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Riflessioni Filosofiche

Riflessioni Filosofiche   a cura di Carlo Vespa   Indice

 

Platone e le Upanişad

di Giorgio Peri - Novembre 2017

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- Introduzione
- Riflessione Metodologica
- Platone e le Upanişad
- Upanişad: Storia e terminologia

- Elenco delle Upanişad e breve dizionario terminologico
- Platone
- Le analogie tra Platone e le Upanişad rilevate nel testo di Scroccaro

- Altre analogie tra Platone e le Upanişad

- Considerazioni finali
- Bibliografia

 

 

INTRODUZIONE

 

Il mio primo incontro con la filosofia è avvenuto attraverso l'Oriente.
Infatti, avendo frequentato, in gioventù, scuole superiori tecniche e facoltà universitaria di impronta matematica, non avevo mai studiato la filosofia. Solo in seguito, leggendo, fra gli altri, due testi fondamentali per la mia formazione (La via dello zen di Alan W. Watts, e Il tao della fisica di Fritjof Capra), ho incominciato a familiarizzare con i concetti filosofici orientali.
Il mio sogno sarebbe dunque stato quello di approfondire la filosofia orientale. Poi, però, ho constatato di non avere neppure i rudimenti di base della filosofia occidentale e, quindi, da qui sono partito per arrivare, forse, in futuro ancora all'Oriente.
Questa breve premessa spiega la mia costante passione di comparare i due mondi (Oriente e Occidente) e le loro idee di fondo. La scintilla per questo lavoro di tesi è venuta da un articolo scovato tempo fa nel mondo di Internet: Platone e le Upanişad, di Paolo Scroccaro. Fu un colpo di fulmine! Decisi subito che sarebbe valsa la pena di sviluppare e arricchire questo scritto.

Le Upanişad prese in considerazione sono le tredici più antiche (sulle 108 canoniche e le oltre 200 totali). Tale scelta è giustificata dal fatto che le Upanişad considerate sono quelle antecedenti a Platone e, oltretutto, le più importanti anche da un punto di vista storico e filosofico-religioso. Comunque, come verrà meglio chiarito nelle conclusioni di questo lavoro, si esclude che Platone potesse conoscere direttamente o indirettamente queste importanti scritti orientali.
Per dare un'idea concreta di che cosa siano le Upanişad basti dire che il loro messaggio fondamentale si può riassumere in questa frase: “La grande esperienza dell'epoca upanisadica è la scoperta che l'essenza irriducibile dell'uomo è identica all'essenza irriducibile dell'universo”(1).
Ricordiamo infine che ogni singola Upanişad espone, ravvolta in una poetica veste di immagini, non tanto una dottrina particolare quanto la sintesi di una esperienza direttamente vissuta. Anche in Platone le immagini rivestono una fondamentale importanza. Dunque immagine e mito sono strumenti basilari per aiutarci a comprendere la vera realtà ultima che si cela dietro le effimere apparenze, quelle che invece, secondo il Platone interpretato più tradizionalmente, non sarebbero che ombre inconsistenti prive di spessore ontologico.

Le molteplici analogie evidenziate fra il pensiero vedico e quello platonico (anche se, ovviamente, sono presenti pure parecchie dissonanze) ci portano a concludere che le due civiltà superiori, quella indiana e quella greca, avendo avuto percorsi di sviluppo similari, sono giunte, con i loro uomini più saggi, a conclusioni concettuali simili, come sarà meglio chiarito nelle conclusioni di questa tesi.

