Umana-mente
di Eliana Macrì - indice articoli
Ipazia
Gennaio 2021
La storia ci tramanda tanti nomi di uomini morti in nome della libertà di pensiero, da Socrate a Giordano Bruno, da Thomas More a Giovanni Gentile. Nomi dietro i quali si cela una ragione che non si è piegata alla paura e alla morte, una ragione che non ha mai rinnegato la sua natura “pensante”, una ragione per dirla “alla Foucault” che ha avuto il coraggio della verità. Ma di tutti questi nomi, che sull’onda dei secoli sono giunti al nostro cospetto affinché siano per noi fonte di insegnamento, ce n’è uno al confine tra memoria e oblio, tra le maglie di un intreccio di eventi, testimoniati dalla storia, e di emozioni, conseguenze e cause di situazioni sempre più complesse e complicate che si allontano così tanto dalla loro origine da sembrare di seguire una logica tutta loro, indipendente da noi uomini che le creiamo. Però, capita che in certi momenti storici e nella mente di grandi pensatori quest’intreccio si snodi mostrando nella sua interezza ogni filo di cui si compone e i meccanismi che legano ciascun filo agli altri. È proprio in questi momenti che l’intuizione filosofica coglie un aspetto della verità. Questo aspetto ha il nome di Ipazia. Filosofa, matematica, astronoma, maestra di pensiero e di comportamento nell’Alessandria d’Egitto tra il IV e il V secolo d. c, ad essa solo poche righe dedica la maggior parte dei manuali di filosofia della cultura europea occidentale.
Alessandria in quel tempo era un crocevia di culture e religioni diverse, siamo infatti all’alba della proclamazione dell’editto dell’Imperatore Teodosio che consacrava il Cristianesimo religione di Stato e vietava i culti pagani. I cristiani dell’Impero d’Oriente avevano adesso l’appoggio del potere temporale e Cirillo, vescovo di Alessandria, era una delle maggiori autorità ecclesiastiche del tempo.
Fulcro del mondo e della cultura tardo antica, la città d’Egitto, dilaniata da lotte fra le tre grandi confessioni religiose paganesimo ebraismo e cristianesimo, è al suo tramonto.
In un sistema di credenze in cui ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è falso si contrappongono in modo netto e indiscusso, giustificando spesso orrori e violenze in nome di un presunto bene in lotta con un presunto male, la ragione rischia di soccombere.
In un mondo in cui la forza della ragione si frantuma davanti le sacre scritture, non c’è più posto per Ipazia, accusata di empietà per le sue teorie astronomiche che contraddicono la verità enunciata dai libri sacri, per il non piegare mai la sua libertà di pensare e dubitare alle credenze imposte dal dogma cristiano, per il suo essere donna in grado di insegnare la saggezza dell’agire politico agli uomini.
Unica donna che Raffaello ritrae nella sua Scuola di Atene, nel cuore del Vaticano, Ipazia era il centro della cultura ad Alessandria; aveva, infatti, ereditato dal padre la cattedra di filosofia presso il Museo alessandrino fondato settecento anni prima da Tolomeo.
Il Museo era un luogo senza tempo, dove la parola scritta degli antichi maestri del sapere umano diventava orale sulle labbra di nuovi maestri che facevano rivivere le teorie e il pensiero dei saggi di ogni tempo e luogo affinché fossero da modelli di comportamento in una società afflitta dalle continue violenze.
Ipazia, unica donna maestro, teneva le lezioni di filosofia, ma l’altissima, questo è infatti il significato del suo nome, ebbe il merito far rivivere la filosofia anche per le strade, insegnandola a tutti coloro che lo desiderassero. L’amore con cui condivideva il suo sapere fece sì che il popolo l’ammirasse e le massime autorità politiche la ritenessero saggia e degna di essere ascoltata prima di importanti decisioni per la vita dell’Impero.
Lo storico pagano Damascio scrive che "la donna, gettatosi addosso il mantello e facendo le sue uscite in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo". Ipazia incantava e incantando insegnava a pensare. La filosofia è figlia dell’incantesimo e dello stupore, lo stesso stupore degli occhi dei bambini di fronte alle meraviglie del mondo che col tempo lasciano il posto, negli occhi degli adulti, alle ovvietà del mondo.
Ipazia godeva di una posizione sociale inusuale nel mondo greco. La libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, infatti, la poneva in modo sapiente davanti le autorità della città e non era motivo di vergogna per lei stare sola in mezzo a uomini. Amata dai suoi allievi, fu fonte di scandalo e oracolo di temperanza. Tutti la rispettavano per la sua profonda saggezza e provavano verso di lei un timore reverenziale che in alcuni, purtroppo, si tramutò in rabbia e invidia culminanti nel barbaro omicidio avvenuto nel marzo del 415 d. C. “Alcuni, dall'animo surriscaldato, - scrive lo storico bizantino Socrate - guidati da un lettore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario: qui, strappatale la veste, la uccisero colpendola con i cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati questi pezzi al cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco". Umiliata, denudata, lapidata, fatta a pezzi e bruciata, del suo corpo non è rimasto nulla, nemmeno un’iscrizione sepolcrale a ricordarla.
Nella cultura greca la sepoltura dei corpi è sacra: Antigone, eroina della tragedia di Euripide, diede la sua vita in cambio di un’onorata sepoltura al fratello; Achille concesse una tregua ai Troiani affinché tributassero i giusti onori al corpo di Ettore morto in battaglia.
