Riflessioni sulla Simbologia
di Sebastiano B. Brocchi
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Da Rosenkreuz a Charlie Bucket.
L’Alchimia della Fabbrica di Cioccolato
Settembre 2008
"La Fabbrica di Cioccolato" (2005) é un film per ragazzi a dir poco originale, basato su un romanzo altrettanto bizzarro, opera dello scrittore e aviatore britannico Roald Dahl (1916-1990).
Cosa ci fa, direte voi, “La Fabbrica di Cioccolato” in un articolo della mia rubrica sulla simbologia? Semplice: i racconti per l’infanzia sono spesso intrisi di simboli esoterici di grande spessore. Era così per le fiabe popolari, al tempo dei fratelli Grimm, ed è così oggi, negli anni dei lungometraggi Disney. Non a caso Walt Disney era un massone…
Perché poi associare il nome di Charlie Bucket, protagonista di questo film, al fondatore dei Rosa+Croce? Altrettanto semplice: ho già citato l’importanza dell’opera di Rosenkreuz nel contesto della letteratura alchemica (cfr. “Le Nozze Chimiche di Renzo e Lucia”), e guardacaso moltissimi dei topos ermetici che compongono le “Nozze Chimiche”, si ritrovano, neanche troppo velati, nel romanzo di Dhal e nell’omonimo film di Tim Burton.
La trama della storia: «Charlie Bucket è un bambino che abita insieme ai quattro nonni e ai genitori in una casa di legno. A causa della estrema povertà della sua famiglia Charlie si ciba solamente di cavoli e solo per il suo compleanno riceve in regalo una tavoletta di cioccolato. Nella città del ragazzino è presente la più grande fabbrica di cioccolato del mondo,posseduta dal signor Willy Wonka,che anni prima a causa di spie mandate dagli altri produttori di dolciumi licenziò gli operai e chiuse la fabbrica. Misteriosamente, dopo qualche tempo,lo stabilimento rientrò in funzione senza che gli operai venissero riassunti. Si scoprirà in seguito che Wonka ha sostituito tutti gli operai con gli Umpa-Lumpa, creature esotiche simili a dei nani. Il signor Wonka bandisce un concorso: chiunque trovi uno dei cinque biglietti d'oro sparsi in tutto il mondo e nascosti nelle tavolette di cioccolato è invitato a trascorrere una giornata nella fabbrica e a ricevere una scorta vitalizia di dolci. I fortunati sono Augustus Gloop (un bambino grassissimo), Veruca Salt (viziata orribilmente dai genitori), Violetta Beauregarde (che mastica la stessa gomma da tre mesi) e Mike Tivù (teledipendente). Charlie, dopo due tentativi falliti di trovare il biglietto d'oro, trova un soldo per strada e corre a comprarsi una tavoletta di cioccolato nella quale trova proprio l'ultimo biglietto. Insieme a nonno Joe Charlie vivrà tantissime avventure all'interno della fabbrica di cioccolato...» (da Wikipedia). Durante la visita della fabbrica, avviene una sorta di “selezione” fra i cinque bambini, che verranno tolti di scena uno alla volta, tranne Charlie, al quale Willy Wonka proporrà di diventare l’erede della suo impero del cioccolato.
Iniziamo con l’analizzare il nome del protagonista, Charlie Bucket. Charlie, o Charles, corrispondente dell’italiano Carlo, deriva dal nome francone Karl, a sua volta originato dal germanico Karla, con il significato di “Uomo” o, più avanti nei secoli, di “Uomo libero” (ovvero non soggetto ad alcuna forma di schiavitù). Se la nostra lettura è finalizzata a comprendere l’aspetto iniziatico del racconto, comprenderemo che qui si parla dell’Adam Kadmon, l’essere umano in sé e per sé, franco, libero da ogni appartenenza: potremmo dire l’uomo “ontologico”.
Bucket indica, in inglese, il secchio, o l’idea di “attingere”. Diciamo innanzitutto che il secchio fa parte del ricco apparato di strumenti rappresentati nel laboratorio degli Alchimisti, e a livello concettuale non è molto distante dall’alambicco: Charlie (Uomo) Bucket (secchio) è l’Uomo Alambicco, l’Uomo Vaso (Vas Hermetis), l’Uomo Ricettacolo. È anche l’Uomo “che attinge”, se pensiamo a Bucket come all’idea di attingere l’acqua sorgiva dell’interiorità, l’acqua viva, del “pozzo spirituale”.
Questo “Uomo ricettacolo” o “Uomo che attinge”, è chiamato a compiere un viaggio. Nel caso di Charlie si tratta della visita ad una fabbrica di cioccolato. Nel caso di Rosenkreuz si parla invece del castello del Re e della Regina alchemici.
