Riflessioni Filosofiche a cura di Carlo Vespa Indice
La filosofia di Carlo Cattaneo
di Giancarlo Iacchini
Dalle macerie ideologiche del Novecento
possono riemergere tutte le possibili varianti
del vecchio irrazionalismo, oppure invece i
frammenti di una ragione non ideologica, con
la "r" minuscola, troppo a lungo eclissata dai
"sistemi" dominanti. E' l'auspicio di questa
seconda possibilità che ci induce a
ricostruire una filosofia, quella di Carlo
Cattaneo (1801-1869), considerata spesso una
non-filosofia semplicemente perché "aperta" e
non sistematica, delitto capitale la cui
condanna si sconta perfino nei manuali
scolastici.
Protagonista delle "cinque giornate di Milano"
e fondatore della rivista "Il politecnico"
(formidabile ancorché isolato contributo al
progresso sociale ed allo svecchiamento della
cultura nazionale), Cattaneo contribuì al
Risorgimento italiano con una teoria politica
originale e anticonformista, che sfugge ad
ogni semplicistico tentativo di
classificazione: un merito considerato a lungo
un difetto in tempi dominati da ideologie
totalizzanti e fideistiche e da dogmatici e
rassicuranti manicheismi. Egli ad esempio fu
repubblicano in una folla di monarchici
(isolato in questo al pari di Mazzini);
democratico e radicale in un'epoca di
perdurante assolutismo, autoritarismo ma anche
liberalismo conservatore; federalista tra
fitte schiere di centralisti ("Il federalismo
è la sola forma di unità che sia possibile con
la libertà, con la spontaneità, con la natura;
è la teoria della libertà, l'unica possibile
teoria della libertà". E dunque era da lui
inteso come fine, per l'Italia e per l'Europa,
mentre neoguelfi e liberali moderati
piemontesi ne facevano semplicemente un mezzo
utile al processo di unità nazionale);
europeista e cosmopolita quando il sacro verbo
era il nazionalismo, sia pure quello "buono"
della prima metà dell'Ottocento (fu sempre
istintivamente refrattario alle trombe della
retorica patriottica, pur sentendosi
profondamente italiano); laico sia rispetto
alla religione ecclesiastica che a quella
politica di Gioberti o di Mazzini;
integralmente liberale e proprio per ciò
progressista, avverso al conservatorismo
cavouriano ed aperto alla soluzione della
questione sociale; risoluto difensore della
scienza e del progresso, divulgatore
dell'economia e della sociologia in un
ambiente, quello italiano, ancora tutto
pervaso di spiritualismo e umanesimo letterario e in gran parte estraneo alla
cultura tecnico-scientifica dei paesi europei
economicamente più avanzati.
Ecco allora da queste imbarazzanti
contraddizioni con il suo tempo, da questa
straordinaria e provvisoria inattualità, i
motivi per cui la "combinazione" suggerita da
Cattaneo - che dopo un secolo e mezzo sembra
valida fino all'ultima cifra per aprire la
cassaforte del presente - fu oscurata da
soluzioni meno avveniristiche e comunque più
agganciate, per un verso o per l'altro, al
comune sentire dell'epoca, come quelle
proposte da Mazzini (repubblica, centralismo,
democrazia, religione), Gioberti (monarchia,
federalismo, religione), Balbo e D'Azeglio
(monarchia, federalismo, liberalismo) o Cavour
(monarchia, centralismo, liberalismo).
