Riflessioni sulla Simbologia
di Sebastiano B. Brocchi
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Mergor, ut emergam.
Perché ci battezziamo dalla notte dei tempi?
Luglio 2009
Ho sentito spesso dibattere sull’utilità o meno di battezzare i bambini, ed io stesso ci ho pensato spesso. Ci si chiede, e mi chiedevo, se sia giusto battezzare Cristiano un bambino ancora incosciente, incapace perciò di esprimere il proprio pensiero religioso. Non dovrebbe spettare all’adulto la scelta? Il problema in fondo non riguarda solo il rito del battesimo: battesimo o no, la religione si "impone" ai bambini loro malgrado. Se non ci pensano i genitori, lo faranno gli insegnati di catechismo, lo farà la società. All’individuo è data al massimo la possibilità di "abbandonare" la propria religione (e con "propria" intendo la religione in cui si è cresciuti), scelta che nella maggior parte dei casi non viene nemmeno formalizzata: quanti non più Cristiani si prendono il disturbo di farsi sbattezzare? Semplicemente si smette di praticare e si cambia religione..
Oppure, come fanno ancora più persone, si smette di praticare senza nemmeno cambiare religione: si resta "Cristiani" di nome ma non di fatto, nel qual caso "Cristiano" rimane una voce anagrafica, la risposta ad un censimento, ma non più un credo, non più un orientamento dello spirito, non più un ideale a cui conformarsi. E questo non vale solo nell’ambito del Cristianesimo, sia ben chiaro, è un fenomeno abbastanza comune in tutte le religioni.
Ma si tratta, diciamolo, di una consuetudine che fa comodo alle religioni: permette di gonfiare, e di molto, le statistiche. Permette di dire: in questo stato ci sono tot milioni di Cristiani, tot milioni di Musulmani, ecc. Soprattutto in periodi in cui scarseggiano le autentiche "vocazioni".
Immaginate per un attimo che grande balzo in avanti farebbe la civiltà, se i ragazzi venissero lasciati vergini da indottrinamenti religiosi fino alla cosiddetta età della ragione; e solo successivamente venisse data loro una cultura generale di storia delle religioni, una formazione neutra, che abbracci tutte le forme cultuali anche antiche, al termine della quale i ragazzi venissero messi di fronte ad una libera scelta: a quale religione vorreste appartenere?
Eppure, con il tempo ho capito che queste domande portavano a poco. Sì, va bene, sarebbe meglio ricevere il battesimo da adulti… e poi? In fondo, l’adulto capisce realmente il significato di quel sacramento? Può essere realmente consapevole del messaggio racchiuso in quel semplice gesto rituale? No. E allora, a cosa varrebbe cambiare le cose? Del resto, sembra sciocco a dirsi ma è così, la sopravvivenza dei rituali è data proprio dal fatto di non comprenderli. Ogni rituale nasce per insegnare, e muore quando ha insegnato. Il contrario sarebbe come dire che sia necessario tornare a scuola a studiare cosa siano le addizioni e le sottrazioni ogni volta che ci si accinge a fare i conti! Il rituale è una scena teatrale, che cerca di mimare per le nostre menti impreparate, determinate verità spirituali. Ma è bene rendersi conto che si può andare avanti tutta la vita ripetendo un certo rituale senza capirlo, e allora tutta quella devota applicazione sarà valsa a ben poco; come del resto è possibile comprendere il segreto di un certo rituale senza averlo mai praticato, e in quel caso si sarà ottenuto il maggior guadagno con il minor sforzo.
Il sacramento del battesimo, è uno dei rituali più antichi che la storia delle religioni conosca, ed anche uno dei più diffusi al mondo. Mi correggo: chiamarlo "sacramento del battesimo" è usanza prettamente cristiana. Ma l’essenza del rituale, che prevede il lavacro, l’abluzione, o addirittura la totale immersione del neofita (in un bacino idrico che può essere di varia natura) è onnipresente e risale alla notte dei tempi.
La più antica forma di battesimo è probabilmente l’immersione in fonti considerate sacre. Fonti, fiumi, laghetti, stagni, cascate, mari, oceani… le varianti regionali sono molte, e sarebbe infruttuoso dilungarsi nell’elenco. Ogni popolo ha individuato un elemento sacro nelle riserve d’acqua presenti nel territorio. Dai popoli mesopotamici (ovvero, letteralmente, della "Terra tra i due fiumi") alle genti del Nilo, dai Celti ai nativi americani. Ma pensiamo anche all’India e il suo Gange, fiume rimasto sacro oggi come allora, malgrado lo scorrere dei millenni.
