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Riflessioni sulla Simbologia

di Sebastiano B. Brocchi
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Commento al Popol Vuh

Terza parte   Novembre 2009

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Xquic Giunta nel mondo in superficie, Xquic cerca di farsi accogliere a casa della suocera, la quale si dimostra tutt’altro che ospitale nei confronti della ragazza (non credendo che ella porti in grembo i suoi nipoti). Va detto che Hun Hunahpú, prima di partire per Xibalbá, aveva già generato due figli da una precedente unione: Hunbatz e Hunchouén, che ora vivevano insieme alla nonna.
Xquic insiste, cercando di convincere la suocera della sua sincerità, ma questa continua a mostrarsi riluttante. Cionondimeno, decide di mettere alla prova la ragazza (l’episodio che segue ricorda molto da vicino il mito greco di Psiche), dicendole di andare subito al podere a riempire una rete di pannocchie mais e portargliela. Tuttavia, arrivata al podere, Xquic si accorge che nel campo non è rimasto che un solo cespuglio di mais. Affranta poiché impossibilitata ad accontentare la suocera, la ragazza si mette ad invocare gli spiriti guardiani del luogo, ottenendo il loro aiuto. Xquic si mette a strappare le fibre della pannocchia, e per magia vede le pannocchie moltiplicarsi, così da poter agevolmente riempire la rete. Gli animali dei campi portano la pesante rete al posto della ragazza, e la depositano in un angolo della casa come se fosse stata Xquic a portarcela.
Di ritorno a casa, la nonna rimane meravigliata da quanto vede. Decide allora di andare al podere a controllare, e lì trova l’unico cespuglio di mais ancora intatto. L’anziana donna riconosce allora Xquic come nuora e la accoglie in casa sua.
Questi avvenimenti, così come quelli successivi (la gelosia e i ripetuti contrasti tra i fratellastri e i nuovi nati, Hunahpú e Xbalanqué), rappresentano sub specie interioritatis la transizione dalla coscienza profana a quella iniziatica. I fratellastri, che verranno poi vinti e allontanati di casa dai figli di Xquic, rappresentano Mercurio e Zolfo volgari, che vengono soppiantati dalla loro controparte nobilitata.
Ora, se i due prodigiosi gemelli rappresentano Anima e Spirito purificati, quei corpi sottili dell’essere umano attraverso i quali viene portata a compimento la perfezione individuale (Albedo, Opera al Bianco), perché l’Opera sia realmente conclusa entrambi dovranno recarsi a Xibalbá, seguendo le orme del padre, per una seconda morte filosofica (Rubedo, Opera al Rosso); affinché l’individualità si muti in universalità, la mente della creatura si fonda con quella del Creatore, Mercurio e Zolfo si fondano nel divino Cinabro o Pietra dei Filosofi.
Hunahpú e XbalanquéHunahpú e Xbalanqué dovranno discendere agli Inferi per giocare alla pelota, la rivincita definitiva contro i Signori di Xibalbá. Supereranno tutte le diverse "Case della Morte", e giocheranno la partita di pelota vincendola. "Essi avevano fatto tutto quello che gli fu imposto, passando per tutti i pericoli, difficoltà e sofferenze predisposti contro di loro; ma non morirono dalle prove e dai tormenti di Xibalbá (…). Sapendo però che comunque dovevano morire, mandarono a chiamare due indovini che si distinguevano come profeti, i cui nomi erano Xulú e Pacam. Allora dissero loro: "Forse i Signori di Xibalbá vi faranno delle domande sulla nostra morte, che stanno concertando e preparando, per il fatto che non siamo stati uccisi, né sono riusciti a batterci. Abbiamo esaurito tutte le prove, e neppure gli animali hanno potuto contro di noi. Nel nostro cuore c’è il presentimento che useranno il forno di pietra per darci la morte. Tutti quelli di Xibalbá si sono riuniti per questo, e la nostra morte è inevitabile". Poi istruirono Xulú e Pacam su ciò che dovevano dire: "Se venissero a consultarvi sulla nostra morte, e se fossimo sacrificati, che direte allora voi? Se vi chiedessero: ‘Non sarebbe bene gettare le loro ossa in un burrone?’, risponderete: ‘Non conviene, perché poi risusciteranno’. E se vi chiedessero: ‘Non sarebbe bene appenderle ad un albero?’, risponderete: ‘In nessun modo conviene, perché allora tornerete a vedere i loro volti’. E se ancora vi chiedessero: ‘Sarebbe bene che gettassimo le ossa nel fiume?’, risponderete allora: ‘Sì, così conviene, ma dopo averle macinate nella pietra, come si macina la farina di mais; le ossa di ciascuno dovranno essere macinate separatamente, e poi subito buttate nel fiume, lì dove scorre, affinché si disperdano fra i monti piccoli e grandi’ (…). E quando si congedarono da loro, avevano già conoscenza della propria morte.
Intanto quelli di Xibalbá approntarono un forno, un grande forno di pietra", e convocarono in quel luogo i due gemelli con l’inganno. Ma questi, una volta lì, così parlarono: ""Non cercate di ingannarci (…). Forse che non abbiamo conoscenza della nostra morte, oh Signori?, e che è questo ciò che qui ci attende?". E mettendosi assieme faccia a faccia, estesero entrambi le braccia, si inclinarono verso il suolo e precipitarono dentro il forno. Così morirono tutti e due insieme" ("Popol Vuh").