L'impegno politico è teorizzato esplicitamente
da Cattaneo: "La filosofia è una milizia",
sostiene: dev'essere qualcosa di "utile", che
serva a "trasformare la faccia della terra"
per garantire, secondo il vecchio auspicio di
Bacone, il benessere materiale e spirituale al
maggior numero possibile di individui. Questa
"filosofia militante", come di conseguenza
l'ha definita
Norberto Bobbio, accomuna
pensiero e azione, teoria e "prassi" in una
prospettiva politica riformatrice, che diffida
di utopistici salti rivoluzionari e
scorciatoie egualitaristiche (le quali
"demolirebbero la ricchezza senza riparare
alla miseria") ma allo stesso tempo avversa
fieramente il conservatorismo dei ceti
aristocratici ed anche il moderatismo
prevalente tra i liberali, in nome di un
liberalismo radicale e progressivo ritenuto in
sintonia con le concrete esigenze della
moderna borghesia produttiva, classe
autenticamente "rivoluzionaria" nell'Italia
arcaica e rurale dell'epoca. Tali innovative
idee politiche sono connesse, in maniera tutt'altro
che casuale, proprio a quel "non-sistema"
filosofico che ci sembra ancora poco
conosciuto e valorizzato (al punto da essere
sbrigativamente archiviato come sottospecie
italiana del
positivismo) e che invece
dispensa una concezione del mondo coerente,
fertile e originale. Del resto è significativo
che Cattaneo, diffidando di tutti gli "ismi",
non si sia mai dichiarato positivista, per
quel tanto di totalizzante, dogmatico e
fideistico - dunque di metafisico - che
riscontrava nelle asserzioni della scuola
fondata da
Comte (accusò quest'ultimo di
"misticismo"). Certo, una salda e ottimistica
fiducia nei "fatti", nella scienza e nel
progresso emerge con forza nei passi che
citeremo, ma ci pare avesse ragione Ludovico Geymonat a definire Cattaneo "un illuminista
dell'Ottocento", ed anche Norberto Bobbio
quando avvertiva: "Se positivista poté
sembrare, fu per quel tanto che il positivismo
accolse e riprodusse dell'illuminismo". E se
un abbozzo di schematismo si renderà ora
necessario nel riassumere qui di seguito con
un certo ordine i concetti essenziali della
filosofia di Cattaneo, non va dimenticato il
carattere aperto e creativo di un pensiero che
vuole interpretare e cambiare la realtà
(cambiando con essa) senza mai pretendere di
ingabbiarla entro schemi rigidi e
preconfezionati. Una filosofia della libertà,
insomma, per la libertà della filosofia,
contro tutti i "sistemi": questo ci sembra il
più genuino principio ispiratore
dell'insegnamento di colui che Franco Lombardi
definisce "il pensatore più moderno che nei
tempi moderni abbia avuto l'Italia".
-
Se la filosofia vuole ritrovare un senso e una funzione nel mondo moderno, deve muovere dall'esperienza, dalla vita, e non da idee e categorie astratte; deve respingere ogni comprensione aprioristica e dogmatica della realtà; deve fare ogni sforzo per diradare la "nebbia" della metafisica, ancora molto fitta soprattutto nel nostro paese: in ultima analisi, deve aprirsi senza remore alla scienza ed alla società. Mentre infatti la storia della scienza ha costruito il progresso umano, la storia della metafisica è "un cumulo di macerie", in quanto ogni pensatore ha distrutto le teorie altrui per sostituirvi le proprie. In questo modo la filosofia si avvita da secoli in un "circolo vizioso" che va finalmente spezzato: ecco perché la filosofia non equivale alla storia della filosofia e non va ridotta ad essa.
-
Quando la metafisica postula un "principio primo" (essere, sostanza, spirito, ecc.) a spiegazione del mondo reale, su quest'ultimo in realtà non dice nulla: "Rimosse tutte le forme e tutti i colori, restano le tenebre. Concepire la sostanza è assurdo quanto vedere le tenebre". Contro il sapere vuoto e illusorio di "tutte le scuole eleatiche, spinoziane, idealistiche, braminiche e buddiste", sarebbe stata dunque necessaria anche in filosofia quella rivoluzione che il metodo sperimentale ha generato nelle scienze naturali. "Ma purtroppo qual'è ora la filosofia, discorde da tutto il sapere umano, sprezzatrice delle scienze positive, e corrisposta da ogni operosa mente con eguale disprezzo, tutta carica di ricerche insolubili, di dubbi assurdi e di più assurde dimostrazioni, sarebbe un vastissimo perditempo per la gioventù, anche quando non le ispirasse funesta presunzione, e stolto odio per quelle discipline sperimentali che fanno la potenza e la gloria delle moderne nazioni, e solo dividono dall'evo medio il moderno".
