Umana-mente
di Eliana Macrì - indice articoli
Nietzsche e la Cambogia
Ottobre 2021
Sono stata in Cambogia, Siem Riep, un vorticare di luci rosse e gialle al ritmo dei motorini che ti sfrecciano sui marciapiedi e sei costretto a camminare per strada, dove non c’è asfalto ma piedi, piedi nudi di tutte le età che si mischiano con la terra che calpestano, ne rubano il colore e se lo trascinano dietro, sopra i tuk tuk che utilizzano per portare in giro i turisti e guadagnarsi la giornata. Non hanno scarpe per attraversare i confini della loro città e sognano un giorno di visitare la capitale Phnom Penh, ti chiedono di disegnare la tua di città cosicché possano vederla e custodirla in un quadernetto che mostrano a ogni nuovo viaggiatore che ospitano sul loro tuk tuk. Le ragazze portano al collo una borsa con del ghiaccio, la loro bellezza si annida tra la polvere e il sudore in attesa di piombarti addosso non appena per un dollaro ti hanno dato gran parte delle bevande che portavano con sé. Sorridono, i loro occhi sembrano felici adesso, proprio come quando nei villaggi celebrano i matrimoni fra gli elefanti o vanno a prendere al mercato un sacchetto di patate per prepararti qualcosa da mangiare, dato che non hanno nulla di tutto quello che c’è scritto sul menù.
Beh, loro sono abituati a mangiare altro, ma il punto non è questo: lontani dalla nostra tecnologia, dal progresso, dalla moda, dall’ossessione per il corpo – nei pullman c’è un piccolo televisore e tutti lo guardano con entusiasmo e stupore, forse non in tutte le case c’è una tv, i programmi televisivi sono molto semplici e ingenui, per noi quasi banali – nei villaggi restano fedeli alla terra e sembrano goderne a pieno.
Vi potrà sembrare assurdo, ma è stato lì, su quella terra rossa, tra quei volti che ti sorridono anche quando non capiscono l’inglese che tu provi a parlare e che molti di loro non conoscono e i bambini ti salutano da alberi per cui hanno piedi e mani così veloci da raggiungere la vetta e nascondersi tra le foglie, lì ho compreso fino in fondo il messaggio che il filosofo Nietzsche ci ha lasciato in eredità, il più grande valore che l’uomo può creare: amare la propria sorte, qualunque essa sia, anche nei suoi momenti più dolorosi, e non perché in un’altra vita saremo salvati, ma perché la vita è tutto quello che noi abbiamo.
Sappiamo tutti che Nietzsche non era un mostro quanto a salute, ma più stava male, più cercava dentro di sé la forza per stare bene, per amare il proprio destino nonostante fosse amaro. Per quanto la vita possa non andare affatto bene, bisogna glorificarla accettandola fino in fondo, non dire “domani cambierà”, ma sopportala amandola anche perché, per il filosofo dell’eterno ritorno sarà così uguale per sempre.
Quando si trovava a Torino – Nietzsche era innamorato dell’Italia e del suo cibo, considerava infatti la cucina piemontese la migliore da lui conosciuta – scriveva alla madre dicendole di essere diventato famoso, che i suoi libri erano letti a Copenaghen, New York e Pietroburgo, in realtà ai tempi delle lettere non era ancora così, questo accadrà dopo quando la follia prenderà il sopravvento conducendolo alla morte. Si racconta che i soldati tedeschi della prima guerra mondiale portassero nel loro zaino una copia di Così parlò Zarathustra, in cui, ci piace pensare, trovavano un motivo in più per restare attaccati alla vita anche in guerra.
Nietzsche soffriva di forti emicranie che lo portarono ad abbandonare la cattedra di filologia a Basilea che aveva ottenuto a soli venticinque anni nel 1869, pur non essendo laureato, per il suo notevole talento. Una profonda inquietudine lo rese un viandante tra la riviera francese e quella italiana, semicieco, durante il giorno passeggiava dando forma letteraria alle sue idee che la sera scriveva o dettava. Diceva di avere delle visioni e forse è per questo che le sue opere sono piene di metafore e allegorie e scritte in forma aforistica. Nietzsche racconta che un giorno mentre passeggiava si sedette su una pietra e gli si presentò un’immagine che al tempo stesso lo spaventò e lo attrasse: quella dell’eterno ritorno dell’uguale.
Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»?
