Riflessioni sulla Tecnosophia
di Walter J. Mendizza - indice articoli
La tecnologia non avrà la tua anima
Luglio 2014
L’articolo di questo mese vuole essere una risposta a quello di Carlotta Maria Correra apparso su www.lintellettualedissidente.it dove l’autrice prospetta un’ipotesi neoluddista avversa a quella di Tecnosophia, e cioè che il fine ultimo della sopraffazione tecnologica è depauperare l'uomo delle capacità umane per facilitare la sottomissione alle logiche capitalistiche, perché se ad ogni schiavismo segue, o per lo meno “si aspira a” una ribellione, perché, al contrario, vi è assuefazione nei confronti della dittatura tecnologico-capitalista?
Fu Umberto Galimberti a conclusione del suo saggio Psiche e Techne, 1999, che scrisse occorre evitare che l’età della tecnica segni quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più “Che cosa possiamo fare noi con la tecnica? Ma che cosa la tecnica può fare di noi?” . Tuttavia, ammesso di aver varcato quella fatidica soglia, possiamo fare una domanda ancora più insidiosa e chiederci se ad esempio l’uomo tecnologico è più o meno “umano”: Per molti neoluddisti antiprogressisti la risposta è scontata e dice più o meno così: l’uomo si è ulteriormente spogliato di umanità laddove la macchina sta prendendo a poco a poco sempre più le sembianze umane. Così almeno sembra pensarla l’autrice Carlotta Maria Correra. E perché, di grazia, l’uomo si priverebbe della propria umanità per rassomigliare sempre più ad una macchina? Perché, dicono i neoluddisti, l’individuo moderno viene piano piano spogliato di ogni capacità percettiva, cognitiva ed intellettiva. Ma questo è assolutamente vero! Tecnosophia ha sempre cercato di denunciare l’addormentamento culturale, cognitivo e intellettuale delle persone che sono inserite di proposito in una rete di disinformazione che non permette loro di “conoscere per deliberare”, come diceva Einaudi. Ma questa verità non permette di concludere alcunché né a favore né contro la tecnologia.
Il problema non nasce dalla tecnologia come abbiamo già tante volte espresso. Essa in sé non è né buona né cattiva, ma è un’arma a doppio taglio a seconda di come la si usa. Non sarà mai il coltello in sé il pericolo, ma l’uomo che lo usa. Lo stato dilagante di malessere, non può essere dovuta alla tecnologia o al presunto abbandono degli “equilibri naturali” qualunque cosa questa espressione possa significare. Né si può affermare che l’uomo delegando la sua vita alla tecnologia, fa che quest’ultima non sia più percepita come qualcosa di inanimato, ma come qualcosa d’indispensabile per “esserci nel mondo”.
Si tratta di una illazione non suffragata dai fatti dato che gli esempi concreti: dove starebbe questa presunta tecnologia che sta prendendo le sembianze umane? Non può essere una dimostrazione l’esempio fatto a riguardo dell’automobile, secondo cui l’auto, da mero strumento produttivo, si è personificata, ad immagine e somiglianza dell’uomo stesso. A parte il fatto che più che da uomo, da donna verrebbe caso mai da segnalare, giacché il genere della parola “automobile” iniziò al maschile (originariamente si diceva “un auto” senza apostrofo come si può vedere dai manifesti futuristi del 1909) e poi si impose l’uso del genere femminile (un’auto) in maniera molto esplicita dalla stessa pubblicità che da sempre ha abbinato “donne e motori” reclamizzando le auto con immagini di belle ragazze. Tuttavia va da sé che non può essere impostata così una critica alla tecnologia, anche perché questo tipo di pubblicità esiste da decenni sul mercato.
Né può risultare un argomento a favore della personificazione il fatto che l’automobile da mezzo di trasporto si sia trasformato sia in oggetto d’amore, sia nello strumento attraverso cui amare. Come dire che nell’era della rincorsa spasmodica al desiderio, la tecnologia (attraverso la sua massima espressione che è l’automobile) offre un “potenziamento dell’uomo”, ma un potenziamento innaturale, del tipo mordi e fuggi, ossia senza un vero coinvolgimento emotivo. Se è questo il messaggio pubblicitario che passa, rimane pur sempre il fatto che di messaggio pubblicitario si tratta e ancora una volta non vediamo cosa c’entri la tecnologia.
Se poi ci vengono a dire che la tecnologia non media, ma crea un contatto immediato e diretto con il piacere, in quanto riduce sensibilmente lo spazio ed il tempo, che da sempre sono cause di impedimento o di rallentamento della soddisfazione al piacere, ancora una volta non possiamo che dire di sì. In effetti la tecnologia riduce lo spazio e il tempo che da sempre sono cause di rallentamento della soddisfazione. Ma non ci vediamo niente di male in tutto questo. Anzi.
Alla fine gli argomenti neoluddisti si dissolvono come neve al sole. Neppure regge il tentativo di “volare più in alto” adducendo che la vera contraddizione risiederebbe nel fatto che l’uomo è il creatore della macchina da cui oramai è sottomesso. È una frase che indubbiamente ha un certo appeal però che a ben guardare non indica alcun ribaltamento dei ruoli: l’uomo moderno non dipende dalla tecnica più di quanto non dipendesse l’uomo di 100 anni fa o di 500 anni fa. Ciascuna civiltà ha avuto la propria dipendenza dell’oggetto tecnologico della sua epoca. Quindi non possiamo neppure sposare la tesi (peraltro suggestiva) che il fine ultimo della sopraffazione tecnologica è depauperare l’uomo delle capacità umane per facilitare la sottomissione alle logiche capitalistiche. Nulla fa dedurre ciò dagli argomenti apportati e men che meno si può argomentare che la mancanza di ribellione a questo stato di cose è dovuta al fatto che vi è assuefazione nei confronti della dittatura tecnologico-capitalista che, udite udite, si becca il rimprovero di voler eliminare qualunque fatica ed assicurare un’esistenza comoda, protetta, facile e di piaceri immediati.
Walter J. Mendizza
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