-
Come risolvere allora la stridente e sempre più intollerabile contraddizione tra il progresso delle scienze e il ristagno della filosofia? Imponendo finalmente anche a quest'ultima, risponde Cattaneo, quella "rivoluzione copernicana" che neppure Kant ha portato fino in fondo, impigliato com'era nei residui della vecchia metafisica: trasformando cioè la filosofia in "una scienza di riassunto, di connessione, di sintesi" dei risultati a cui approdano le scienze, sintesi che esse "non possono fare entro i loro particolari confini". La filosofia dovrà pertanto "seguire il volo delle scoperte", organizzare la riflessione generale sui problemi, i metodi e i risultati delle scienze, e può farlo essendo "lo studio di quel pensiero umano che tutte le produce". Detto in forma assai suggestiva, "essa è la ragione dell'uomo che cerca la ragione dell'universo" e la sua ritrovata "umiltà" è solo apparente: Siccome la filosofia sorge dal complesso del nostro sapere, così essa dipende dallo stato di tutte le altre scienze. La filosofia è come una lente che raccoglie tutti i raggi della luce scientifica. Essa non fa luce ma la raccoglie; e la concentra in una azione più potente, illuminando quelle scienze stesse da ciascuna delle quali riceve un raggio. Così tutti i progressi delle singole scienze e della filosofia si danno scambievole soccorso". Più volte Cattaneo ricorre alla metafora della lente: "Allora la filosofia sarà il nesso comune di tutte le scienze, l'espressione più generale di tutte le varietà, la lente che adunando gli sparsi raggi illumina ad un tempo l'uomo e l'universo"; che "gli sparsi lumi delle scienze rivolge a miglior indirizzo di ciascuna di esse, e infine se ne vale a norma della ragione pratica e della vita fisica e morale". Se la filosofia è chiamata a rivestire questo ruolo, occorre che "accetti alacremente quanto le altre scienze hanno scoperto e vanno ogni dì scoprendo intorno all'uomo e all'universo. E coordini sollecita tutte quelle nuove idee. Poi cerchi nello studio speciale di tutti i fatti dell'uomo quanto può illuminare i segreti, altrimenti inaccessibili, della coscienza umana. Muova dai fatti, per indurre alla forza che li genera; e come ragion vuole, proceda dal noto e dal certo all'incerto e all'ignoto".
-
A proposito delle difficoltà di incasellare un pensiero filosofico che sfugge alla facili classificazioni: sbaglierebbe chi deducesse dall'approccio decisamente antimetafisico di Cattaneo, nonché dall'esplicita predilezione per il metodo induttivo, una sua adesione alla tradizione empiristica: "Le operazioni dell'intelletto non cominciano né con la sensazione, né col giudizio, né con altra separata sezione delle umane facoltà, ma con tutto il loro complesso, e in modo prima oscuro e debole, che con l'esercizio si va rischiarando, fino al completo sviluppo della ragione". E all'interno di una impostazione così globalistica della questione gnoseologica, se resta ovviamente possibile una doverosa "distinzione analitica" delle facoltà, non ha più senso una contrapposizione radicale tra materia e spirito: "Per la qual ragione riesce ugualmente falsa quella dottrina che riduce ogni principio alla materia, e quella che riduce tutto allo spirito; perché né con l'una né con l'altra si comprendono tutti i fatti dell'essere umano".
