Riflessioni Teosofiche
di Patrizia Moschin Calvi - indice articoli
La concezione della libertà in Krishnamurti
Di Silvano Demarchi
- Agosto 2013
Krishnamurti fu uomo libero e lo dimostrò non solo attraverso il suo pensiero, ma con la sua vita, quando, sconvolgendo i piani di Annie Besant, che l’aveva cresciuto come un figlio intravvedendo in lui il novello Istruttore, sciolse l’Ordine della Stella d’Oriente e tra la delusione generale preferì far parte per se stesso, forse per non essere vincolato dal culto della Personalità. Da allora in poi, girando il mondo e tenendo conferenze dinanzi a migliaia di persone che accorrevano per ascoltare la sua parola, volle rimanere libero da ogni forma di condizionamento da parte di strutture organizzate o di ideologie. Nel libretto La vita liberata, che raccoglie le sue conferenze sul tema della libertà, si vede come egli cerchi costantemente di liberare la mente dell’uomo da dogmi, convinzioni assolute, forme d’intransigenza intellettiva, gusti preformati, ideologie religiose o politiche che, come abbiamo potuto constatare attraverso la storia, hanno sempre imprigionato la mente dell’uomo nell’illusione di presentare la verità e inducendolo agli eccessi del fanatismo per la sua propagazione o difesa. Scrive il Maestro: “Io combatto contro tutte le tradizioni che legano, contro tutte le adorazioni che limitano, contro tutte le partigianerie che corrompono il cuore. Se volete trovare quella verità verso cui vorrei indirizzarvi cominciate, come feci io, con l’essere scontenti, con l’essere in rivolta, col dissentire interamente da tutto ciò che vi circonda”. La libertà viene dunque intesa, filosoficamente, come liberazione, solo che il campo viene ampliato, non più liberazione dalle passioni che ci legano ai sensi e ai beni terreni, ma liberazione soprattutto della mente da ogni forma di tirannia e di imprigionamento, giacché dalla mente parte il comportamento umano. E dunque: “Se bramate la libertà combattete, come io ho combattuto contro qualsiasi genere d’autorità, perché autorità è antitesi di spiritualità”. Non ci debbono essere capi perché ognuno deve diventare il capo di se stesso. Queste affermazioni, che potrebbero apparire anarchiche, in realtà non lo sono perché inducono l’uomo ad essere pienamente se stesso e ad accettare l’autorità della propria coscienza.
“Quando siete liberi – dice Krishnamurti – come l’uccello nell’aria, la vostra vita diventa semplice. La vita è complicata solo quando vi è limitazione. Allora avete bisogno di tradizioni e di credenze per sostenervi”. Si pensi a questo riguardo a tutte quelle regole imposte dalle varie confessioni religiose - in particolare dall’islamismo che è il più restio ad evolversi col mutamento del costume verso la piena liberazione dell’uomo - che creano nell’essere umano una seconda natura, prospettando verità illusorie di natura escatologica che nessuno ha mai potuto verificare e costringendolo a pratiche inutili quanto mortificanti, a restrizioni nei confronti della donna ritenuta inferiore all’uomo. “Quando vi staccate da ogni cosa – prosegue Krishnamurti – allora vi staccate dal vecchio ordine per entrare in quella nuova vita che vi condurrà verso la perfezione, che è liberazione e felicità”. Come si vede, la libertà non è il fine ultimo, ma la condizione preliminare e indispensabile per raggiungere la perfezione, lo sviluppo interiore, per unirsi, come egli dice, con l’Amato. “Quando avete stabilito l’Amato nel vostro cuore, la sorgente e la foce sono unite e il tempo più non esiste, poiché avete in voi l’Eternità”.
Con esplicito riferimento personale egli dice: “Soffersi, ciononostante mi accinsi a liberarmi da tutto quanto mi legava, finché, alla fine, mi unii all’Amato ed entrai nel mare della liberazione”. Che cosa sia in realtà l’Amato non è facile a dirsi, lo stesso Krishnamurti gira intorno a questo concetto cercando di definirlo più con immagini che con parole esplicative; forse, induisticamente, si tratta dell’unione dell’Ātman con il Brahman, dell’io interiore o Sé superiore con il Trascendente. Da certe espressioni: “Finché non fui capace di identificarmi con la meta, che è l’Amato di tutti…. Finché non fui capace di unirmi con l’Eterno… finché non fui certo di aver trovato la meta imperitura… ora che ho stabilito l’Amato in me stesso, ora che l’Amato è me stesso ecc.”, si ha l’impressione che si tratti proprio di questo ed è facile intravedere l’analogia con il richiamo agostiniano: “noli foras ire, in interiore homine habitat Veritas”. In altre parti dei suoi discorsi, il Maestro parla della Vita, invitando ad amarla: “Siate innamorati della vita, siate fedeli alla vita e non alle persone, perché l’adorazione delle personalità non vi conduce alla Verità. La Verità non appartiene ad alcun individuo; la Verità non appartiene ad alcuna religione”. Infatti, non sono la dottrina, l’astratta conoscenza, l’ossequio alla tradizione, la pratica del rito, l’esercizio di minuziose regole che ci danno la verità ma la vita stessa nella complessità delle sue esperienze che provocano l’intuizione e che vede la verità calarsi nel concreto dell’esistenza. Così la pensava anche il Mahatma Gandhi. Con un altro riferimento personale, che ci richiama quanto abbiamo detto all’inizio, Krishnamurti confessa: “Io non ho voluto essere grande nel lontano futuro, ma ho desiderato essere felice nel presente, ho voluto essere al di là di tutte le limitazioni del tempo…. Non vivete nel futuro e neppure nelle cose morte di ieri, ma vivete piuttosto nell’immediato presente, ben comprendendo che siete il prodotto del passato e che, per mezzo della vostra azione d’oggi, potete controllare il domani, divenendo così padroni del tempo”. Vivere infatti nel passato, attraverso i ricordi o proiettati nel futuro, significa trovarsi fuori del presente e condurre una vita irreale, lasciarsi dominare dal tempo e non essere i suoi dominatori, subendo tutte le delusioni del caso.
Come si vede, il pensiero di Krishnamurti è problematico come quello di Socrate e di Platone, pur non mancando di disegnare delle direttive generali che ciascuno deve far proprie, egli non mira mai a creare un sistema chiuso di nozioni astratte razionalmente concatenate o dedotte, ma vuole solamente offrire degli spunti di riflessione, far balenare delle mete (l’Amato, la Vita, la Verità) perché l’uomo possa pervenire a quell’equilibrio interiore in cui risiede la felicità, ma soprattutto vuole preliminarmente liberare l’uomo, la sua mente, da tutti i vincoli e condizionamenti che gli impediscono di essere pienamente e autenticamente se stesso e poter dire, come il Mahatma Gandhi, “Se voglio soddisfatta la mia anima, debbo pensare a modo mio”.
Silvano Demarchi
Silvano Demarchi, già professore di filosofia e materie letterarie negli istituti superiori, preside a riposo e già presidente dell’Associazione Culturale “Dante Alighieri” di Bolzano, ha ottenuto nel 1981 il “Premio cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri”. Tra le sue numerose opere ricordiamo quelle di carattere filosofico e teosofico.
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