Il popolo di Xibalbá si mette ad esultare, gioendo per aver sconfitto Hunahpú e Xbalanqué, credendo di averli battuti. A quel punto si presentano i due profeti, dando le istruzioni su come macinare le ossa dei gemelli sacrificati e gettarle nel fiume. Tutto viene eseguito secondo i piani, e quando le polveri si posarono sul fondo del fiume a poca distanza, subito si trasformarono in due giovani di bell’aspetto. Hunahpú e Xbalanqué erano risorti. "Al quinto giorno riapparvero, e furono visti in acqua dalla gente" ("Popol Vuh").
Una volta emersi dalle acque del fiume, con l’aspetto di vagabondi coperti di stracci, i due gemelli cominciarono a girovagare per il regno sotterraneo fingendosi dei giocolieri (danzando, ingoiando spade, camminando sui trampoli…), ed eseguendo numeri magici (uccidendosi a vicenda e tornando ogni volta alla vita). I loro spettacoli suscitarono l’interesse dei Signori, che li fecero convocare a palazzo per farli esibire nei diversi numeri. Hunahpú e Xbalanqué eseguono i diversi numeri soddisfacendo le richieste dei Signori, fra cui quella di uccidere e resuscitare un uomo del pubblico. Assistendo alla riuscita della magia, anche i Signori voglio provare l’esperimento, facendosi uccidere con il sacrificio del cuore. Ma i due gemelli, in questo caso, non compiono l’incantesimo. Non riportano in vita i Signori, suscitando il panico a Xibalbá. La popolazione, affranta e spaventata, si consegna prosternandosi ai due gemelli. Hunahpú e Xbalanqué rivelano la loro vera identità, e dichiarano che la gente di Xibalbá verrà sterminata per le sue colpe. Il popolo invoca clemenza, e i due gemelli accettano di graziarli, ma stabiliscono che da quel momento in poi: ""Nessuno di quelli nati nella luce, procreati nella luce, vi apparterrà. (…)" Così parlarono a tutti quelli di Xibalbá. (…) Così fu dunque la perdita della loro grandezza e la decadenza della loro Signoria". Dopo essersi congedati, Hunahpú e Xbalanqué "salirono in mezzo alla luce e all’istante si elevarono in cielo. A uno appartiene il sole, e all’altro la luna" ("Popol Vuh").
In quest’ultima parte delle vicende di Hunahpú e Xbalanqué viene ulteriormente rafforzato il legame esistente fra queste e i "Messia" dei miti soteriologici del Vecchio Mondo. E se pure si volesse continuare ad ignorare la possibilità che i popoli amerindi abbiano potuto attingere alle stesse fonti mitiche e letterarie di Indiani, Persiani, Egizi, Ebrei, Greci o Celti, si dovrà allora ammettere che queste informazioni riguardino un’onnipresente ed eterno linguaggio simbolico per esprimere certe verità occulte dello spirito umano, la misteriosa Lingua degli Uccelli, la sapienza degli Alchimisti. "E poiché l’arte alchemica è molto profonda e molto oscura, come acqua tenebrosa nelle nubi, (…) nessuno può giungere al luogo segreto dell’Alchimia, se non è mosso dall’alto: solo così può riconoscerlo (…) giunti al culmine di tutta la filosofia" (da Costantino Pisano, "Il libro dei segreti dell’Alchimia).
Popol VuhLe prove sopportate a Xibalbá, il passaggio dalle "Case della Morte" con i relativi supplizi (dai quali però i gemelli non vengono toccati), fino al sacrificio nel forno di pietra, indicano il passaggio della Materia Prima alchemica dalle molte saggiature con il fuoco e gli acidi corrosivi, fino alla morte e risurrezione nell’Athanor. Processi che i profani credono riferirsi alla materia, mentre per chi li ha descritti indicano il cammino dell’esistenza: "Le cose della vita sono dissoluzioni, lunghe e salutari digestioni, che separano ciò che è puro" (da Paracelso, "Sulla lunga vita").
Il fiume in cui avviene la risurrezione di Hunahpú e Xbalanqué, non è che un simbolo della vita stessa (cfr. "Mergor ut emergam"), quell’acqua che è simbolo della nostra Materia Prima: "Il nostro corpo (…) porta a compimento tutta l’Opera, che si vanifica se esso non viene irrigato con la propria acqua: acqua che è la vera acqua piovana, non quella da cui la gente ha imparato a ripararsi, ma la nostra, che nessuno ha mai visto, se non i seguaci della vera Filosofia. Credimi, perché ti dico la verità: gli sciocchi hanno imparato ad estrarre molti tipi di acqua, di quelle che bagnano le mani; invece la nostra acqua è la vita di tutte le cose" (Eirenaeus Philalethes).
La liberazione dalla Signoria di Xibalbá (simbolo di inconsapevolezza, ignoranza, paura e morte), indica l’ingresso a carattere definitivo dell’essere nella consapevolezza.
"Ecco qui, dunque, il principio di quando fu deciso di creare l’uomo (…). E così dissero (…) il Creatore e Modellatore, chiamato Tepeu Gucumatz: "Sta giungendo il tempo dell’albeggiare, e bisogna che si termini l’Opera affinché appaiano (…) i figli illustri, i vassalli civilizzati; bisogna che appaia l’uomo, l’umanità, sulla superficie della terra". Così dissero" ("Popol Vuh").

 

Sebastiano B. Brocchi

 

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