Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino indice articoli
La mia illuminazione
Febbraio 2011
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Immaginiamo due palloni da calcio identici: il primo è l’Uomo Primordiale, il secondo l’Uomo Universale.
Il primo comprende simbolicamente tutti gli stati dell’essere cui l’uomo individuale può estendersi in uno stato di piena consapevolezza: tutti i possibili sogni, tutti i non sogni, tutti i piani di realtà possibili e immaginabili, come quello in cui l’accendino che è in questo momento posato vicino a voi sulla scrivania non è blu ma è rosso; magari per tutto il resto quel piano di realtà è identico a quello della realtà oggettiva, ma il solo fatto che l’accendino sia blu invece che rosso ne fa già un altro Universo, e immaginate voi quanti se ne possono ipotizzare di universi così; per non parlare di quelli senza accendini né alcun altro tipo di oggetti, dove tutto è pura energia…. insomma gli stati dell’essere sono tanti; immaginate che ciascuno sia una sezione orizzontale del primo pallone, e che nel centro del pallone ci siete voi qui e ora – quello è l’Uomo Primordiale.
Resta da dire che, sebbene molti non lo capiscano (vedi p. es. le note al mio articolo Il sistema trasmutatorio della Santisima Muerte, abusivamente copiato su Esonet – e ci hanno messo pure il copyright!), tanto Guénon quanto Castaneda, che lo chiama uovo luminoso, hanno affermato esplicitamente che l’Uomo Primordiale è uno solo.
Infatti, per innumerevoli che possano essere le individualità umane, è lampante (o dovrebbe esserlo) che le possibilità umane sono le stesse per tutti i singoli uomini: per fare un esempio terra terra, è senz’altro più possibile che George Clooney sposi Elisabetta Canalis piuttosto che sposare me, ma potrebbe anche cambiare idea, così come non è impossibile che sposi Lucrezia Borgia o l’Uomo del Similaun, qualora l’anno prossimo fosse inventata la macchina del tempo (nota: siatemi grati – non dappertutto trovate in un articolo di esoterismo la spiegazione del perché George Clooney potrebbe sposare l’Uomo del Similaun).
Questo primo pallone che dicevamo (che, non molti lo sanno, è identico in tutto e per tutto al modello dell’universo di cui tratta Stephen Hawking in Dal big bang ai buchi neri: il grande astrofisico, che non è uno di quegli scienziati italiani snobbini che storcono il naso di fronte all’esoterismo, ammise candidamente di aver preso l’idea dal Sufismo Orientale) contiene dunque tutto il contenibile dalla mente umana, e non si vede dove potrebbe esserci posto per qualcosa d’altro; secondo l’esoterista tradizionale, però, ci manca Dio, ed ecco perché ci tiene molto ad affermare l’esistenza del secondo pallone, ovvero dell’Uomo Universale.
Per non scontrarsi con la tabula smeralgdina, è peraltro obbligato a ammettere che i due palloni sono identici; ci spiega dunque che, per analogia, come un singolo stato dell’essere costituisce un piano orizzontale del primo pallone, così il primo pallone considerato nella sua totalità costituisce un piano orizzontale del secondo - ci vogliono insomma infiniti (anzi indefiniti) Uomini Primordiali per costituire il livello di consapevolezza dell’Uomo Universale.
Così Dio è salvo, e con lui la sua superiorità sulla nostra modesta consapevolezza di esseri umani; del resto, non si può negare che esistano o possano esistere in natura altre forme di consapevolezza oltre alla consapevolezza umana, e ancora di più al di fuori dalla natura – anzi, per essere del tutto obbiettivi anche Castaneda accennò a qualcosa del genere, distinguendo tra le possibilità di spostamento del punto d’unione dalla superficie dell’uovo luminoso e quelle alle regioni interne della sfera (possibilità queste ultime alle quali il mio copyrightizzatore abusivo su Esonet, pur senza avere la minima idea di ciò di cui sta parlando, sembra proprio non credere).
Non vorrei essermi spiegato male: non ho affermato che l’esoterismo tradizionale neghi all’uomo la possibilità di ascendere in vita anche al livello di consapevolezza dell’Uomo Universale: questa possibilità rimane – Guénon per esempio lascia chiaramente intendere che qualche suo amico del Medio Evo (vedi Ibn Arabi) ci sia riuscito, quindi in teoria possiamo riuscirci anche noi. Se così non dicesse, non sarebbe un esoterista ma un mistico, di quella razza di mistici che detestava ancor più dei controiniziati. Semplicemente, grazie alla teoria dei due palloni, si accontenta di aver messo un paletto all’orgoglio luciferino dell’uomo: se non ricorri all’aiuto di Allah, più in là non vai.
