Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
Il concetto di Verità in Platone
di Carlo Vespa
Il compito del filosofo è stato, nel corso delle varie epoche, quello di istruirsi sul passato per avere gli strumenti appropriati per formulare infine una teoria sulla verità, grazie alla quale spiegare come si sviluppa la conoscenza, la morale, la
religione, la politica, la storia, la coscienza, in una parola la vita umana e il rapporto che ha con se stessa oltre che con l'universo.
Risulta così chiaro che descrivere di un filosofo cosa quest'ultimo intenda per verità, significa in ultima analisi entrare a contatto con il cuore della sua filosofia, e tratteggiare le caratteristiche di quel principio o sistema,
che regola tutto il complesso andamento di pensieri e riflessioni ad esso successive.
Alla luce di questa premessa possiamo dire che la filosofia di Platone ha un cuore molto grande, oltre che resistente; nonostante essa sia ormai lontanissima dai nostri tempi, tuttavia riesce ad esprimere ancora con estrema vitalità tutto il suo fascino e la sua brillante ricchezza di contenuto.
La ricerca platonica del Vero ha delle caratteristiche assai speciali; ci si riferisce in particolare al fatto che il filosofo greco fu il primo a costruire un intero apparato di riflessioni mostrando di avere piena consapevolezza di questa sua operazione, dell'obiettivo da raggiungere, e soprattutto di avere conseguito il livello scientifico del pensiero,
che prima di lui aveva attraversato una lunga e nutrita fase di gestazione. In aggiunta a ciò va rilevata l'importanza dello sfondo politico, sociale e
culturale dell'epoca in cui
Platone visse, e contro il quale egli instaurò una sorta di guerra aperta praticamente ad ogni livello. La morte di
Socrate nel 399 a. C. aveva definitivamente reso evidente agli occhi del filosofo la situazione di corruzione in cui versavano lo stato della giustizia, nonché l'approccio alla pratica del sapere, all'epoca dominio incontrastato dei
Sofisti. Tutti questi elementi concorrono a formare nell'animo di Platone la ferrea convinzione che la ricerca della verità necessitasse di un impegno serio e severo, di una assoluta attenzione, di un uso assiduo di esercizi, e soprattutto della giusta disposizione d'animo. Questi gli ingredienti fondamentali per poter intraprendere lo studio e la ricerca di quella scienza unica detentrice del vero, la Dialettica.
Di contro all'assoluta mobilità del sapere predicata dai sofisti Platone infatti auspicava la possibilità di accedere ad una dimensione speciale ove fosse lecito osservare la natura del sapere, contemplandone i fondamenti inconfutabili, le grandi potenzialità e soprattutto i risultati raggiunti; risultati non più opinabili come predicava il relativismo
protagoreo, bensì assolutamente aderenti al vero, essendo esenti da contraddizione, e non contaminati dall'incalzante futilità delle opinioni. Di esse
Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia spesso usava puntualizzare come non facessero parte del pensare filosofico, che invece occupa una posizione privilegiata sul piano gnoseologico, in quanto favorisce l'acquisizione della verità nella sua interezza, e non si limita al semplice nominarla con vuote e mutevoli parole, come invece erano soliti fare tutti coloro i quali spacciavano per filosofia una mera filastrocca di opinioni.
Dunque per Platone la realtà ha un fondamento stabile, qualcosa che è e non può non essere, e che per questo motivo costituisce la verità delle cose, il modello di cui queste sono un'imitazione.
Spiegare il procedimento mediante il quale il filosofo greco raggiunge la conoscenza di questo modello è al tempo stesso facile e difficile. Facile perché egli vi arriva mediante la narrazione di miti, di favole, di esempi inseriti in un contesto che è argomentato con l'ausilio della forma dialogica. Tutto ciò agevola le difficoltà legate alla comprensione per esempio di un sistema protetto e chiuso nel recinto delle sue parole e espressioni-chiave.
Tuttavia la tempo stesso non va nascosta la difficoltà di interpretare nel giusto modo i concetti che emergono dall'esposizioni dei suddetti miti, i quali spesso lasciano aperte più strade da percorrere, favorendo in questo modo la possibilità di equivoci e fraintendimenti. Infatti Platone ricorre al
mito quando è consapevole che la sua ricerca della verità lo ha condotto sul ciglio estremo della razionalità, così che solo affidandosi all'esempio mitico egli sa di poter descrivere i suoi pensieri, che più propriamente in questo caso sono delle vere e proprie visioni. Con tale termine si vuole intendere l'autentico significato della parola greca,
l'idea. Il filosofo per Platone è colui che trova la verità nella contemplazione delle idee, quegli oggetti di cui lui solo riesce con fatica e studio ad avere una visione idonea a distinguere con correttezza il vero dal falso, il modello dalla copia.