Tanto Bucket che Rosenkreuz sono fra i pochissimi scelti per intraprendere questo viaggio, il che indica la rarità del sentimento che spinge gli esseri umani alla Grande Opera, sentimento che potremmo anche chiamare “vocazione”, senza con ciò volergli dare una connotazione religiosa. Non ritengo che siano in pochi a “poter” compiere il cammino ermetico, quanto piuttosto che questa strada sia imboccata da poche persone alla volta, in relazione alle necessità del loro grado di sviluppo interiore. In altre parole l’Opera è vissuta come una necessità solo da chi è giunto ad un certo punto del proprio cammino nell’esistenza, e non è che l’ultima di una lunghissima serie di necessità non meno importanti per la formazione della Coscienza.
La “vocazione” per l’Opera è rappresentata simbolicamente, ne “La Fabbrica di Cioccolato”, dai biglietti d’oro nascosti da Wonka nelle tavolette; mentre ne “Le Nozze Chimiche”, assume le sembianze di una donna-angelo messaggero che consegna a Rosenkreuz una lettera d’invito, un bigliettino tanto pesante che sembrava “d’oro puro”.
Questo “oro trovato nel cioccolato”, non è forse come dire, alla maniera dei testi alchemici, “oro trovato nel piombo” (inteso come materia grezza di partenza)? Un altro legame con la Materia Prima lo si può facilmente ravvisare nel “come” Charlie trova il denaro necessario ad acquistare la fatidica tavoletta contenente il biglietto d’oro: al bambino è sufficiente raccogliere una banconota persa per strada, fra la neve e il fango. Proprio come la Materia Prima, che gli Alchimisti assicurano essere reperibile ovunque gratuitamente, persino “gettata ai bordi strade”, da chi ne ignora il valore… (stiamo parlando di termini metafisici, non di sostanze materiali).
E mentre le avventure di Charlie e degli altri bambini si svolgeranno nei colossali stabilimenti della fabbrica, quelle di Rosenkreuz e degli altri invitati alle nozze saranno ambientate nel castello della coppia reale e nei suoi cortili, torri, giardini, e stanze sotterranee.
In entrambi i racconti i volenterosi neofiti si ridurranno sempre di più al passare di ogni prova cui verranno sottoposti. Tanto nell’uno quanto nell’altro romanzo, la qualità principale che si rivelerà vincente è l’Innocenza. La serena, infantile, appagata, umiltà dell’Innocenza.
Nel fallimento dei quattro bambini possiamo leggere, invece, quattro diversi modi di “fallire” nel proprio avvicinamento alla Pietra Filosofale. Ricordiamo però che non si tratta di caratteristiche congenite alla persona che possono provocare il suo fallimento nell’Opera con carattere definitivo; ma al contrario di situazioni momentanee, soggette all’evoluzione che trasforma ogni cosa.
Il primo bambino a fallire è Augustus. Esso rappresenta l’uomo che non riesce ad elevare le proprie aspirazioni al di là delle necessità legate alla sopravvivenza e all’appagamento materiale (primi chakras). Nel caso di un Iniziato, si tratterebbe di colui che intraprende l’Opera con dei fini materiali, o comunque di quell’Iniziato che non riesce a trascendere dal dominio dell’apparenza. In questo senso andrebbe anche interpretata, credo, la “golosità” punita nel terzo cerchio dell’Inferno dantesco… un tipo di desiderio legato alle manifestazioni sensibili, che tuttavia non si estingue con il venire meno delle condizioni che potrebbero indurlo. In altre parole: la fame del nostro “Augustus” non è data da un’effettiva necessità di sussistenza, ma dal desiderio di ripetere indefinitamente il piacere provato con il momentaneo appagamento di tale brama. Il che di per sé sarebbe un atteggiamento naturale, innato in ogni essere umano, che può diventare un limite laddove rappresentasse l’unico sbocco dei nostri pensieri e delle nostre energie…
Anche Veruca non riesce a trascendere il vortice dei desideri esteriori, soddisfatti i quali non trova comunque autentico appagamento interiore; ma si tratta, a differenza di Augustus, di desideri di altro grado, non più legati alla sussistenza. I desideri della ricchissima rampolla non riguardano più la “fame” fisica. Le sue ambizioni sono legate al possesso, ad “averi” anche inutili. Notiamo, in questo passaggio e questa “trasformazione” del desiderio, un mutamento spontaneo che avviene anche nei bambini nei primi anni di vita: se inizialmente i loro desideri riguardano principalmente la sfera alimentare, in un secondo tempo nasce il desiderio di possesso, di un giocattolo ad esempio, o di una persona in un secondo tempo.
