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Umana-mente di Eliana Macrì

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Pitagora e i numeri

Maggio 2022


Una delle massime all’interno della scuola, fondata da Pitagora a Crotone tra il 532 e il 531 a. C. durante uno dei suoi viaggi in Magna Grecia, recitava:

“Chi è il più saggio? Il numero.
Cosa c’è di più bello? L’armonia”.
Il filosofo di Samo credeva che l’origine, l’archè, di tutte le cose fosse il numero, nel senso che tutte le cose e tutte le loro relazioni possono essere espresse da numeri, allo stesso modo in cui l’armonia della musica è il frutto di rapporti numerici.

Il bello, prendendo a prestito parole dello scrittore Goethe, è una manifestazione di arcane leggi della natura. E proprio a partire dall’osservazione dell’importanza dei numeri nella determinazione di fenomeni naturali - le stagioni, gli anni, i mesi, le ore, i cicli dello sviluppo biologico rispondono a un tempo regolato da numeri – e dallo studio della musica, i pitagorici giunsero ad affermare che il numero è il principio costitutivo di tutte le cose. E per i greci conoscere la natura (physis) significa conoscere le cose in quanto connesse le une alle altre, governate da leggi e rette da un principio unitario, incluso l’uomo stesso che non è contrapposto alla natura. Per cui natura è sia la totalità degli esseri sia il principio costitutivo di ciascuna cosa, il numero per la scuola pitagorica.
Applicando le idee pitagoriche all’astronomia, Keplero, nelle Armonie del mondo, sostenne che le relazioni matematiche tra le orbite dei pianeti seguono un piano armonico stabilito da Dio cui corrisponde una musica cosmica. La stessa musica che per Goethe è congelata nell’architettura.

Chiavi di accesso all’essenza stessa delle cose, archetipi universali della conoscenza, i numeri rendono intelligibile il mondo, rivelando di ogni cosa la struttura geometrica.
Non entri qui chi non è geometra recitava l’iscrizione all’ingresso dell’Accademia di Platone. Ed è proprio Platone che nel VI libro della Repubblica, ricorrendo all’immagine di una linea per spiegare i gradi della conoscenza, affida alla scienza del numero e delle forme geometriche la funzione di preparare l’animo umano all’ultimo grado di conoscenza, il più elevato, quello che ha per oggetto il mondo delle idee. I numeri, in quanto ciò che permane sempre identico a se stesso al variare delle cose che pure simboleggiano, sono il ponte che permette il passaggio dal vedere con gli occhi al vedere con la mente. Uno strumento di catarsi affinché gli uomini possano progredire nel cammino che li renderà aristoi, i migliori per intelletto e virtù.

Ecco che il numero assume una valenza mistica, la cui conoscenza rendeva elitaria una scuola come quella pitagorica aperta a tutti anche alle donne e agli stranieri, sia pure dopo un periodo di noviziato fatto di riti e dure prove purificatorie in cui fondamentale era la regola del silenzio: i noviziati – chiamati acusmatici dal verbo greco akouein che significa ascoltare – erano tenuti al silenzio e non erano ammessi alla presenza del maestro che parlava loro da dietro una tenda, in attesa che la loro anima divenisse pronta ad accogliere le verità più nascoste e per questo più essenziali.
Ma qual era la concezione di numero che avevano i pitagorici e in che senso il numero esprime la natura stessa delle cose?

Il numero è un’entità concreta, occupa uno spazio ed ha un’estensione e una forma. Ad ogni numero corrisponde una figura geometrica che i pitagorici erano soliti raffigurare con dei sassolini. Solo l’Uno, in quanto sorgente di tutti i numeri, non è considerato esso stesso un numero. Ciò che l’unità rappresenta non può che essere al di là di ogni delimitazione e distinzione, compresa la prima opposizione numerica fondamentale da cui tutte le altre si generano, quella fra pari e dispari.
E se la natura delle cose si modella su quella dei numeri, tutte le opposizioni/complementarietà esistenti nel mondo non potranno che essere ricondotte a numeri.

I numeri pari rappresentano il dominio dell’illimitato e proprio per questo sono imperfetti, mentre nei numeri dispari abita la perfezione, in quanto, se divisi a metà, ci sarà sempre un’unità interposta fra queste due parti che pone un limite alla divisione e chiude quello che i greci definivano il cerchio della perfezione.
Il limite che rende la natura sorprendentemente perfetta secondo il professore Bartleboom, uno dei personaggi del romanzo Oceano mare di Baricco, che si ostina a volere trovare i limiti del mare per racchiudere tutti i limiti del mondo in un’enciclopedia, mentre il ritrattista Plasson è alla ricerca degli occhi del mare per rubarne il mistero con il suo pennello e affidarlo ai confini di una tela. Il limite è ciò che ricorda all’uomo che è capace di concepire l’illimitato, sono i tre cerchi concentrici di tre colori diversi che resero corto il dire e fioco il concetto di Dante alla visione dell’eterno. È la parola che rende manifesto il silenzio, ma evoca il non manifesto. È la finitezza dell’uomo che lo rende capace di dare il giusto valore alle cose. È la morte che eleva ogni uomo alla forma più sublime di amore, il morire per l’altro.

