TESTI per riflettere
Ricordi Sogni Riflessioni
Di Carl Gustav Jung
Da Ricordi Sogni Riflessioni - Rizzoli
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Noi sappiamo che è l'ignoto, l'estraneo, che viene a noi; così come sappiamo che non siamo noi che facciamo un sogno, una trovata, che in qualche modo sorge spontaneamente. Quel che ci capita pertanto può dirsi un effetto che proceda da un mana, da un demone, da Dio, o dall'inconscio. Le prime tre denominazioni hanno il pregio di comprendere e di evocare la qualità emotiva del numen, mentre l'ultima - l'inconscio - è banale e perciò più vicina alla realtà. Quest'ultimo concetto include l'idea dello sperimentabile - e cioè la realtà quotidiana, così come ci è nota e accessibile. L'inconscio è un concetto troppo neutro e razionale perché, praticamente, possa aiutare l'immaginazione. Il termine, dopo tutto, fu coniato per scopi scientifici, ed è molto più adatto a una considerazione spassionata, priva di pretese metafisiche, di quanto non lo siano concetti trascendenti, che sono contestabili, e pertanto capaci di indurre a un sicuro fanatismo.
Preferisco pertanto il termine «inconscio», sapendo che potrei egualmente bene parlare di «Dio» o di un «demone», se volessi esprimermi in linguaggio mitico. Quando adopero tale linguaggio mitico so bene che «mana», «demone» e «Dio» sono sinonimi dell'inconscio, perché dei primi sappiamo altrettanto o altrettanto poco dell'ultimo. Si crede soltanto di saperne molto di più - e per certi scopi tale fede è molto più utile ed efficace di un concetto scientifico.
Il grande vantaggio dei concetti di «demone» e «Dio» sta nel fatto di rendere possibile una migliore obiettivazione dell'opposto, e cioè di consentirne una personificazione. La loro qualità emozionale conferisce loro vita ed efficacia. Odio e amore, paura e riverenza entrano in scena e drammatizzano in sommo grado il dialogo. Così ciò che è semplicemente «esposizione» diventa «azione». Tutto l'uomo è impegnato ed entra in campo con tutta la sua realtà. Solo allora può diventare completo, e solo allora può «nascere Dio», e cioè entrare nella realtà umana e unirsi all'uomo in figura di «uomo». Con questo atto di incarnazione l'uomo - cioè il suo io - è interiormente sostituito da «Dio», e Dio si esteriorizza come uomo; secondo il detto di Gesù: «Chi vede me, vede il Padre.»
È a questo punto che diventa evidente l'inadeguatezza della terminologia mitica. La comune concezione che il cristiano ha di Dio è quella di un padre creatore del mondo onnipotente, onniscente, e infinitamente buono. Se questo Dio vuole diventare uomo gli si richiede una incredibile kenosis (= svuotamento) per ridurre la sua totalità all'infinitesimale misura dell'uomo; e anche allora si intende difficilmente perché l'uomo non venga ridotto in frantumi dall'incarnazione. I teologi hanno perciò sentito la necessità di dotare Gesù di qualità che lo innalzano al di sopra della comune umanità. Prima di tutto gli manca la macula-peccati (la macchia del peccato originale) e già per questo, se anche non per altri motivi, è per lo meno un uomo-dio, o un semidio. L'immagine cristiana di Dio non può incarnarsi nell'uomo empirico senza contraddizioni, a parte il fatto che l'uomo con le sue caratteristiche esterne sembra ben poco adatto a rappresentare un dio.
Il mito deve finalmente prendere sul serio il monoteismo e mettere da parte il suo dualismo (ufficialmente negato) che ha continuato fino ad ora a lasciare sussistere un oscuro antagonista a fianco all'onnipotente Bene. Esso deve ammettere la filosofica complexio oppositorum di Nicola Cusano, e l'ambivalenza morale di Jacob Boehme; soltanto così all'unico Dio può essere accordata la perfetta compiutezza e la sintesi degli opposti. Chi ha sperimentato che, attraverso i simboli, gli opposti si possono «naturalmente» unire in modo da non divergere e non essere più in conflitto tra loro, ma in modo tale che si completino vicendevolmente e diano forma e significato alla vita, non trova più difficile concepire l'ambivalenza nell'immagine di un Dio-natura o di un Dio creatore. Al contrario, capirà allora il mito della necessaria incarnazione di Dio - l'essenza del messaggio cristiano - come il proficuo confronto dell'uomo con gli opposti e la loro sintesi nel «Sé», la totalità della sua personalità. Le inevitabili contraddizioni interne nell'immagine di un Dio-creatore possono essere riconciliate nell'unità e nella totalità del «Sé» come coniunctio oppositorum degli alchimisti, o come unio mystica. Nell'esperienza del «Sé» non sono più, come prima, gli opposti Dio e uomo, che sono riconciliati, ma piuttosto gli opposti che sono all'interno dell'immagine di Dio stesso. È questo il significato del «servizio divino», del servizio che l'uomo può rendere a Dio, affinché la luce possa emergere dalle tenebre, e il Creatore possa divenire conscio della Sua creazione, e l'uomo di se stesso.
Questa è la meta, o una meta, che inquadra significativamente l'uomo nella creazione, e che allo stesso tempo da a questa un significato. È un mito chiarificatore che lentamente ha preso forma dentro di me nel corso di decenni. È una meta che posso riconoscere ed apprezzare, e che perciò mi appaga.
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