Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino
Il potere dell'acqua
Dicembre 2010
In questo articolo cercherò di spiegare come tramite il potere dell’acqua si possano compiere importanti operazioni magiche.
Per quanto sia risaputo che l’Acqua può essere “caricata” e utilizzata in magia, è meno noto che la chiave del suo uso magico risiede nell’analogia col processo dialettico della realtà, e che proprio su di essa deve quindi essere fondato. Non si tratta di un discorso semplice, e chiedo ai lettori più “operativi” di perdonarmi se prima di passare alla parte che loro interessa dovranno sorbirsi un bel po’ di noiosa teoria.
In Sulla legge del tre mi sono sforzato di spiegare quanto sia erroneo, dal punto di vista della trasmutazione interiore, considerare il non manifestato alla stregua di un principio trascendente (un Assoluto) – che tramite una serie di gradini venga a incarnarsi progressivamente nel mondo della materia, conferendogli in questo modo agli occhi dello studioso di esoterismo un’importanza smodata : infatti, nel lavoro di trasmutazione interiore, l’adozione di una tale prospettiva non facilita le cose.
Il problema non è tanto l’accettazione o meno, da parte del discepolo, del dogma della scintilla di Assoluto che dovrebbe trovarsi dentro di noi : è questo un punto del tutto ininfluente ai fini dell’operatività trasmutatoria. Il problema sono i legami che la sua accettazione porta a stabilire con tutta una serie di… enti inutili, la cui sola funzionalità è di vincolare mani e piedi il trasmutante a una visione dell’esoterismo di taglio filoreligioso-monoteista : zavorra pesantissima, che complica e ritarda il lavoro.
Sarebbe però uno sbaglio buttare via il bambino con l’acqua del bagno, e liberarci del concetto di non manifestato al solo scopo di guardarci da questo errore. Per quanto non necessario allo sviluppo cosmologico del ternario, il non manifestato svolge tuttavia utili funzioni analogiche : ne fa fede ad esempio la tradizione del voodoo dominicano, laddove insegna che l’Assoluto non ha il potere di intervenire direttamente sulla realtà . Lo fa invece per mezzo dei misterios spirituales (l’equivalente voodoo dei tre guna), che per suo conto convogliano sul piano della realtà oggettiva le energie sottili provenienti da altri stati dell’essere.
(nota : un discorso a parte meriterebbe la figura di Papa Legba, cui generalmente – soprattutto nel voodoo haitiano - viene addossato questo ruolo di mediatore. Personalmente, non sono mai stato certo che Egli lo incarni effettivamente, e sono incline a supporre che i suoi attributi simbolici esprimano invece l’idea di “non manifestato” in modo diretto ; della quale però, a causa dello scarso sviluppo filosofico che è tratto comune di tutte le tradizioni sciamaniche, non esiste nel voodoo esplicita formulazione).
E’ da notare che neppure i misterios spirituales hanno il potere di esercitare sulla realtà un’azione diretta : la sola funzione loro riconosciuta è quella di vigilare sulla regolarità dei lavori, e questa credo sia la più nobile, commovente e al tempo stesso precisa definizione che l’essere umano possa dare dell’incessante processo della realtà che si rinnova a ogni istante.
E’ pure doveroso osservare che l’atto di convogliare sul piano della realtà oggettiva le energie sottili provenienti da altri stati dell’essere NON è e non può essere in alcun modo assimilato al passaggio del non manifestato al mondo della manifestazione ; si tratta infatti di un fenomeno che avviene interamente entro l’ambito della manifestazione stessa. Però ne è l’analogia ; anzi l’analogia per eccellenza per quanto concerne il livello della fede religiosa, come è certificato nell’ambito di tutte le religioni esistenti dalla tradizione dei miracoli.
Dal che si comprende quanto possa risultare utile ai fini pratici l’apposizione al ternario di un elemento esterno che svolga funzioni di contrappeso : nulla può essere considerato dinamico se non c’è nulla di statico da contrapporgli, e se il ternario dinamico esprime il processo di manifestazione la staticità non può essere espressa che dal non manifestato. Il guaio, ripeto, non è ammetterlo : il guaio è abusarne, e farne la prima lettera I di un ingombrante quaternario la cui vera funzione non è altro che quella di inchiodare il Cristo/Uomo alla Croce.
Del resto, anche senza esorbitare dal forse più familiare universo dei guna, è chiaro come l’opposizione tra manifestato e non manifestato costituisca il presupposto necessario al fine di comprenderne un’altra : quella tra Sattwa e Tamas, e possa quindi considerarsi a buon diritto risolta in Rajas, nella sua qualità di forza neutralizzante.