 

RIFLESSIONE METODOLOGICA

 

Prima di entrare direttamente in argomento, vale la pena di fare una prima necessaria riflessione metodologica a proposito della comparazione filosofica tra Oriente e Occidente: seguirò gli schemi enunciati da Giangiorgio Pasqualotto nel suo articolo Filosofia greca e pensiero cinese: una comparazione filosofica, pubblicato anch'esso tramite Internet il 27.12.2005 (2).  Si parte dall'osservazione che si debba parlare appunto di “comparazione filosofica” e non della più generica “filosofia comparata”. L’espressione “filosofia comparata” può essere fatta risalire al 1923, anno in cui apparve l'opera di Masson Oursel La philosophie comparée. Il limite di questa prospettiva è che “cade nell'illusione che vi possa essere una condizione di totale neutralità nel trattare pensieri e sistemi di pensiero appartenenti a culture e civiltà lontane nel tempo e nello spazio come se fossero oggetti semplici o puri dati di fatto”.
Altro percorso metodologico da evitare sarebbe quello che intende dimostrare l'esistenza di una Verità Unica, Suprema e Perenne utilizzando le concordanze rilevabili tra le diverse manifestazioni di pensiero: Oriente e Occidente sarebbero, secondo questo approccio, solo due tasselli dell'Unica Verità.
La terza via consiste appunto nella comparazione filosofica. Al proposito Pasqualotto scrive nell'articolo sopraccitato: “Questo sforzo non è guidato dall'intento troppo disinteressato di registrare dissonanze e consonanze tra pensieri nati e vissuti in tempi e luoghi fra loro lontani; né è spinto dalla volontà troppo interessata a dimostrare un'unica Verità metafisica che starebbe all'inizio o alla fine di tali pensieri: esso è animato esclusivamente dall'amore per la ricerca, il quale coglie alla base di tutti questi pensieri altrettante tracce lasciate da problemi decisivi e dai tentativi di dar loro risposte. Perciò la filosofia comparata intesa in questa prospettiva [cioè come comparazione filosofica] mostra la sua estrema fedeltà all'idea che ci ha donato Platone, quella di philo-sophia, per la quale ciò che più conta non è sophia, ossia il possesso della verità bensì philein ovvero il movimento di ricerca della verità”. 
E continua scrivendo: “È allora evidente che la comparazione filosofica capovolge l'ordine di ricerca proposto dalla filosofia comparata: essa infatti non parte dai pensieri prodotti in Oriente e in Occidente come fossero morti dati di fatto, compiuti e definitivi, ignorando la natura problematica che li ha fatti nascere ma li assume come segni viventi di interrogativi antichi e tuttavia ancora aperti.”

Importante la sottolineatura, qui fatta, a proposito della ricerca della verità, della “tensione erotica” tipicamente platonica verso la verità. Adotteremo dunque la stessa prospettiva di ricerca cara a Platone: non abbiamo a che fare con uno stato di fatto acquisito (il possedere la verità), ma intendiamo percorrere un cammino, una “via” verso la verità. Anche l'Oriente vedico e post-vedico usa il concetto di “via” verso la saggezza, via costellata da mille difficoltà: si consideri, ad esempio, il problematico cammino del Buddha verso l'Illuminazione. Questo metodo pare dunque il più adeguato a leggere i testi che ci proponiamo di confrontare, in quanto adotta la loro stessa prospettiva di fondo.

 

PLATONE E LE UPANIŞAD

 

L’idea di questa tesi deriva appunto da un lavoro di Paolo Scroccaro(3), pubblicato tramite Internet e avente lo stesso titolo(4), nel quale sono segnalate alcune convergenze tra le opere platoniche e le Upanişad, mentre noi, in questa tesi, tratteremo altre convergenze. Fra le analogie evidenziate dal professor Scroccaro ricordiamo: il mito degli androgini, l’albero rovesciato con le radici in cielo, il mito del carro alato, il sole quale simbolo di verità.
In questa tesi ci soffermeremo invece su altri temi, solo accennati ma non pienamente sviluppati dallo Scroccaro, quali le classi sociali, la trasmigrazione delle anime, la vera conoscenza, e, infine, l’Uno e i Molti.
Una conferma fondamentale della possibilità del raffronto tra Platone e le Upanişad deriva anche dalle parole di Ananda K. Coomaraswamy: “In Oriente una filosofia identica a quella di Platone costituisce ancora oggi una forza viva”(5).