È facile comprendere perché, con la nascita delle prime civiltà, nacquero anche le prime forme di fonti battesimali "artificiali". Il fiume, il lago, il mare, erano spesso luoghi carichi di insidie. Prendiamo gli antichi Egizi: se per i riti religiosi legati all’acqua, avessero dovuto dipendere dal Nilo e da esso soltanto, quanti pericoli avrebbero dovuto affrontare i devoti nelle solo apparenti placide acque del fiume, infestato da coccodrilli e ippopotami?
Oltre a questo, bisogna pensare che i templi cominciarono a non essere sempre edificati vicino all’acqua: avrebbero quindi dovuto, fedeli e sacerdoti, spostarsi per lunghi tratti ogni qual volta era necessario celebrare un rito battesimale?
E potremmo addurre, fra le motivazioni, anche la variabile qualità dell’acqua nei bacini naturali. Acque talvolta torbide, talvolta inquinate, talvolta troppo fredde, talvolta impraticabili per altre cause.
Ecco quindi nascere, un po’ in tutto il mondo, i bacini idrici artificiali interni o quanto meno limitrofi ai muri di cinta dei templi. Con l’evolversi dei riti battesimali, assistiamo anche ad una limitazione dell’effettiva quantità d’acqua impiegata nei rituali: dai laghetti artificiali del tempio egiziano, alle vasche dei bagni rituali ebraici, ai fonti battesimali medievali in cui poteva immergersi una sola persona alla volta, fino a quelli moderni in cui praticamente scompare la necessità dell’immersione, che viene sostituita dalla semplice abluzione. Chi avesse occhi per vedere e orecchie per intendere, capirebbe forse a cosa cerca di condurre questa spontanea evoluzione: ad una sempre maggiore idealizzazione del rituale, che ben presto scomparirà del tutto sul piano fisico, assurgendo alla sua natura ultima di trasformazione coscienziale. La sempre minore quantità d’acqua, il sempre minor numero di persone coinvolte nel rituale, tutto si muove nella direzione dell’individualizzazione e dell’interiorizzazione. Quello che un tempo doveva essere fatto concretamente, oggi viene solo mimato, abbozzato, e domani verrà solo intuito.
Ma torniamo alla domanda di fondo: perché ci battezziamo dalla notte dei tempi? Ebbene, io partirei da alcune semplici constatazioni, constatazioni "preistoriche", archetipali, originarie. La prima: noi nasciamo dall’acqua. Non parlo in generale della vita sul pianeta, che ha avuto origine nell’acqua: questo l’uomo preistorico non poteva saperlo. Parlo proprio di noi, esseri umani: la donna "perde le acque" prima di partorire, il feto vive nel liquido amniotico per nove mesi prima di venire al mondo. Quindi, noi nasciamo dall’acqua.
Come se questo non bastasse, la connessione fra l’acqua e la vita è suggellata dal fatto che, per vivere, dobbiamo bere. Dissetandoci, giorno per giorno rigeneriamo la vita in noi. Lo stesso vale per gli altri organismi: là dove c’è acqua, la vegetazione prospera e gli animali si moltiplicano, là dove c’è siccità, la vegetazione appassisce e gli animali muoiono o migrano.
Seconda constatazione: l’acqua purifica. Ciò che è sporco, lavato con l’acqua può tornare pulito. L’abluzione con acqua è la prima forma di lavaggio: tutte le altre sostanze, come il sapone ad esempio, si aggiungono in seguito.
Terza constatazione: quella stessa vita nata dall’acqua, nell’acqua può trovare la morte. Sebbene il feto sia vissuto per nove mesi in acqua; una volta nato, se tornasse in acqua per un tempo prolungato ne morirebbe annegato. Inoltre, diverse sostanze che all’asciutto formano strutture definite, talvolta variegate, a contatto con l’acqua si sciolgono tornando allo stato indifferenziato: prendiamo il sale, prendiamo la sabbia.
Vita, purificazione, morte. Da queste tre semplici constatazioni che abbiamo definito "preistoriche", archetipali, originarie, prendono avvio tutti i rituali connessi all’acqua e al lavacro battesimale.
Colui che si immerge nell’acqua, compie ritualmente un regressus ad uterum (ritorno all’utero). Quindi egli compie fisicamente un riavvicinamento alla propria sorgente, al principio della vita.
Questo è anche un andare incontro alla morte: simbolicamente, l’individuo che si battezza "muore" ritualmente per rinascere. L’immersione, che coincide con un "occultarsi" al mondo, uno scomparire in un’altra dimensione, diviene il simbolo di tale morte. Morte al mondo, e morte ad uno stato del sé che viene abbandonato, idealmente "disciolto" in acqua come una statua di sale, o un castello di sabbia. Quel mondo subacqueo che corrisponde al grembo materno in cui avviene l’incubazione dell’individuo nuovo, per esteso dell’Iniziato.