E’ quindi lecito prendere in considerazione il non manifestato come una sorta di mediatore tra gli stati molteplici dell’essere e il piano della realtà oggettiva : qualcosa di ben più ampio e “forte” del semplice atto percettivo, il quale tuttavia ne fa parte.
Tra parentesi, una tale concezione non contraddice neppure la cosmologia Advaita ortodossa : nessuno infatti ha mai percepito un atto percettivo (ha percepito semmai l’oggetto di quell’atto) ; dunque l’atto di definirlo non circoscrive di per sé nulla di manifestato.
Se andremo avanti su questa strada, otterremo due importanti risultati : 1- affermeremo l’identità dell’atto percettivo dell’uomo con l’idea di Assoluto, facendo contenti quei numerosi esoteristi che pensano che all’Assoluto non si possa assolutamente rinunciare ; 2 – a livello storico, verremo a chiarire in modo soddisfacente un punto su cui tutti i grandi dell’esoterismo hanno sempre un po’ glissato - ovvero, quale sia la ragione per cui l’idea di un Dio unico (con tanto di relativo carrozzone teologico) si sia affermata soltanto con la diffusione delle civiltà sedentarie e alfabetizzate, quando queste ultime dischiusero alla mente umana il pensiero lineare (il problema ovviamente, per l’esoterista di tradizione, è : perché non prima ?).
Nell’articolo Trasmutazione interiore, avevo provato a spiegare questo fenomeno facendo notare che solo entro i limiti di una prospettiva lineare/razionale hanno diritto di cittadinanza i concetti astratti, quale può essere l’idea di un unico Dio ; ma la cosa, direi, si spiega ancora meglio allorché conferiamo al non manifestato NON i caratteri di un non qualcosa che sta in un non luogo, ma di qualcosa che è indefinibile in quanto è atto (o non atto).
C’è un pianeta dell’Astrologia che ci aiuta a chiarire il discorso, ed è Nettuno. In un articolo “minore” di questa rubrica La sinistra e il ciclo di Nettuno, avevo illustrato le analogie tra le sue valenze astrologiche e la sinistra politica; in quell’articolo i lettori trovavano una citazione da un maestro dell’Astrologia, Ciro Discepolo, da cui si possono desumere i contenuti analogici di tali corrispondenze molto meglio di quanto io possa spiegarli con mille parole.
Vorrei riportare ora l’attenzione sul simbolismo di Nettuno in quanto momento di transizione dal caos primordiale al mondo delle forme ; il quale ultimo non è altro che l’oceano nel quale nuotano i Pesci delle nostre individualità. Pongo in risalto questo punto per sottolineare come l’analogia sia strettamente collegabile alla natura di Nettuno pianeta d’acqua.
E’ l’Acqua infatti a rappresentare il flusso continuo e disordinato dello spaziotempo, che dal nulla sgorga e al nulla ritorna senza ragione ; nello specchio dell’Acqua, la forma si riflette e prende coscienza di esistere.
Abbiamo visto in Sulla legge del tre che l’elemento Acqua è escluso dalle corrispondenze con i tre guna, e ne ho dato la spiegazione : perché è nell’Acqua che le tre forze sono in equilibrio. A livello puramente simbolico, si può dire che la perfetta combinazione tra le forze attiva e passiva rende l’Acqua fluida, e la forza neutralizzante la rende trasparente.
Questa immagine ci riconduce una volta di più all’equivalenza tra forza neutralizzante e atto percettivo (ma come abbiamo già detto, sarebbe semplicistico identificare il potere dell’acqua con l’atto della percezione : perché i primi due elementi del ternario - quelli contrapposti - traggono entrambi alimento dal piano della realtà oggettiva, mentre dal punto di vista metafisico sarebbe un’inesattezza affermare la stessa cosa riguardo al terzo).
In un’antica famiglia di rituali della Massoneria del Marchio (oggi non più in uso, almeno nella Massoneria ufficiale ; ne tratto un po’ nel libro che ho scritto con Giovanni Domma sull’argomento - Massoneria del Marchio, D. Mansuino, G. Domma, Glossopetra edizioni, 2010) particolare importanza è rivestita dal Passaggio del Fiume da parte di un gruppo di Israeliti liberati dalla cattività di Babilonia, di ritorno a Gerusalemme per procedere alla riedificazione del Tempio.
E’ questo il Fiume della Percezione, che si para dinnanzi a noi come un ostacolo per tutto il breve arco di tempo della nostra vita. C’è solo un modo per attraversarlo con successo : con un ponte di barche, ovvero per mezzo del concorso fraterno di molte persone.
