Umana-mente
di Eliana Macrì - indice articoli
Conosci te stesso
Marzo 2022
Sul tempio di Delfi era incisa una scritta: “Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei”. Possiamo dire di conoscere veramente noi stessi e il mondo che ci circonda? C’è un momento della vita in cui possiamo affermare di possedere questa conoscenza? Uno dei Setti sapienti, Solone sosteneva che di un uomo si può veramente dire se sia stato felice solo alla fine della sua vita, proprio perché questa fino a quando c’è è soggetta a continui cambiamenti. E della conoscenza possiamo dire lo stesso?
I greci credevano che gli uomini potessero conoscere il proprio destino attraverso l’oracolo di Delfi. Qui il dio Apollo parlava mediante le labbra della sacerdotessa Pizia, che in uno stato di torpore guidava coi suoi responsi le decisioni di molti capi che non muovevano guerre senza averla prima consultata.
Ad un certo Cherofonte, la Pizia disse che il filosofo ateniese Socrate era il più sapiente tra tutti gli uomini. Socrate, il quale amava passare intere giornate per le vie di Atene a dialogare con la gente, a pungolarla affinché imparasse a pensare al di là dei pregiudizi radicati in ogni uomo che vive nel tempo e nello spazio, non poteva accettare passivamente un tale responso. Anche perché lui era fermamente convinto che l’unica sapienza umana possibile e praticabile è il sapere di non sapere. Gli uomini sono sapienti sulla base di una misura che è umana e in quanto tale finita. Loro credono di sapere, ma in realtà restano imbrigliati in costrutti di pensiero troppo legati alla realtà che hanno sotto mano, la quale è solo un aspetto di una verità che si alimenta della continua ricerca che l’uomo fa di se stesso e degli altri.
Socrate è il filosofo della ragione e della parola, del pensiero e della sua condivisione. Socrate è il filosofo del logos e il logos in Grecia è sia la legge interna all’universo, sia la ragione umana in grado di comprenderla, sia la parola umana in grado di dirla. Il linguaggio umano è vero logos quando spiega il principio più profondo delle cose.
Il logos socratico deve adesso penetrare il responso divino e l’unica via percorribile è quella del confronto con gli altri, diventando così dialogos. Il dialogo socratico spezza, dunque, la monoliticità del logos ed introduce un’alternanza che inchioda la necessità ai suoi limiti. Nel confronto bisogna essere pronti a qualsiasi esito e questa è una grande lezione di umiltà da parte del filosofo ateniese: il rischio di tenere la porta aperta al mondo è quello di non sapere chi entra e chi esce.
Socrate era come un tafano che pungolava la coscienza degli ateniesi. Cominciò, infatti, a tempestare di domande i venditori di belle frasi e provava un certo piacere nello sgonfiare i loro otri colmi di un inutile sapere. Socrate è la coscienza degli ateniesi, la loro buona e cattiva coscienza. Non era più possibile dopo averlo incontrato, continuare a dormire sul cuscino delle false certezze, gli uomini perdevano la sicurezza ingannevole delle loro false evidenze. Socrate rendeva gli uomini scontenti, esigenti con se stessi, comunicava loro la smania di conoscersi. I suoi discorsi e la sua personalità sbigottivano, commuovevano, gettavano l’anima in tumulto. Per il suo aspetto inquietante, fu paragonato alla torpedine di mare che intorpidisce chi la tocca, allo stesso modo Socrate gettava il germe del dubbio e dell’inquietudine nell’animo di chi lo avvicinava. Era come le statuette di sileni che gli scultori tenevano nelle botteghe: brutte d’aspetto, ma se aperte custodivano immagini divine. Socrate incantava e la filosofia stessa nasce dall’incantesimo, dallo stupore e dalla meraviglia. Ma la filosofia è anche figlia dell’aporia: l’uomo è sì il soggetto del filosofare, ma è un soggetto questionabile, perché l’uomo è mistero a se stesso. La filosofia è l’essenza stessa dell’inquietudine, è un continuo dubitare di sé e della vita e del rapporto tra se stessi e la vita. L’inquietudine è uno stato di tensione, di continua ricerca, dove ogni conquista non è chiusura ma apertura verso un nuovo cammino. L’anima scalpita, è per sua stessa natura irrequieta, non può mai stare in pace. L’uomo è la sua anima e la sua vita è filosofia. La filosofia - come evoca la stessa parola che ne indica l’essenza, da phileo che significa amare - è amore e Amore, come si legge nel Simposio, è figlio di Poros e Penia, il quale ha ricevuto la natura di entrambi i genitori: l’astuzia del padre e la fame della madre che lo spinge ad una continua ricerca. Non è né immortale né mortale, a volte nello stesso giorno vive e muore e risorge continuamente. In perenne tensione verso la verità, Socrate infonde il dubbio perché è in dubbio, e il suo strumento è l’ironia. L’ironia aggredisce la sua preda sfiorandola, è un arma vitale e non letale, la cui essenza consiste in una continua tensione tra il ludico e il serio, è veramente serio chi è in grado di essere anche ludico. Se si pensa l’essere bisogna pensarlo anche capace di non essere, la vera onnipotenza è anche impotenza. L’ironia è libertà rispetto l’oggetto, è distacco, è ri-pensamento, non esiste più un solo punto di vista, ma svariate sfumature si perdono l’una nell’altra per ritrovare la loro essenza in un tutto armonico. Ironia è imparare a leggere tra le righe e a pensare tra i concetti. Essere padroni di sé nell’ironia significa mettersi in gioco. Non si può raggiungere la felicità senza prima passare attraverso l’aporia, senza porsi di fronte a se stessi come problema a se stessi. Ecco perché la filosofia è vita, è movimento e continua ricerca di sé attraverso gli altri. Il sapiente è colui che assapora, chi assapora sa e chi sa assapora la vita. L’assoluto si attinge attraverso l’uomo, Socrate dimostra, mostrandolo, che la sapienza umana è finita, talmente finita che al cospetto di quella divina è nulla. Socrate incarna il limite umano, una vita priva di ricerca non è degna di essere vissuta e il primo passo è ammettere di non sapere.
Eliana Macrì
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