Viene però da chiedersi: dato e non concesso che la distinzione tra Uomo Primordiale e Uomo Universale abbia un fondamento, quale utilità può avere per l’uomo alla ricerca dell’illuminazione? Che senso ha dirottare l’attenzione del discepolo sul secondo pallone quando tutta la sua partita dovrà essere giocata col primo? Ha senso dar da leggere l’Ulisse di Joyce a un bambino non ancora passato dalle aste all’alfabeto?
E la risposta è: sì, ha senso se vogliamo bloccare il suo sviluppo all’atto del sorgere, e impedire che il bambino - imparando troppe cose - si faccia del male. E’ questo il messaggio del pensiero tradizionale che non potrò accettare mai: la cocciuta opposizione verso ogni forma di evoluzione psichica dell’uomo – il berlusconismo spirituale, che invece di fornirti strumenti di sviluppo ti meraviglia mediante la rappresentazione di mondi superiori e inarrivabili, e la funzione del maestro è quella di accertarsi che tu non ci possa arrivare, in modo che nella tua mente resti il mito.
E tra parentesi, per i lettori che hanno letto il mio articolo La genesi del mondo moderno: forse in quell’articolo non ho spiegato abbastanza chiaramente perché i Sabbataisti e le organizzazioni da essi ispirate - che innescarono mediante riti magici il progresso tecnologico in Occidente - si dessero tanto da fare per l’espansione della psiche dell’uomo, mentre le forme esoteriche tradizionali tiravano – e tirano tuttora – il freno.
E’ molto semplice: le attività tradizionali non richiedono la capacità di elaborare pensieri complessi – pochi passaggi mentali sono necessari a un artigiano per imparare l’arte della costruzione di una sedia, o a un contadino per coltivare un campo di grano con esito soddisfacente. Molti di più sono necessari per inventare una macchina e realizzarla; ci vuole una mente abbastanza attiva per formularli, abbastanza ampia per contenerli, con sufficiente memoria per ricordarli. Creando maggiore spazio all’interno delle nostre menti, i Sabbataisti creavano anche le condizioni perché i sistemi di memi collegati al progresso trovassero spazio per alloggiarci.
Certo, l’atto di mettere in moto consapevolmente un processo del genere fu una grande scommessa e una pesante responsabilità: c’era effettivamente il rischio di far smarrire all’umanità il cammino dell’illuminazione - perché una mente ipertrofica è più difficile da trascendere di una mente piccola, perché l’abbondanza è più difficile da trascendere della miseria, fisica o mentale che sia.
Ma il rischio era calcolato. In verità, l’uomo dalla mente ipertrofica è più fuorviato, o per lo meno più fuorviabile, ma ha anche guadagnato parecchio sul piano delle motivazioni. Più stimoli, più risposte, più influenze C circolanti – al giorno d’oggi la possibilità di intraprendere il cammino iniziatico è alla portata di un numero di persone assai più elevato, con un immenso quantitativo di dati mentali da elaborare.
Chi non vede il valore di questo enorme processo di elaborazione collettiva? Quanti errori ha spazzato via, quanto ha saldate l’un l’altra le esperienze di ricercatori un tempo abbandonati alla loro solitudine? Quanto ha rafforzato nell’uomo comune la volontà di conoscenza, perlomeno in proporzione diretta all’aumento di ostacoli da affrontare?
Prima, lavoravamo la terra.
Per quanto riguarda il sottoscritto, il marchio a fuoco del progresso non mi ha ucciso, e ha lasciato effetti positivi. Nel numero delle illuminazioni passate attraverso la fase dell’espansione psichica posso annoverare anche la mia, figlia dello sciamanesimo castanediano.
Forse qualcuno dei lettori più attenti lo aveva capito: l’articolo Il lavoro sui sogni non era solo un’esposizione degli stadi per cui passa l’esplorazione degli stati molteplici dell’essere, ma la sintesi di un diario – del diario del mio cammino.
Arriva il giorno che sogni energia pura, senza più determinazioni. Arriva il giorno in cui ti svegli, ma il sogno non ti lascia; ti lavi i denti, vai a lavorare, torni a casa e il sogno è sempre lì – ed è cambiata senza rimedio la percezione che avevi di te stesso e del mondo.
La gente però non se ne accorge. E d’altronde, cosa ti aspettavi? Che cominciassero a venerarti e a portarti i fiori? Se questa idea ti fa piacere, mi sa che ti manca ancora qualcosa.
Dopo questa prima scoperta, la seconda è ancora più choccante: che tu non stai più vivendo nella totalità dei tuoi stati dell’essere. Sei arrivato a toccarla in sogno, ma poi si è ritirata da te. Hai gettato l’Anello nel fuoco del Monte Fato, ma poi le fiamme si sono levate ruggendo e hai dovuto fuggire, salvandoti per caso; ti attende ora una vecchiaia malaticcia insieme al tuo corpo.