Dopo più di duemila anni, Nietzsche recupera una concezione precristiana del mondo, presente nella Grecia presocratica e nelle più antiche civiltà indiane, per cui il senso dell’essere e della vita risiede in ciò che Nietzsche chiama il divenire caotico e dionisiaco delle cose, da cui solo può derivare all’uomo la forza vitale per raggiungere la felicità. Dioniso è un dio di origine orientale trapiantato in Grecia, da cui secondo Nietzsche ha origine lo stesso mondo greco. Nietzsche, infatti, insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte. È sul terreno di questa visione dionisiaca dell’esistenza e dal tentativo di sublimare il caos nella forma, ossia dallo sforzo di trasfigurare l’orribile e l’assurdo in un mondo definito e armonico, capace di rendere accettabile la vita stessa, che nasce lo spirito apollineo, dal dio Apollo che rappresenta la ragione, la forma, il dominio. Nietzsche smonta l’immagine tradizionale della Grecia come un mondo di serenità e armonia, mostrando come sotto questa patina di compostezza e dominio di sé, si cela qualcosa di sconvolgente, di visceralmente tellurico. Un’operazione simile la farà Freud nell’ Interpretazione dei sogni, svelando come ogni pensiero, ogni comportamento dell’uomo ha una sua spiegazione a livello dell’inconscio che determina ogni aspetto della nostra personalità. È come se i due spiriti che per Nietzsche sono alla base della civiltà greca convivano all’interno dell’uomo di cui noi vediamo solo la patina di un equilibrio che nasconde una tensione fra forze opposte.
Per il discepolo di Dioniso, l’accettazione totale ed entusiastica della vita, trasforma il dolore in gioia, dolore e gioia, infatti, sono uniti da un legame tale per cui non c’è l’uno senza l’altro, anzi più il dolore viene vissuto fino in fondo più l’uomo ha la possibilità di raggiungere la felicità.
La vita – scrive Nietzsche – è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini, però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli.
Ed è facile lasciare scorrere il tempo seduti alla stazione per paura di prendere il treno sbagliato, sono istanti che potrebbero cambiare completamente direzione alla nostra vita, ma che, per chissà quale motivo, non ce ne rendiamo conto e ci trasciniamo per le fermate della stazione convinti di non potere mai raggiungere la felicità.
Per Nietzsche l’uomo non deve lamentarsi della propria sorte, ma deve superare sé stesso. È questo il messaggio ultimo di Così parlò Zarathustra.
Zarathustra è un altro nome di Zoroastro, il fondatore della religione persiana, ma che in realtà rappresenta l’alter ego di Nietzsche: più la vita va male, più si sente vicino a questo profeta iranico di migliaia di anni fa, destinato a fondare una nuova religione. Nietzsche lo presenta come colui che annuncia il superuomo e l’eterno ritorno.
Questo è proprio l’inizio dell’opera: “Io vi insegno il superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato”.
Ma cosa sarà mai questo superuomo? Il superuomo è un uomo capace di sopportare il suo dolore, senza compensazioni di tipo religioso o d'altro genere, perché sa che solo attraversandolo fino in fondo potrà conoscere la gioia.
Il superuomo ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prenderne atto per quella che essa è, è in grado accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell'esistenza e di dire sì alla vita, un sì entusiastico che crei nuovi valori ispirati alla vita stessa e alla terra.
Il superuomo è un uomo che ha superato le metamorfosi del cammello e del leone e adesso ha scoperto o riscoperto il fanciullo che ha dentro, l’unico capace di un sacro sì alla vita. Si è liberato dei gravi fardelli che da cammello si trascinava scoprendo la libertà di creazione e progettazione della propria vita con il leone, ma solo il fanciullo crea nuovi valori.
Il fanciullo vive la vita come se ogni istante fosse sempre il primo, assapora il mondo come fosse ogni giorno nuovo, ama il proprio destino e lo vive come se ogni volta fosse il primo giro di ruota. Superuomo è semplicemente l’uomo che riesce a vedere oltre, a comprendere che il dolore è un momento necessario, a trovare dentro di sé la forza per percorrerlo fino all’ultimo passo dopo il quale ad attenderlo vi è la vita, sempre la stessa, a volte crudele a volte madre, ma vista con occhi nuovi, con gli occhi del fanciullo che ognuno cela dentro di sé e che ci ricorda cosa può significare essere uomini e fino a che altezza un uomo possa elevarsi.
Eliana Macrì
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