Riflessioni dal web Indice
Animismo e società
(prima parte)
di Antoine Fratini
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La stessa felicità viene costantemente fraintesa e sovrapposta alla hybris, alle sensazioni legate al potere. Non vi è, credo, una netta differenza di principio tra il cocainomane e l'uomo di successo: entrambi inseguono il potere, confondendo la felicità con l’esaltazione dell'ego. Il primo cerca le sensazioni artificiali regalate dalla sostanza, il secondo le sensazioni illusorie legate al danaro e al consumismo. Le religioni classiche tradizionali non riescono più a compensare questa follia collettiva dell'uomo. La passione per il potere è di gran lunga più forte dell'amore per il prossimo. Anzi, le varie Chiese sono diventate da secoli delle istituzioni di potere, alle prese con le proprie gerarchie, i propri vantaggi e privilegi, le proprie connivenze politiche...
Il potere economico è ovviamente legato in primis all’avere, il quale a sua volta contribuisce ad alimentare il senso e la volontà di potenza. Quante cose materiali, aggeggi vari, telefonini, automobili, vestiti, gioielli ecc. hanno la sola funzione di abbagliare gli occhi altrui per ottenerne il feedback desiderato? La maggior parte di esse forse, se si considera che tale meccanismo narcisistico funziona anche quando restiamo soli con noi stessi e ci lasciammo riempire l'anima dalle medesime sensazioni che noi stessi immaginiamo. Così, persino il registro dell'Immaginario caro a Lacan è dominato da Economia. Basterebbe analizzare da struttura degli spot pubblicitari per convincersene pienamente: il profumo o l'automobile che porta al successo con l'altro sesso, il vestito che sbatte in prima pagina, il marchio prestigioso che sancisce l'appartenenza ad una classe di potere... La passione per il danaro come principale espediente del potere possiede ogni nostro pensiero e ogni nostro atto, li determina fin nei minimi particolari tanto che diventa per molti una impresa riuscire a portare avanti i propri interessi veri se a questi non viene attribuito anche un significato economico. Artisti, musicisti, scrittore ecc. operano solo in funzione della loro speranza in un futuro (anche improbabile) riscontro economico. Altrimenti, essi si astengono, quasi a vergognarsi del loro tradimento al Dio Economia. Oggi, se quello che fa l'uomo non si paga, non è serio. Se una associazione culturale senza fini di lucro non dispone di un conto bancario, non è seria. Per non parlare del campo della ricerca: gli scienziati devono purtroppo dare ragione agli autori postmoderni che da tempo sostengono la determinazione delle scoperte e delle leggi stessi della scienza da parte dell'economia. Gli scienziati non studiano aspetti di una realtà che si rivela a loro in tutta la loro purezza, ma creano le loro scoperte sulla base di un loro atteggiamento guidato, consapevolmente o inconsapevolmente, da regole economiche e da giochi di potere.
Il problema è che non si intravedono alternative: tutti gli uomini oggi, ricchi o poveri che siano, vivono in funzione dell'accrescimento del loro potere economico. Di fronte ad una tale prospettiva religiosa di "apparente miglioramento", i figli di contadini lasciano le campagne e vanno a vivere in tristi quartieri cittadini, i membri di una tribù lasciano loro cultura, il loro mondo, il loro stile di vita secolare e armonioso per atterrare nelle bidonville, i pensionati s’inventano nuovi lavori, gli operai fanno ore supplementari, chi già guadagna tanto desidera aumentare ulteriormente il proprio reddito al fine di mantenere il proprio trend di vita, il poeta si deprime per la mancanza di guadagni... eppure, tutte queste persone potrebbero fare un notevole passo verso la felicità accettando la loro condizione e investendo tempo e capacità in direzione della loro realizzazione individuale. La depossessione dal dio Economia appare estremamente difficile. Di tutta evidenza, non può che essere una operazione lunga, faticosa ed incerta. Non si tratta probabilmente di rinunciare del tutto all’invenzione del danaro, ma di sacrificarne i valori legati al guadagno e al potere.
Fungerà da degna conclusione la bella parabola di Anatole France che raggiunge in maniera straordinaria la profonda intuizione di Jung sulla soddisfazione simbolica prodotta dall’attività contadina e rituale dell’arare. La parabola narra di un re ammalatosi gravemente e che nessun medico riusciva ad aiutare. Il re soffriva di una strana quanto forte forma di emicrania e non riusciva a dormire. Egli era affetto da quella infelice condizione che siamo soliti chiamare "nevrosi", una malattia della società moderna. Ad un certo punto arriva un dottore che gli dice di avere la medicina che fa per lui: quando indosserai la camicia di un uomo felice guarirai! Il re manda allora i suoi servi in tutto il paese affinché gli trovino la camicia di un uomo felice. I servi cercano nella cerchia degli scienziati, degli artisti, degli uomini famosi, dei potenti…e quando chiedono se siano felici tutti rispondono di no, perché se è vero che nella loro vita hanno raggiunto diversi obiettivi, ci sono anche un sacco di cose che non hanno ancora raggiunto e che forse non raggiungeranno mai. Tornando dal re disperati, i servi scorgono ad un tratto un poveretto che ara la terra cantando; lo raggiungono e gli chiedono se è felice. Egli risponde di si, a lui non manca nulla, nella sua vita tutto è perfetto. In nome del re dacci la tua camicia! gli dicono. La mia camicia?, risponde l’uomo, ma io non posseggo una camicia!
Bibliografia
Alessandro Salvini, Esoterismo e visioni in Psicologia contemporanea, Giunti n° 177
Luizi Zoja, Crescita e colpa, Anabasi, Milano 1993
Antoine Fratini, Parola e Psiche, Armando, Roma 1999
H.F. Ellenberger, Storia della scoperta dell'inconscio, Boringhieri, Torino 1976
C.G. Jung, Simboli della trasformazione, Opere vol.5, Boringhieri 1970
fonte: www.pennadoca.net
Animismo e società (seconda parte)
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