E poi scoprire ancora di peggio: che sei sempre lo stesso idiota di prima. Che ti arrabbi, che ami, che odi, che sbagli. Che fai brutte figure. Molto di più di quel tuo amico che non si è per niente realizzato, anzi non capisce un tubo, e ha tutte le ragazze ai suoi piedi.
Cos’è cambiato, allora? Beh, una cosa: che quello lì che sbaglia, si arrabbia e odia non sei tu. Prima lo sapevi già a livello nozionistico, ma ora lo sai davvero. Lo guardi dal di fuori, ma non una volta ogni tanto – sempre.
Il ricordare sé stessi di Gurdjieff non è più uno sterile esercizio da fare quando si ha tempo, è qualcosa che è arrivato da solo – indipendentemente da tutti gli sforzi che puoi aver fatto in quella direzione – e c’è sempre: tu guardi quel burattino che ama, odia, sbaglia, sogna e grida, e guardi gli altri burattini con identico distacco e compassione.
E quando ne hai la possibilità, distogli brevemente lo sguardo dalla commedia e ti guardi intorno.
Che cosa vedi ? Non si può spiegare a parole, ma non aspettarti mari di luce. Vedi persone malvagie da afferrare, e con le quali giocare come il gatto col topo: per misteriose ragioni, Dio o chi per lui te ne ha dato il potere. Le prendi, le abbatti, le sconfiggi con dolcezza, obbiettività, estraneità.
Vedi persone buone che lottano, piangono, soffrono e stringono i denti. Ti ispirano meno simpatia dei malvagi, perché sai che il loro cammino non ha niente a che vedere con il tuo; eppure Dio o chi per lui ti ha dato il potere di irradiare su di loro il tuo amore e la tua forza, aiutandole a andare avanti come se davvero andassero da qualche parte e non verso il nulla (al di là del bel film con Ranieri: hai mai pensato seriamente alla storia di Salvo D’Acquisto?).
Poi ancora, ti accorgi di aver conquistato un certo potere sulla teoria. Leggi un oscuro rituale ermetico e le analogie ti si schiudono una dopo l’altra, lo decifri come niente – ti sono chiari tutti i parallelismi coi rituali analoghi, anche se espressi in un linguaggio completamente diverso – anche se le tue conoscenze di esoterismo, simbolismo e filologia sono del tutto insufficienti a documentare in modo convincente quello che vedi; ti sono chiari tutti i parallelismi anche tra cose che non c’entrano niente una con l’altra, tipo le analogie tra la danza nuziale delle api e la Grande Opera o tra il modulo difensivo della Juve e l’arrocco di donna negli scacchi.
Quando questo ti succede, si invera in te un’altra bella massima dei Sufi, che purtroppo non ricordo esattamente e cito a senso: la trama della creazione ti appare come un arazzo multicolore, intessuto tanto strettamente che non è possibile penetrarlo neanche con uno spillo. Ma quando questo ti capiterà, sarai fortunato se avrai alle spalle un po’ di cultura umanistica che abbia destato dentro di sé il senso autocritico, o perlomeno il senso della misura: perché è molto facile lasciarsi prendere dall’entusiasmo e divulgare ai quattro venti le tue verità senza la minima possibilità di giustificarle.
Il che, se ti lasci andare, ti pone sulla strada maestra per il manicomio; ma anche se riesci a trattenerti e largisci soltanto le perle di saggezza che ti sembrano più evidenti e incontestabili, permane comunque un forte rischio di entrare in rotta di collisione con i teorici puri – bravissime persone che danno molto peso al significato delle parole, e hanno tutte le ragioni del mondo: se uno pretende di scrivere di esoterismo, ci si aspetta da lui che sappia usare le parole con precisione.
Invece io non ne sono capace e non ci riuscirò mai - innanzitutto perché dovrei perdere la vita a elaborare un codice di distinzioni concettuali singolarmente precise come seppe fare Guénon, ma non ne ho voglia - poi perché credo che una parte essenziale e irrinunciabile del mio dovere di upaguru sia propagandare per il mondo il valore dell’approssimazione. Se avete capito più o meno quello che volevo dire, va bene; se fossi stato più preciso, non avreste capito niente.
Insomma, è un trip di onnipotenza niente male: purtroppo non è mio, e non me ne frega più di tanto. Me lo godrei molto di più se fossi ancora una persona normale.
Mi sono alzato e sto camminando nella notte eterna, di cui il giorno è l’umile finzione. Sulla mia testa un cielo blu pieno di stelle, senza la Luna né il Sole.
Daniele Mansuino
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