-
Dall'unione delle facoltà della singola mente, il cerchio tracciato da Cattaneo si estende alle "menti associate", ovvero alla comunità di tutti gli individui, ed infine al legame tra questo consorzio umano e la natura: "La filosofia per noi si può definire: lo studio dell'uomo nelle sue relazioni più generali agli altri esseri. La definizione da noi preferita pone ad oggetto primario lo studio dell'uomo senza isolarlo dagli altri uomini e dalla natura". Ciò significa in sostanza, per la filosofia, prendere atto del suo carattere sociale: "L'atto più sociale degli uomini è il pensiero". E sociali - precisa Cattaneo - sono tutte le attività della mente, dalla sensazione alla memoria, dall'immaginazione alla riflessione astratta, poiché maturano non nell'irreale situazione di un individuo isolato (come mostra di credere Cartesio con il suo "cogito") ma all'interno di un determinato ambiente e di una determinata società, sotto la spinta di condizioni, bisogni e interessi reali che modellano la volontà e di conseguenza anche l'intelletto. Quell'aria fresca di apertura antiidealistica, propria del materialismo storico marxiano a lui contemporaneo, si respira a pieni polmoni anche nelle pagine di Cattaneo. "Il maggior numero delle nostre idee non deriva dal nostro individual senso e dal nostro individual intelletto, ma dai sensi e dagli intelletti degli uomini associati nella tradizione e nel commercio del sapere comune e dei comuni errori". Contro "l'orgogliosa povertà" della metafisica, pertanto, si deve "arricchire" la filosofia facendola nascere "dal mondo delle cose" (Bacone, Locke e l'empirismo) ma anche "dal mondo della storia" (Vico, Marx). "Da questo terreno tutto storico e sperimentale deve sorgere l'intera cognizione dell'uomo, la quale invano si cerca nelle latebre della solitaria coscienza".
-
Per conoscere l'uomo occorre studiare "ciò che fa": da Vico (ma anche sviluppando alcune intuizioni di Hobbes e Gassendi) Cattaneo riprende il principio del "vero-fatto", estendendolo a tutte le scienze sperimentali in cui la verifica sta nel "fare" ovvero nel "riprodurre" il fenomeno che stiamo indagando e di cui vogliamo scoprire la legge. Ben lontani, in questo, dal "criterio dell'evidenza" di cui parla Cartesio: non è forse vero, ad esempio, che "l'immobilità della terra" ci appare come "la cosa più evidente"? In effetti è soltanto la prassi che dissolve i fantasmi della speculazione astratta: "Il dubbio metafisico - sentenzia Cattaneo - è per l'animo umano una pratica impossibilità".
-
La legge, in cui si esprime "la costanza dei fenomeni", è l'erede scientifica della vecchia "idea" filosofica, contrapposta per troppo tempo alla "apparenza" dei fenomeni. Contro il "buddismo" metafisico di Schopenhauer (il "velo di Maya") ma anche in parte contro il "trascendentalismo" di Kant, Cattaneo sostiene con forza che i fenomeni non sono "apparenza", "illusione", "caos", bensì l'unica vera realtà, di cui dobbiamo scoprire ordine e connessioni. "Poterono gli antichi disprezzare i fenomeni, e opporli all'idea, perché i fenomeni non erano ancora ordinati e interpretati in idea"; nell'epoca moderna, "mirando tali fenomeni in terra e in cielo, noi non proviamo più quella vertigine che costringeva i saggi antichi a ritrarre gli occhi dalle cose del mondo per acquetarli nelle tenebre dell'ontologia". D'altra parte l'esistenza di un ordine necessario dei fenomeni naturali e sociali, esprimibile dall'intelletto umano attraverso le leggi (la cui verità è certo "relativa" ma solo nel senso di "parziale e incompleta"), costituisce anche una smentita teorica e pratica di quelle forme estreme di empirismo che sfociano nello scetticismo (Hume) e che congiurano, al pari della metafisica, contro la scienza e l'intelligenza dell'uomo.