 

UPANIŞAD: STORIA E TERMINOLOGIA

 

Prima di iniziare a parlare del contenuto delle Upanişad pare doveroso un breve accenno alla loro storia e alla loro particolare terminologia. Esse sono commenti sacerdotali ai Veda, i testi sacri dell’Induismo. La parola Veda indica la conoscenza intuitiva, la sapienza primordiale per eccellenza (dalla radice vid, “vedere, conoscere”), il sapere rivelato, la sacra tradizione. I Veda sono quattro: Rig-veda, il più antico che contiene, in 10 libri, 1028 inni: i singoli inni però non risalgono a un unico autore né alla stessa epoca. “Nel più famoso inno del Rg- Veda, la cosmogonia è presentata come una metafisica. Il poeta si chiede come l'Essere abbia potuto originarsi dal non-Essere”(6).

Ci sono poi anche Yajur-veda, Sama-veda e Atharva-veda. Sono raccolte di testi sacri dell'induismo databili intorno al  X secolo avanti Cristo.

È stato notato che, “in quanto rivelazione del Brahman, i Veda sono ritenuti essere il Verbo (vac) manifestantesi attraverso suoni audibili (sàbda)”(7); e più avanti: “Il Veda è increato e la sua infallibilità dimostra l'esistenza e la potenza degli dei, non il contrario”(8).

In questi passaggi viene rimarcata l'importanza del“verbo”, della“parola” increati come inizio della storia universale. Non sono gli dèi a creare: è la parola stessa che crea.

 

La parola Upanişad significa “sedersi ai piedi” di un guru per apprenderne l’arcano insegnamento.
Ci sono 108 Upanişad. Questo numero è sacro per l'India vedica e anche per tutto l'Oriente: Induismo, Buddismo, Giainismo e varie altre religioni orientali lo reputano tale. La sacralità del “108” pare derivare dai tre numeri che lo compongono anche se non sembrano esserci certezze al proposito:
1 (bindu): è il punto da cui inizia la creazione e si sviluppa la moltitudine;
0 (sunyata): è il vuoto, lo stato da raggiungere per liberarsi dal ciclo dell'esistenza;
8 (ananta): indica ciò che èsenza fine, l'infinito.

 

In seguito il numero delle Upanişad fu esteso portando il totale a più di duecento.
Il primo contatto delle Upanişad con l'Occidente si ebbe grazie alla traduzione dal sanscrito antico al latino di Anquetil-Duperron (1731-1805). Anche Arthur Schopenhauer (1788-1860)  assunse alcuni motivi vedici nel suo sistema filosofico e contribuì alla loro diffusione in Europa. Forse però il pessimismo (e la “Noluntas”) di quest'ultimo filosofo vanno ben oltre il progressivo distacco dal ciclo vitale con il conseguente “Nirvana” propugnati dall'Oriente. Schopenhauer sembra voler uscire dalla vita da sconfitto, mentre le Upanişad si propongono di uscirne dopo aver conseguito la saggezza e, quindi, da vincitori.

Esse sono “insegnamenti segreti e, come tali, circondati e protetti da precauzioni speciali”(9). Infatti, le orecchie delle persone di bassa casta che ascoltassero le Upanişad era previsto che venissero riempite di metallo fuso. I testi delle Upanişad del resto“si presentano spesso come intenzionalmente criptici e diretti a una ristrettissima cerchia di iniziati”(10). Contengono considerazioni teosofiche ed esoteriche che hanno il fine di far conseguire l'esperienza dell'identità fra lo Spirito individuale (atman) e lo Spirito universale (Brahman): come già ricordato, “la grande esperienza dell'epoca upanisadica è la scoperta che quest'essenza irriducibile dell'uomo è identica all'essenza irriducibile dell'universo”(11).
Già in questo atteggiamento di rapporto diretto e orale fra maestro e allievo si nota una comunanza fra la mentalità platonica (e prima pitagorica) e quella indiana. Infatti in entrambe le tradizioni storico culturali (l'indiana e la platonica) si coglie un atteggiamento iniziatico riservato a pochi allievi prescelti. Al proposito vale la pena citare Mario Vegetti, che, nella premessa al libro I miti di Platone, in contrasto con una svalorizzazione filosofica dei miti platonici, scrive: “Una tradizione opposta, più recente e negli ultimi decenni molto diffusa, li ha invece considerati come l'espressione più profonda, e una volta ancora più autentica, di un Platone profeta di verità iniziatiche, al di là dello sterile razionalismo di stile sofistico (per dirla in breve, dunque, la Diotima del Simposio, o l'Aristofane dell'uomo erotico perché dimidiato, esprimerebbero più verità delle analisi logico-ontologiche del Sofista o del Parmenide)”(12).