Le implicazioni inerenti a questa concezione così maturata dal filosofo greco sono molteplici e di decisiva importanza, dato che esse vanno a condizionare in modo determinante tutto la sviluppo del sapere occidentale nei secoli successivi a Platone. Egli infatti nel corso dei suoi dialoghi ostenta la convinzione che se deve pur esistere qualcosa di stabilmente vero, cui fare riferimento, ebbene ciò non può far parte del mondo del divenire, soggetto a cambiamenti continui e preda dell'alternanza di essere e non essere. Ne consegue dunque che lo studio e la ricerca delle idee debbano necessariamente avere tutt'altra dimora; tale nuova residenza dischiude un nuovo mondo, le cui caratteristiche non solo sono diverse da quello sensibile, ma addirittura si mettono in aperto contrasto con esso.
È questa tensione che Platone si sforza di comprendere, poiché egli intende bene che l'atto di trascurarla causerebbe una errata comprensione di tutti vari piani propri del pacchetto filosofico: il punto di vista epistemologico, dialettico e ontologico. In quest'ottica si devono leggere i dialoghi così detti dialettici,
Teeteto,
Parmenide, e Sofista. In questi scritti infatti Platone cerca di sviscerare il grande problema del contrasto tra i due mondi da lui teorizzati, mettendo letteralmente a nudo tutte le difficoltà che una tale tensione avrebbe causato sia per quanto riguarda la conoscenza del mondo sensibile, sia per la stessa sussistenza delle idee, sia per la possibilità di concepire una relazione tra queste ultime e le cose in divenire della realtà empirica.
È impossibile ricorrere alle opinioni della critica platonica sull'esito di queste riflessioni del filosofo greco; se cioè egli sia riuscito infine a risolvere il rapporto tra i due mondi intessendo una sorta di continuità priva di contrasti. I pareri infatti vanno in tutte le direzioni possibili, dalla totale adesione alla positività delle conclusioni platoniche, all'opposta incredulità dei suoi risultati. E non manca addirittura chi, come la scuola di Milano-Tubinga, ritiene la filosofia esposta nei dialoghi scritti un'insieme di esercizi essoterici e spurii non riguardanti la vera dottrina platonica, rimasta invece patrimonio esclusivamente orale del filosofo
greco.
Ciò che invece a noi sembra più evidente nello studio di tali dialoghi è la constatazione che, al di là dell'esito più o meno aporetico delle riflessioni platoniche, al filosofo greco interessi primariamente di trovare come sinonimo di verità un principio che sia sì stabile e immutabile, ma che per questo non sia svincolato dalla realtà di cui dovrebbe costituire il fondamento; ecco allora che tale principio, l'Idea, dovrebbe avere anche altre caratteristiche, compreso lo stesso divenire, la vitalità e il movimento del pensiero, che Platone sa bene non poter essere qualcosa di fisso e immobile. Stiamo descrivendo un brano del Sofista, in cui si sostiene che le idee non possono essere solo ferme nella loro eternità perché con ciò non sarebbero in grado di spiegare alcunché mancando della possibilità di conoscere, di rapportarsi tra loro e di spiegare così la realtà; tutte operazioni, queste ultime, attinenti alla vitalità del movimento piuttosto che alla fissità di ciò che non è sensibile.
Questo è per certi versi il contrasto cui Platone medita, e nonostante poi per la filosofia ad esso successiva esso sarà una dei nodi di tutta la storia della filosofia più difficili da sciogliere o comprendere, (il
dualismo del mondo sensibile e intelligibile, soggetto e oggetto, pensiero ed essere, ontico e ontologico), tuttavia per il filosofo greco esso è da considerare come un sinonimo e fonte di vitalità intellettuale, fulcro essenziale del sapere, di quel sapere che lungi dal restare chiuso in schemi e principi autoconclusivi, offre invece di sé il lato del dialogo, della domanda che resta dialetticamente aperta, indubbiamente il lato migliore.
Carlo Vespa
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