In questo modo il Marchio – il più “democratico” dei corpi massonici regolari - affidò ai posteri, sotto il velo della ritualità ermetica, un importante messaggio : che la realizzazione iniziatica non ha nessuna possibilità di essere conseguita nella mistica solitudine di un eremo, ma è indissolubilmente legata all’assimilazione e alla pratica della coscienza collettiva.
Vale la pena, io credo, di provare ad avventurarci insieme su quel ponte di barche, per rendere percorribile la distanza che separa il rigido monismo dell’esoterismo filoreligioso dal duttile ternario della conoscenza intesa come processo ; ovvero la stessa distanza che separa un corretto processo di percezione dalla sterile e deprimente registrazione delle molte brutture del mondo, che ci chiediamo a cosa serva e dal quale soffriamo di non poter evadere.
E’ solo attraversando quel ponte che possiamo imparare a cancellare le emozioni negative non solo dalla nostra mente, ma addirittura dal piano della realtà oggettiva.
Forgiare la realtà a nostro piacimento, infatti, è possibile non solo per mezzo di operazioni magiche (come quella che - sfidando la tolleranza degli esoteristi seri, e compiangendoli molto – sto per presentare), ma anche a monte di esse, nell’attimo in cui la percezione si forma nella mente.
Si opera in questo modo una sorta di trasmutazione istantanea delle emozioni negative in positive, prima che esse possano trasformarsi in quella scomoda parte di noi che tutti abbiamo conosciuto : io conflittuali, che si azzuffano senza sosta nella mente.
Poiché nell’Acqua le tre forze coinvolte nella percezione sono in equilibrio, qualsiasi alterazione di questo equilibrio perpetrata consapevolmente dall’uomo è suscettibile di produrre effetti a livello sottile su scala molto ampia, come avviene quando si scaglia una pietra nell’acqua stagnante.
Nel sistema della Santisima Muerte, la preparazione dell’Acqua per uso magico avviene mediante il tracciamento di un Diagramma sul piano dell’Altare. Al suo centro deve essere collocato un piccolo recipiente di piombo, di dimensioni adatte a poterlo ricoprire con un bicchiere rovesciato.
Il Diagramma è costituito dalla seguente figura geometrica : un Triangolo equilatero, al cui vertice corrisponde il numero 2 e ad entrambi gli angoli della base il numero 29 (questi numeri vanno scritti). La base del Triangolo è divisa in due tratti di uguale lunghezza, e dal punto medio di ciascun tratto si irradiano verso il basso due semicirconferenze che vengono a coincidere nel punto medio della base. Ognuna delle due semicirconferenze è divisa in 5 segmenti di uguale lunghezza.
In un paio di prossimi articoli conto di descrivere nei dettagli il sistema numerologico della Santisima Muerte, e se potrò queste corrispondenze numeriche verranno spiegate.
Nel recipiente posto al centro del Diagramma deve essere contenuto un piccolo quantitativo d’acqua, per un’altezza di due o tre dita ; il tutto deve essere lasciato lì senza essere toccato per 13 giorni, nel corso dei quali si potrà adempiere alle normali necessità rituali.
Al termine dei 13 giorni, l’Acqua contenuta nel recipiente avrà conseguito proprietà eccezionali. Se ne potrà per esempio travasare un piccolo quantitativo in una boccettina munita di contagocce, e mediante quest’ultimo porne una goccia a contatto con la pelle di una persona da cui vogliamo ottenere qualcosa – o se questo non fosse possibile, deporre la goccia in un ambiente che è spesso frequentato dalla persona in questione. Non ci sarà bisogno di formulare mentalmente il desiderio che vogliamo realizzare (anzi la cosa è sconsigliata) : l’Acqua lo sa, e provvede in nostro favore.
Quanto all’uso dell’Acqua rimasta nel Tempio sul recipiente, ce ne serviremo per liberare il potere dell’acqua che dorme in noi : ovvero la nostra capacità di partecipare consapevolmente al processo di creazione della realtà oggettiva, momento per momento.
Questo lavoro può essere diviso in due gesti :
1 – il Rammarico
L’operatore si duole di dover vivere assoggettato alla dimensione spaziotemporale e alla morte, e stando seduto di fronte all’Altare china il capo e porta entrambe le mani al volto, coprendosi gli occhi in modo da non interferire con la respirazione. Fa il vuoto mentale e osserva le immagini che si formano, finché non se ne presenti una in grado di sollecitare fortemente le sue emozioni.