Lo stesso principio è presente, seppure in modo meno evidente, nel rituale dell’abluzione, in cui attraverso l’aspersione, il lavacro, l’individuo viene liberato da ciò che annebbia il suo ego autentico: lavandosi muore ad uno stato imperfetto, e ciò che resta dopo il lavacro è l’individuo rinato ad una perfezione nuova.
L’ingresso nel mondo subacqueo inscenato con l’immersione battesimale, permette anche un riavvicinamento ed una fusione con la vita in senso generale: l’uomo ricongiunge la "propria" vita con la Vita in senso assoluto, facendo così cadere le barriere individuali. Se la stessa acqua sostenta noi come gli animali, come le piante, simbolicamente è come dire che la stessa vita pervade gli esseri. E come l’acqua si presenta in diverse forme pur essendo una, così la vita assume diversi aspetti pur essendo una soltanto alla base.
Procedendo in questa via, si arriva a riflessioni ancor più evolute e complesse. Ricordo ad esempio quando, alcuni mesi orsono, commentavo, insieme ad un mio amico nonché solerte apprendista dell’Ars Regia, un passo del "Rosarium Philosophorum" di Arnaud de Villeneuve. Qui siamo ad una visione del battesimo che è alle sorgenti stesse del cosmo e della vita umana, visione superiore a qualsiasi rituale o religione poiché costituente primaria dell’essenza delle cose.
Così scrive il maestro: "La nostra pietra è acqua congelata in oro e argento, che combatte col fuoco e si dissolve nella propria acqua".
La nostra pietra, significa la nostra Coscienza. Oro e argento, sono Spirito e Anima. Per capire l’affermazione "La nostra pietra è acqua congelata in oro e argento, che combatte col fuoco e si dissolve nella propria acqua", bisogna osservare cosa avviene in natura, poiché la Natura è la guida dell’Alchimista. In natura, l’acqua dei mari, fatta evaporare dal calore del sole, si eleva nell’atmosfera, diventa nuvola, e qui si addensa fino a ricadere in basso sotto forma di pioggia. La pioggia va ad alimentare i ruscelli, i rivoli e i torrenti, questi scorrono a valle formano fiumi, che si ramificano, formano laghi, laghetti ed altri fiumi, fino a che l’acqua fa ritorno al mare. Questo processo è sotto gli occhi di tutti. Arnaud de Villeneuve, seppure certo in forma enigmatica, spiega come un analogo processo avvenga su scala cosmica con la Coscienza. La Coscienza, ci dice, andrebbe paragonata all’acqua. Immaginiamo che Dio, la Mente del Cosmo, sia il mare in cui sono convogliate tutte le acque. L’individualizzazione della Coscienza, è simile al processo che porta l’acqua piovana, proveniente dal mare in cui si trovava confusa, a dividersi in mille fiumi e ruscelli: in altre parole, la Coscienza divina si "congela" nel nostro oro e nel nostro argento, ovvero si coagula (individualizza) nel nostro Spirito e nella nostra Anima individuale. Nasce l’illusione dell’Ego, finalizzata a compiere l’Opera cosmica. La Coscienza si stacca dall’Unità primitiva e si divide in ogni organismo vivente, affinché avvenga il processo evolutivo che il "Rosarium" chiama "combattimento col fuoco". Per capire come mai si parli di "combattimento col fuoco", vi invito a leggere l’articolo "Il Logos, benedizione o condanna", da me pubblicato in questa rubrica nel mese di giugno.
Ma si tratta appunto di un "congelamento" momentaneo, finalizzato: l’acqua è destinata a dissolversi nuovamente nella propria acqua, la Coscienza divenuta consapevole è destinata a dissolversi nuovamente nella Mente divina. In realtà non vi è mai stata separazione, ma soltanto ramificazione, come avviene al corso di un fiume i cui vari rami ricevono nomi diversi pur trattandosi di "momenti" diversi di uno stesso fiume.
L’acqua della Coscienza che si dissolve nella propria acqua quando "la nascita è distrutta, la santa vita è stata vissuta, ciò che doveva essere fatto è stato fatto" (definizione del Risveglio presente in diversi manoscritti buddhisti del Canone Pali), è il nucleo profondo del rito battesimale, il più difficile da comprendere ma al tempo stesso il più universale…
Come la Mente divina muore all’universalità per immergersi nell’individualità, così a sua volta la Coscienza muore all’individualità per immergersi nell’unità indistinta della propria Origine.
Infine, ricordiamo che la dinamica dell'immersione al fine di una metamorfosi, richiama anche il processo spirituale dell'introspezione, la discesa nel Nucelo Profondo di noi stessi. La Grande Opera si può compiere solo a condizione di discendere ed immergersi nell'Amenti, il regno nascosto, inconscio. Da cui il titolo che ho scelto per questo articolo: "Mergor, ut emergam". Mi immergo, per emergere.
Sebastiano B. Brocchi
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