L’opposizione pari-dispari la ritroviamo nella polarità yin-yang della tradizione estremo-orientale, nel femminile e maschile in cui si scinde l’Uno, che a sua volta produce il tre. I numeri pari corrispondono allo yin perciò sono femminili o passivi, mentre i numeri dispari corrispondono allo yang, quindi sono maschili e attivi. Queste due categorie si ricollegano alla luce e all’ombra, in tutte le cose il lato luminoso è yang e il lato oscuro è yin, e poiché sono inscindibili l’uno dall’altro, essi appaiono più come complementari che come opposti. La chiarezza non è altro che una giusta distribuzione di luci e ombre.
Il numero due è dunque l’incarnazione degli opposti: maschile/femminile, giorno/notte, cielo/terra. La linea è la figura geometrica che lo raffigura, è il pensiero che può prendere strade opposte per i pitagorici, ma anche, essendo il primo numero pari, il simbolo dell’energia femminile, il numero da sempre attribuito alla Grande Madre Terra.

Primo numero dispari, il tre è un numero attivo e possiede una grande forza energetica. È il simbolo della conciliazione, tanto il due separa quanto il tre riunisce. La sua espressione geometrica è il triangolo. È il primo numero di armonia, di soluzione del conflitto dualistico, e per questo è considerato perfetto.  È la Grande Triade della tradizione estremo-orientale, Cielo Terra Uomo, dove l’uomo non è solo il prodotto dei reciproci influssi fra i primi due elementi, ma anche il termine mediano che li unisce. È la sintesi, il terzo stadio della dialettica hegeliana nel divenire delle cose, la riaffermazione del positivo della tesi, il primo momento, ma ad un livello superiore, perché passato attraverso il secondo stadio, il momento dell’antitesi, della contrapposizione, della negazione, attraverso quello che Hegel chiama il travaglio del negativo.

Il quattro rappresenta la materia, il mondo fisico. I quattro punti cardinali, i quattro elementi della terra, fuoco acqua terra aria, le quattro trasmutazioni alchemiche, ma anche l’equilibrio e la giustizia per i pitagorici. Il quaternario era, inoltre, il simbolo usato da Pitagora per comunicare ai discepoli l’ineffabile nome di Dio.
Il cinque incarna il matrimonio, l’unione del primo pari con il primo dispari.
Il sei, in quanto interazione di due triangoli, è l’unione del cielo e della terra, del maschile e del femminile che genera l’armonia degli opposti. Il sei evoca anche la prova iniziatica, la scelta e l’impegno dell’iniziato a seguire la via della crescita spirituale.
Il sette è il kairòs, l’occasione, il momento opportuno ma anche il tempo critico, in riferimento a certi periodi della vita umana. Simbolo di santità per i Pitagorici, Platone lo chiama anima mundi. È il perfezionamento della natura umana quando congiunge in sé il ternario divino con il quaternario terrestre.
L’otto, esaltando la natura concreta e tangibile del quattro, indica la legge, il rigore e la regola.
Il nove è il numero della generazione e della reincarnazione. Proprio perché si riproduce in ogni moltiplicazione, per Pitagora simboleggia la materia che si scompone e si ricompone continuamente. Ultimo numero delle cifre essenziali che rappresentano il cammino evolutivo dell’uomo è il simbolo della realizzazione.

Rappresentato dalla tetractys, un triangolo equilatero avente quattro punti per ogni lato, su cui i pitagorici erano soliti giurare, il dieci contiene in sé tutti i numeri, pari e dispari.
Nella tradizione estremo-orientale è l'unione del Cielo, la perfezione attiva, e della Terra, la perfezione passiva, del principio maschile e di quello femminile, nessuno dei quali in sé è la perfezione assoluta.
Dieci sono i corpi celesti come dieci sono per i pitagorici le coppie di contrari che si originano dalla prima opposizione del pari e del dispari.
Il dieci è il simbolo della perfezione e dell'armonia che regna su tutto l’universo e che i corpi celesti, muovendosi, riproducono in una musica sublime. Quella stessa musica che Siddharta, nell’omonimo romanzo di Hesse, imparerà a sentire in un’unica voce, un unico respiro, un unico divenire, quello di un fiume che purifica e prepara alla conoscenza.

E tutto insieme, tutte le voci,
tutte le mete, tutti i desideri,
tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male,
tutto insieme era il mondo,
Tutto insieme era il fiume del divenire,
era la musica della vita.

Eliana Macrì


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