-
Il progresso non nasce soltanto dal carattere scientifico e sperimentale del pensiero, ma anche dal suo pluralismo. Più sono le idee in libera competizione fra loro, più solida è la garanzia di progresso; "quanto più civile è un popolo tanto più numerosi sono i princìpi che nel suo seno racchiude". Un sistema è "aperto" quando assicura la pluralità dei princìpi e la dialettica attraverso la quale essi nascono, lottano fra loro e si sviluppano, tramontano per sempre o per rifiorire ancora in forme nuove. Può accadere infatti - ed è accaduto spesso nella storia - che "un medesimo ordine di idee, che dapprima fu progresso, diviene poi decadimento"; che "le dottrine più audaci sono ridotte dal tempo ad aride regole, a formule viete, a consuetudini stupide e servili"; ma si assiste a volte anche al processo inverso, per cui "ogni dì vediamo princìpi che sembravano abbattuti per sempre dalle contrarietà dei tempi rifocillarsi tratto tratto, e palesar la tenace loro sopravvivenza" fino a riguadagnarsi sul campo una valenza progressiva. Ecco perché, con concetti che anticipano di un secolo - fin nella terminologia - la lezione epistemologica e politica di Popper, Cattaneo mette in guardia contro ogni totalitarismo: "I sistemi devono tenersi sempre aperti; un sistema compiuto e chiuso diviene il sepolcro dell'intelligenza e della virtù che lo ha tessuto", mentre "un sistema aperto può somigliare a una gioventù perpetua, come appunto è ogni scienza sperimentale". E mette in guardia altresì, con parole simili, contro ogni utopia di società perfetta, contro l'idea metafisica di una sintesi ultima della dialettica storica: "Uno stato immutabile e universale sarebbe il comune sepolcro del progresso e dell'intelligenza, e per ultimo di ogni valore morale".
-
E' dunque l'antitesi, la contraddizione, a costituire la molla del progresso nella storia e nel pensiero. Ogni nuova idea nasce "dal conflitto di più menti" ed è a sua volta in lotta con le idee precedenti. Tutto ciò presuppone non individui isolati, ma "menti associate" entro le quali si generano le contraddizioni: "Antitesi delle menti associate è, a parer mio, quell'atto con il quale uno o più individui, nello sforzo di negare un'idea, vengono a percepire una nuova idea; ovvero quell'atto col quale uno o più individui, nel percepire una nuova idea, vengono, anche inconsciamente, a negare un'altra idea". Congetture e confutazioni, insomma, per usare la celebre espressione popperiana: una "logica della scoperta scientifica" - e della ricerca filosofica in generale - già formulata dunque chiaramente, in pieno Ottocento, negli scritti del pensatore italiano.
-
"Libertà e verità! Signori, scrivete queste parole sulle porte di tutte le università". L'appassionato appello conclusivo è alla responsabilità dell'uomo di cultura, chiamato ad esercitare la missione progressista che gli compete: "Chiunque non voglia appartenere al medioevo, si volga con fede all'avvenire, e si getti in braccio alle nuove scienze e alla civiltà". Mentre i dogmi di ogni metafisica, così come i fanatismi e le superstizioni, dividono gli uomini, la scienza li unisce: "Oramai non dobbiamo curarci di rinvenire tra le reliquie del mondo fossile l'unità primordiale del genere umano. Da dovunque sia venuto, il genere umano procede alla libera unità del pensiero". Ecco allora lo speciale "internazionalismo" di Cattaneo, la "globalizzazione" a lui più cara: "La nazione degli uomini studiosi è una sola. E' la nazione delle intelligenze, che abita tutti i climi e parla tutte le lingue. Al di sotto di essa sta una moltitudine divisa in mille patrie discordi, in caste, in gerghi, in fazioni aride e sanguinarie. L'intelligenza si muove al di sopra di questo pelago; essa sparge in ogni parte i libri, i musei, le scuole, le studiose associazioni". Dal che scaturisce l'umile e al tempo stesso altissimo imperativo etico che egli propone, innanzitutto a se stesso: "Il dover nostro è conferire le poche forze nostre a questa impresa comune dell'umanità. Noi dobbiamo partecipare a questa guerra tra il progresso e l'inerzia, tra il pensiero e l'ignoranza, tra la gentilezza e la barbarie, tra l'emancipazione e la servitù".
GIANCARLO IACCHINI
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
|