Riflessioni dal web Indice
Animismo e società
(prima parte)
di Antoine Fratini
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Uno dei grandi epigoni di una tale operazione è senz'altro C.G. Jung. Grazie ai suoi studi sul significato dei grandi simboli della cultura, sulla sincronicità e sull’inconscio, egli ha aperto la strada al recupero dell'anima. Tanto che alcuni suoi allievi e prosecutori, come l'americano James Hillman, hanno finito per abbandonare il linguaggio prolisso e scientifico della psicologia accademica e della psicoanalisi per adottare quello più idoneo all'anima della poesia e dell'animismo, chiamando per esempio i "complessi autonomi" con il loro nome di divinità antiche: Pan, Este, Ermes…
Le tecniche tradizionali dell'estasi che certamente servirebbero pure a noi occidentali per recuperare il contatto con la nostra anima che giace nell'inconscio, non sono soltanto per i popoli tribali elementi presenti nelle cerimonie religiose, ma fanno parte, ad un livello più basso, del loro caratteristico atteggiamento mentale, del modo sereno e contemplativo con cui si rapportano quotidianamente al mondo. Tale atteggiamento è anche paragonabile a quello dei poeti che riempiono le cose di significati facendole entrare così nell'anima, loro e dei loro lettori. Mi sembra che il meccanismo genetico della poesia e dell'animismo sia fondamentalmente lo stesso. Quel che cambia principalmente sono i significati accordati a questa sublimazione. Nel primo caso questi significati sono propriamente culturali, mentre nel secondo caso sono prevalentemente spirituali. Potrà essere interessante notare che la sublimazione in questi casi non rimane tutta interiore, ma si accompagna sempre da proiezioni sul mondo esteriore. Sublimazione e proiezione sono entrambi i meccanismi o modi di operare caratteristici delle persone che coltivano il rapporto con l'inconscio. Si capisce quindi quanto siano importanti nel nostro intento di recuperare il contatto e l'affiatamento con l'anima. Lo scopo della psicoanalisi non può essere quello di creare personalità perfettamente razionali, fredde, distaccate, che non proiettano mai e che sublimano tutta la loro energia psichica nel lavoro. Siamo quindi entrati nel vivo della nostra problematica: come vivere l’inconscio senza rischiare l’inflazione psichica e la follia? Il fatto è che gli atteggiamenti dei popoli animisti sono tutt'altro che folli. Persino il DSM ormai considera il fattore culturale nei suoi parametri di valutazione delle psicopatologie. Nelle società tribali si può seriamente sostenere che non esiste la follia. Esistono "i mali sacri", le "vocazioni sciamaniche", esiste in altri termini l'accettazione dell'originalità di ciascuno. Non vi sono psichiatri o figure simili ad obbligare le persone originali a curarsi. Quello che noi chiamiamo "follia" (il vivere l’inconscio o peggio l'essere posseduto momentaneamente da esso) rientra perfettamente nella loro cultura, nel loro modo di concepire l'uomo e la sua relazione al mondo. Mentre da noi lo psicotico è un emarginato che gli psichiatri imbottiscono di farmaci e cercano di fare rientrare nei ranghi del sistema, da loro l'originale è già parte integrante della società ed è destinato a mettere a frutto la propria esperienza interiore. Tutti questi popoli considerano i sogni con estrema serietà, come se questi fossero in qualche modo parte della realtà, e molti loro membri hanno avuto visioni determinanti per la loro maturità e il loro inserimento sociale. Non vi è sciamano o curandero che non abbia sperimentato episodi di dissociazione delle personalità. Mi si obietterà che potrebbe sempre trattarsi di malattie mentali o squilibri psicologici non riconosciuti come tali e quindi anche per questo vissuti meglio; oppure che si tratta della loro cultura e che per noi tale prospettiva non abbia la minima chance di funzionare. Di fatto però, non proviamo nemmeno a verificare la funzionalità di questi valori applicati alla nostra cultura. Eppure certi libri, come per esempio quelli di Jung e di Hillman, si vendono piuttosto bene, pur rimanendo forse gocce nell'oceano. E quali sono le divinità nell'oceano se non l'Economia, il Mercato, lo Sfruttamento, il Potere? Gli psicofarmaci si vendono alla grande perché, favorendo il controllo della devianza, procurano certamente più potere e maggior profitti al sistema che non l’animismo.
Un aborigeno australiano, per esempio, potrebbe dirci: "Tratta bene le pietre, perché un domani potresti essere una di esse". Per noi occidentali culturalmente privi di riferimenti animistici e drammaticamente a digiuno di esperienze interiori, tale suggerimento ci appare senza senso, "folle" appunto. Noi, delle pietre abbiamo imparato a fare cemento e della Natura e delle sue leggi materiali sfruttiamo e controlliamo quasi tutto. L’homo technologicus è in grado di scoprire e modificare i meccanismi cellulari dell’invecchiamento, di viaggiare nello spazio, di andare sulla luna, di analizzare e manipolare il DNA degli esseri viventi... Egli è oggi in misura di compiere imprese che in passato erano appannaggio esclusivo degli dei. Per questo egli assomiglia sempre di più a questi ultimi, il cui immenso potere era uguale solo alla loro ferocia, alla loro crudeltà, alla loro arroganza e disumanità. Appare evidente da questo punto di vista che le nostre credenze nell'Economia dipendono da una possessione inconscia dell'uomo da parte dell'archetipo dell’Eroe. Questo archetipo costituisce la dominante psicologica dell'uomo moderno. Occorre però ricordare a tale proposito che la maggior parte degli eroi occidentali antichi finivano, a causa della loro hybris o cieca volontà di potenza, per subire tremendi castighi ad opera degli dei. Per avere rubato il fuoco agli dei e averne fatto dono all'umanità Prometeo (che pure era un titano, ma con forti tratti di somiglianza con gli uomini) fu incatenato sul Monte Caucaso è condannato in eterno a farsi divorare il fegato (organo autorigenerantesi) dall'uccello rapace.
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