario - si riprenderà. Non dovrebbero esserci problemi. “Esco dallo studio - dice Valentino - esausto, ma rinfrancato e fiducioso. Torniamo a casa e lo adagio sulla poltrona. Gli do un biscottino. Ha difficoltà a portarlo in bocca e a mangiarlo. Lo accarezzo. Gli parlo. Lo rassicuro. E così fino al momento di andare a dormire. Gli do la buona notte e gli stringo il musetto con le mani. Lo guardo e scorgo al fine una lieve reazione muscolare ed emotiva. Sembra la fine di un incubo infinito. Il sole dopo il nubifragio. Ora Kimi (è il nome che gli ho dato) accenna a guardarmi. L’ immagine del suo sguardo così tenero, ma così angosciato e triste, insieme con l’ immagine della scena dolente e drammatica iniziale, mi è rimasta scolpita - come un engramma - nel cervello e nel cuore ed è una immagine che mi accompagnerà per sempre…”

“Ora sta bene, è molto vivace, dà e vuole affetto. E’ uno di famiglia. Gli vogliamo un bene dell’ anima”. “Quando penso - conclude Valentino - che poteva non farcela, che poteva morire, mi assale un brivido di angoscia e di malessere. Kimi è un angelo che si è staccato dalla schiera di altri angeli in cielo ed è sceso sulla Terra per vivere con me. Certamente, parliamo due lingue diverse, ma comunichiamo benissimo e ci comprendiamo in maniera straordinaria, perché usiamo il linguaggio universale dell’ affezione, dell’ empatia e della generosità.”

 

Secondo i neuroscienziati, un comportamento come quello manifestato da Valentino, cioè la sua istintiva e immediata azione di soccorso, chiama in causa i meccanismi neurali del cervello preposti alla coscienza morale, all’ empatia, all’ altruismo e ai neuroni specchio. Un’ azione altruistica ha effetti scatenanti - dichiara Hauser - ed è portatrice di un “valore morale oggettivo”. Una storia drammatica che si è risolta a lieto fine: una vita salvata.

Mostrando egli empatia (che è la base dell’ agire morale), manifestando cioè compassione, disposizione e condivisione per la sua sofferenza, il cucciolo in pratica è stato sottratto a una possibile morte, una possibile morte violenta. Un esito disumano, infausto, terribile.

E’ una indicazione chiara di ciò che è moralmente giusto. Parafrasando il principio biblico secondo cui chi salva la vita di un essere salva il mondo intero, la storia, dolente ma luminosa che ho raccontato si declina lungo questo altissimo modello morale, intellettuale e spirituale. Chi salva un cucciolo di cane, chi salva un essere vivente, salva il mondo.

Invero, condividere la sofferenza genera l’ “altruismo” e un “giudizio positivo”, per cui “aiutare” e “soccorrere” non solo è “lecito”, ma è anche “un comportamento morale elevato”. Che procura - affermano autorevoli scienziati - giovamento e benessere all’ individuo e alla specie.

“Dio - scrive lo scienziato de Waal - dovrebbe donare agli uomini un po’ più di empatia per gli altri” .

Il cervello umano, purtroppo è una combinazione di bene e male, onestà e disonestà, egoismo, malvagità e altruismo, miseria e nobiltà, eros e thanatos, distruzione, autodistruzione e creatività… A prevalere non sempre è il neocervello, la parte più nobile dell’ essere umano, ma il cervello rettiliano.

 

   Guido Brunetti

 

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