Non deve comportarsi in modo neutro nei confronti di questa immagine : si sforzerà invece di visualizzarla il più nitidamente possibile, e di interagire con essa come le emozioni gli suggeriscono ; per esempio, se si tratta di una donna che ama potrà immaginare di baciarla, se si tratta del volto di un nemico potrà azzannarlo alla gola.
Compirà queste operazioni una o più volte, finché l’immagine si manterrà nitida nella sua mente e/o fin quando la scarica emozionale non si esaurirà.
2 – la Reazione
Subito dopo essere tornato alla realtà, sentirà l’impulso ad alzarsi e portarsi all’Altare, sul quale è custodito nell’apposito recipiente il potere dell’acqua. Toglierà il bicchiere di vetro che funge da coperchio e fisserà lo specchio dell’acqua, cercando in essa l’immagine che lo aveva turbato.
Non passerà molto tempo che la vedrà formarsi, ancora più nitida di come l’aveva visualizzata nella mente. A questo punto non deve essere precipitoso, perché l’immagine si svilupperà con una certa lentezza, e in modo diverso da prima ; addirittura, in certi casi, può assumere connotazione tridimensionale, e l’oggetto della nostra fantasia si librerà nello spazio tra il nostro volto e l’acqua, rendendosi disponibile a qualsiasi azione si voglia compiere su di esso.
Ripeteremo allora l’atto che già avevamo compiuto nel Rammarico, e l’influsso del nostro gesto sarà proiettato sul piano della realtà oggettiva, influenzandola nella direzione del nostro desiderio.
La prima cosa da dire a chi voglia sperimentare il potere dell’acqua è : l’acqua è sfuggente – preparatevi fin da subito a un forte senso di insoddisfazione, per non dire di depressione, che vi coglierà subito dopo l’esecuzione del rito, o addirittura già nel corso di esso. Vi sembrerà di non riuscire a combinare nulla : le visualizzazioni vi appariranno eteree, inadeguate, fugaci.
Ma in realtà non è così, e a posteriori ve ne renderete conto almeno in due modi : 1 – se cercherete di tornare con la memoria alle immagini che avete formato nel corso del rito, vi sembreranno molto più nitide di quanto vi fossero apparse sul momento ; 2 – dal forte senso di benessere interiore che, dopo il termine dell’atto rituale emergerà poco a poco per restare con voi molto tempo ; facendovi desiderare più di ogni altra cosa nella vita che ritorni presto il momento di ripetere il rito.
Dietro alla vostra momentanea insoddisfazione c’era qualcosa di ben più profondo, che sta alla fonte di uno dei malanni più pestilenziali che affliggono da sempre il mondo dell’esoterismo ; lo potremmo definire il senso di colpa nei confronti dell’operatività, che tanto più aumenta quanto più l’operatività è efficace.
E’ un malanno talmente grave che blocca molte persone in modo irrimediabile, rendendole per sempre incapaci di andare di là dell’esoterismo speculativo. E’ legato al punto d’unione, le cui dinamiche ho trattato nell’articolo L’ipnosi di massa : per dirla in parole semplici, il punto d’unione è oramai talmente abituato a muoversi sotto la spinta di emozioni involontarie, che quando invece entra in gioco la consapevolezza ha – per così dire – una sorta di… reazione indignata (non è un fenomeno molto diverso dall’irrazionale senso di colpa che colpisce l’uomo, talvolta, dopo il coito).
La conosciamo tutti noi esoteristi operativi questa reazione, sia in noi stessi che negli altri : in noi sotto forma della resistenza che percepiamo nettamente ogni volta che ci disponiamo ad attuare un’operazione magica, negli altri come dissenso – anche da parte dei virtuosi esoteristi tradizionali - se cerchiamo di spiegare loro che l’azione magica sulla realtà non riveste dignità inferiore allo studio teorico e al lavoro su sé stessi ; ma anzi le due cose vanno insieme, e chi si dichiara maestro senza saper padroneggiare gli strumenti per intervenire sulla realtà oggettiva è, in realtà, un povero illuso o un bugiardo.
Ma è inutile cercare di convincerli : la loro vanità è sazia del fatto di considerarsi parte di un’élite di privilegiati, e chi si sforzi in qualsiasi modo di evidenziare i legami tra l’esoterismo e il piano della realtà oggettiva viene da loro considerato dall’alto in basso. Essi affermano anzi che un’attitudine di questo genere costituisce il sintomo di un’imperfetta realizzazione iniziatica.