Negli adulti e nell’essere umano in senso assoluto le cose non vanno molto diversamente… una volta soddisfatte e superate le necessità legate alla sopravvivenza si passa a necessità che appaghino il desiderio di “arricchimento” materiale. Nel caso del neofita, Veruca potrebbe ben indicare colui che spera di poter “comprare” la verità, come uno dei tanti beni di consumo…
Violetta, bambina ambiziosa che mastica la sua gomma da tre mesi con l’intenzione di battere un record, rappresenta la volontà egoica e il desiderio finalizzato ora all’aquisizione di potere. Siamo ad un livello di desiderio che non è più materiale ma astratto. Quindi, in senso iniziatico, Violetta è il neofita che intraprende l’Opera al fine di ottenere potere (sia esso vagheggiato come potere magico o come potere in ambito sociale), o che crede di poter imporre la propria volontà al corso del suo sviluppo spirituale.
Mike, infine, é un ragazzino intelligente che conosce moltissime cose: la sua sfera del desiderio è ancora più evoluta rispetto agli altri: egli infatti desidera la Conoscenza. Questo desiderio, di per sé, è l’unico che può condurre alla meta filosofica. Tuttavia, dipende dal come esso viene attuato: Mike si affida alla conoscenza di tipo razionale e culturale. È l’Alchimista che crede di poter ottenere la Lapis Philosophorum dai libri, ma ignora l’intelligenza del cuore, che potremmo definire Saggezza. Positivista, ignora le verità contenute nell’assenza di discorsi e nell’assenza di analisi mentale, non riuscendo inoltre a cogliere la natura spesso paradossale, infantile, fantasiosa e apparentemente illogica dell’Arcano.
Charlie, infine, visita la fabbrica di cioccolato con animo semplice, con l’innocenza di chi sa meravigliarsi di ciò che gli è dato di vedere e apprendere. Non si aspetta nulla, e non spera di ottenere nulla. Gioisce ad ogni nuova stanza dell’immenso stabilimento, nel poter vedere tante cose incantevoli, e nel constatare la maestria e la perizia di chi ha ideato e messo in opera un simile perfetto organismo. Lo stesso atteggiamento che permise a Christian Rosenkreuz di portare a buon fine le sue avventure nel castello…
Vorrei ribadire che qui non si tratta di stabilire atteggiamenti “giusti” o “sbagliati” di porsi alla vita e all’Opera, o di persone “adatte” e “non adatte”. Questi sono giudizi che non andrebbero nemmeno presi in considerazione, poiché figli di un pensiero dualista, incapace di vedere la continuità e l’unità delle cose. Augustus, Veruca, Violetta, Mike e Charlie, indicano dei “momenti” dello sviluppo coscienziale dell’essere umano, dai quali tutti noi siamo passati, stiamo passando o dovremo passare. Sono come gli stadi di sviluppo una qualsiasi creatura vivente… non bisogna attribuire ad essi una scala di valore: sarebbe come dire che un bambino ha meno valore di un anziano… semplicemente un bambino ha caratteristiche diverse da quelle di un anziano, il che determina che i due avranno esperienze diverse.
Non vorrei chiudere l’articolo senza parlare dello straordinario personaggio di Willy Wonka. Il “Re del cioccolato” (come il Re del castello di Rosenkreuz), potrebbe rappresentare il Maestro Alchimista, ad un primo livello di lettura, che deve scegliere a quale neofita trasmettere in eredità le proprie conoscenze… ma anche Dio stesso, se Dio (inteso come Mente origine del tutto e regolatrice degli eventi) è colui che determina chi e quando è pronto a progredire nella Grande Opera. Infine, egli potrebbe chiamarsi Nous, quel nostro Super-Io che è sì emanazione diretta di Dio e con esso identificabile, ma è meno distante ed astratto di quel che di Dio si potrebbe credere…
Ma sui rapporti esistenti fra Io e Dio, come fra quelli che nel racconto di Dahl legano Willy Wonka a suo padre dentista, ci sarebbe molto da discutere… e riguardo al loro rincontrarsi dopo tanti anni di lontananza… come avviene in molti miti, poemi, racconti (e parabole) dall’ermetico messaggio…
Oh, quanto andrebbe detto ancora!... riguardo alla fabbrica e alle sue stanze (e ai paragoni fra queste e le esperienze di Rosenkreuz), o alla natura delle “punizioni” (si fa per dire) inflitte ai quattro bambini (e ai loro palesi rimandi al contrappasso dantesco), o ai dispettosi e bizzarri Oompa Loompa, e alle loro canzoni… o ancora, alle scene di grande impatto simbolico, come il passaggio all’ultima stanza della fabbrica, candida e luminosa, entro la quale si accende un raggio luce tanto potente che, per poterlo contemplare, i protagonisti dovranno indossare degli appositi occhiali scuri... e il “salto” dell’ascensore di cristallo, con cui Charlie viene elevato sino al cielo… quanto si dovrebbe ancora scrivere! Un invito: guardate questo film!
Sebastiano B. Brocchi
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