Ipazia era greca o, forse sarebbe meglio dire, pagana, una pagana al tempo delle conversioni coatte al cristianesimo. Ma sarebbe riduttivo definire Ipazia una pagana uccisa da un gruppo di monaci cristiani. Ipazia è la voce della ragione soffocata dal dogma, è la libertà di pensiero di fronte a una verità che non può essere messa in discussione, ma solo accettata. La filosofia è per sua stessa natura nemica di ogni dogmatismo, è un continuo dubitare di sé e della vita e del rapporto tra sé stessi e la vita. La sua essenza è l’inquietudine, uno stato di tensione, di continua ricerca, dove ogni conquista non è chiusura ma apertura verso un nuovo cammino. L’anima stessa è per sua natura inquieta, non può mai stare in pace, scalpita proprio come i cavalli della biga alata di Platone, metafora del cammino dell’anima umana verso la conoscenza. L’uomo è la sua anima e la sua vita è filosofia. La filosofia - come evoca la stessa parola che ne indica l’essenza, da phileo che significa amare - è amore e Amore, come si legge nel Simposio di Platone, è figlio di Poros e Penia, il quale ha ricevuto la natura di entrambi i genitori: l’astuzia del padre e la fame della madre che lo spinge a una continua ricerca. Non è né immortale né mortale, a volte nello stesso giorno vive e muore e risorge continuamente. Lo stesso amore Ipazia comunicava ai suoi discepoli, al di là delle differenze religiose, le sue lezioni, infatti, erano aperte a tutti, cristiani e pagani, basti pensare che uno dei suoi più devoti allievi, Sinesio, divenne in seguito vescovo di Cirene.
Ciò che è strano è che dopo la sua morte nessuno si proclamò suo allievo, forse le cause ancora una volta affondano le loro radici nella paura: Cirillo, un tempo vescovo di Alessandria oggi dottore e santo della Chiesa, considerato dalle testimonianze di storici del tempo il responsabile del truce delitto, temeva che gli insegnamenti di una donna sapiente potessero turbare l’equilibrio della neonata religione dell’Impero, costruito sul dominio, sulla violenza e sull’imposizione; di contro gli eredi dell’insegnamento di Ipazia rimasero nel silenzio per ben trent’anni per paura di uno dei vescovi più potenti di tutto l'Impero d'Oriente.
Uccisa nel corpo e nella memoria, di lei non ci è giunto alcuno scritto. Gli storici Socrate Scolastico e Filostorgio, sfidando le ancora in carica autorità spirituali e temporali responsabili del suo assassinio, scrissero di questa donna circa vent’anni dopo la sua morte. Se oggi possiamo ricordarla è soprattutto merito loro.
Ipazia credeva in un mondo in continua evoluzione, retto da un ordine segreto del cielo che solo attraverso l’intuizione filosofica poteva essere svelato e condiviso. Un ordine che fa da specchio al mondo umano e che è in grado di mostrare come il disordine della vita umana sia solo apparente. Ipazia professa ante litteram la teoria galileiana che annulla ogni dualismo fra cielo e terra, sostenendo che un unico principio regola la sfera celeste e quella umana, dove non esiste alcuna imperfezione, ma solo una diversa perfezione. La volontà della filosofa di cogliere il segreto movimento degli astri, al di là di ogni apparenza, si scontrava con la concezione di un mondo immutabile e retto da un ordine manifesto ed enunciato dalle sacre scritture.
Ipazia, infatti, metteva in discussione la teoria cosmologica aristotelico-tolemaica secondo cui la terra è immobile e il sole si muove attorno ad essa secondo orbite circolari. Già il filosofo Aristarco di Samo aveva intuito che a muoversi non è il sole ma la terra, adesso ad essere messo a dura prova è il moto circolare.
Ipazia aveva una profonda fede filosofica nel cerchio, figura geometrica perfetta nel mondo greco perché chiusa e finita. Tutto ciò che è infinito, infatti, è indeterminato e per i greci imperfetto, mentre tutto ciò di cui si può scorgere inizio e fine in un continuum armonico è simbolo di perfezione. Ma, per la prima volta, la filosofa alessandrina, erede del pensiero platonico, si chiede se l’imperfezione di ciò che non è cerchio sia solo apparente. Il non essere per Platone è solo un essere diverso, non implica necessariamente il male. Ipazia, nel IV d. C., approda alla teoria, confermata in pieno Rinascimento da Keplero, che la terra si muove intorno al sole disegnando un’ellisse, la quale non è che un cerchio molto speciale i cui due fuochi si sono avvicinati a tal punto da sembrare uno solo.
Come l’ellisse è un’imperfezione solo apparente, anche il mondo morale e delle credenze umane solo in apparenza può essere regolato da un unico ideale centro ordinatore del mondo. Più religioni possono, infatti, convivere come fuochi di un’unica orbita che non ha più un solo centro ordinatore sulla base del principio che siamo tutti uomini che aspiriamo alla felicità. Questo è un insegnamento il cui valore supera gli anfratti spazio-temporali del mondo e come fenice risorge sempre dalle sue ceneri alla ricerca di un senso di autenticità che affonda le sue radici nell’umanità più originaria.
Questo è l’insegnamento di una donna che osservando il mondo imparava a guardare nella propria interiorità. Questo è l’insegnamento di Ipazia che, guardando il cielo e ipotizzando possibili spiegazioni del movimento degli astri, mostrava una via, nuova e temuta da occhi non abituati a vedere, ma familiare per occhi in grado di cogliere la vera bellezza che desta meraviglia. Una via che parla a uomini e donne di ogni tempo e luogo affinché possano orientarsi dal cielo alla terra, in fondo il termine rivoluzione nasce in campo astronomico e indica il movimento che la terra compie girando su stessa, forse che la via da seguire sia quella di un ritorno nella propria interiorità alla ricerca delle ragioni su cui si fondano le nostre convinzioni e credenze? Un ritorno la cui grandezza e il cui valore si misurano nelle relazioni con gli altri.
Eliana Macrì
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