Il male che si fanno è grande. Chi suppone sia possibile sottrarsi all’influsso della coscienza collettiva per rinchiudersi nel paradiso artificiale della coscienza individuale non comprende di confinarsi nel regno dell’illusione, precludendosi deliberatamente le fonti di rifornimento energetico che potrebbero consentirgli di pervenire alla trasmutazione interiore.
Non paghe di far danno a sé stesse, tali persone danneggiano indirettamente anche la collettività umana, evitando sdegnosamente qualunque forma di attività socialmente utile ; forse sarebbe eccessivo da parte mia dare loro la colpa del discredito sociale di cui gode oggi l’esoterismo, ma indubbiamente con questo atteggiamento gli danno un bel contributo.
A monte di esso c’è una concezione hobbystica e snobistica dell’esoterismo che si perpetua in Occidente purtroppo da secoli, traendo pretesto dalla sommaria comprensione di un concetto in sé esatto : la realtà è un’illusione (né Shankaracharya né Budda però, che io sappia, aggiunsero mai : quindi, ragazzi, non vale la pena di perderci tempo).
La realtà è un’illusione : quindi non occupiamoci mai di realtà illusorie come, che so, i sindacati e i diritti dei lavoratori. Lasciamo che il mondo vada indietro, che il capitalismo selvaggio avanzi e si consolidi sempre di più ; lasciamo che i bambini ritornino a lavorare nelle miniere dodici ore al giorno come nell’Ottocento, perché anche le sofferenze di quei bambini sono un’illusione. Ma il giorno che quei degni esoteristi si ritrovassero da un giorno all’altro senza stipendio, allora voglio vedere se la realtà per loro sarà ancora un’illusione.
In verità, neppure il liberato in vita (utilizzo a bella posta questa definizione a loro cara) - che spazia a suo piacimento nella molteplicità degli stati dell’essere - può ambire al privilegio, peraltro del tutto immaginario, di non vivere nella presenza reale ventiquattr’ore al giorno su ventiquattro, come è per tutti gli esseri umani da Adamo in poi.
Torniamo ora a considerare gli effetti del rituale dell’Acqua. Di regola, dopo che un’immagine si è manifestata per la prima volta continuerà a riapparire più o meno identica nel corso dei rituali successivi. Non si deve ostacolare questo processo, e si può continuare a ripetere lo stesso gesto sull’immagine ogni volta, fino a che non scomparirà spontaneamente, facendosi sostituire da un’altra.
Col procedere dell’attività rituale, l’automatismo acquisito nella ripetizione dei gesti riserverà progressivamente sempre maggiore energia alla fase delle visualizzazioni, che diventeranno più nitide e soddisfacenti.
Spesso, nell’uso magico, le immagini che si formano nella mente mancano di tridimensionalità e della dimensione tattile, a discapito della loro efficacia. Per ovviare a questo inconveniente, la ripetizione ostinata e paziente del rituale dell’Acqua è enorme, molto maggiore di quanto chi non l’ha mai provato possa immaginare.
Non solo infatti migliora le capacità di visualizzazione, ma limita gli inconvenienti sperimentati da quanti abbiano provato a incrementare le proprie capacità di visualizzazione senza alcun metodo, basandosi soltanto su una sperimentazione disordinata : col rituale dell’Acqua non si verificano mai allucinazioni involontarie né la minima forma di attività mentale incontrollata, al di fuori del breve arco temporale in cui si dà atto alla visualizzazione volontariamente.
La scoperta del potere dell’acqua può quindi rappresentare un vero uovo di Colombo per quanti avvertono l’esigenza di conferire alla propria azione magica maggiore efficacia. Crowley, a quanto mi risulta, non ne ha parlato, e nemmeno nessun altro autore. Per rendersene conto di persona non c’è altro che mettere in pratica il metodo suggerito dalla Santisima Muerte, e i risultati si vedranno già dopo pochi giorni.
Comunque, ben al di là della nitidezza con cui l’immagine possa o meno formarsi, il vero valore della procedura che ho descritto consiste nella crescente e progressiva partecipazione cosciente dell’operatore.
Nel ripetere tutti i giorni i passi costitutivi del processo (sedersi – concentrarsi – agire – accostarsi all’Altare – fissare lo sguardo nell’Acqua – agire ancora – tornare a sedersi) si scava nel cervello qualcosa che può definirsi un solco neuronale. L’Acqua/consapevolezza si instrada in quel corso come nel letto di un Fiume, ogni volta più tumultuosa e abbondante ; fornendo in questo modo la spinta che scaglia l’energia dell’operatore al di là dello spazio, per raggiungere e compenetrare l’oggetto cui è destinata.
Daniele Mansuino
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