Ricordiamo ancora che ogni singola Upanişad espone, in veste di immagini, non tanto una dottrina particolare quanto la sintesi di una esperienza direttamente vissuta. Anche in Platone le immagini rivestono una fondamentale importanza, come si evince da questa riflessione di Linda Napolitano: “Non sono certa d'aver elencato tutte le possibili ragioni dell'immagine che ho dovuto allenarmi a riconoscere, durante questi esperimenti ermeneutici, e di cui ho dovuto imparare a tener conto: una cosa certo mi è parsa sempre più chiara, vale a dire che, per le sue molteplici e specifiche ragioni, l'immagine non è mai per Platone qualche cosa di poco conto e di sostituibile, qualcosa da buttar là a caso e senza riflessione, qualcosa a cui basti esser solo esteriormente coinvolgente e suggestiva, qualcosa che, pur detto sì per gioco, non abbia senso importante per gli effetti che produce in chi la guarda e l'ascolta e, ancor prima, in colui stesso che la produce. L'immagine platonica è infatti sempre qualcosa che è 'detto a scopo di verità, non di riso': lo recita il passo del Simposio (215 A), scelto non per caso ad esergo del mio lavoro e riferito all'immagine esteriore di Socrate, simile a quelle statuette ridicole dei Sileni che, una volta aperte, rivelano però al proprio interno effigi degli dèi. Ogni immagine vera, per ridicola che a prima vista appaia, potrebbe forse per Platone far lo stesso, rivelare il vero: ciò vale in particolare per la componente dell'anima pure meno disposta a recepir la verità, l'epithymetikòn, quella che si lascia guidare, in veglia ed in sonno, sempre solo da 'immagini e fantasmi', quando questi, a partire dalla mente, si trasmettono correttamente sulla superficie liscia e lucida della sua sede, il fegato, come uno specchio che riflette immagini”(13). Il fatto di “produrre ed esibire immagini vere diviene allora per Platone una questione non solo conoscitiva, ma anche antropologica, relazionale, morale, importante”(14).


 

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NOTE

1) Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, Edizioni dell'Ateneo, Roma 2006, pp. 200-201.

2) Cfr. www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=1517

3) Professore a riposo di Storia e Filosofia a Treviso, da molti anni è il principale animatore dell'Associazione Filosofica Trevigiana. Ha ottenuto il Diploma di perfezionamento in Filosofia delle scienze presso l'Università di Padova e Certificato Internazionale in Ecologia umana rilasciato dalle Università di Parigi, Bruxelles e Padova. Suoi principali campi di interesse, di ricerca e insegnamento sono la Metafisica e la comparazione fra Oriente e Occidente.

4) Cfr. www.estovest.net/tradizione/platoupanish.html

5) Ananda K. Coomaraswamy, Sapienza Orientale e Cultura Occidentale, Rusconi, Milano 1998, p. 27.

6) M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, Sansoni, Firenze 1979, volume I, p.  247.

7) Pio Filippani-Ronconi, (a cura di), Upanisad antiche e medie, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 503.

8) Ibidem.

9) Ivi,  Prefazione, p. VIII.

10) Ivi, p.  XI.

11) Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni, cit. pp. 200-201.

12) Mario Vegetti, Prefazione, in Franco Ferrari (a cura di), I miti di Platone, Rizzoli, Milano   2006, p. 8.

13) Linda M. Napolitano Valditara, Platone e le ragioni dell'immagine, Vita e Pensiero, Milano 2007, Introduzione, p. XII.

14) Ivi, p. XIX.


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