Riflessioni sul Senso della Vita
di Ivo Nardi
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Riflessioni sul Senso della Vita
Intervista a Franco Bertossa
Dicembre 2011
Franco Bertossa, maestro di meditazione di indirizzo buddhista e di arti marziali che entrambe pratica da oltre trent'anni e che ha perfezionato in prolungati soggiorni in Oriente. È impegnato nella promozione di un confronto esperienziale, oltre che concettuale, tra i pensieri filosofico e scientifico occidentali relativi alla coscienza e i modi della conoscenza interiore orientali. Ha fondato e dirige il Centro Studi di Cognitivismo Buddhista A.S.I.A., luogo di tale ricerca. Nel '95 ha ideato le Vacances de l'Esprit, iniziativa originale di divulgazione culturale di alto profilo alla quale hanno partecipato intellettuali italiani e internazionali. Inoltre è autore di numerose pubblicazioni su riviste specializzate.
1) Normalmente le grandi domande sull’esistenza nascono in presenza del dolore, della malattia, della morte e difficilmente in presenza della felicità che tutti rincorriamo, che cos’è per lei la felicità?
Fare la pace col niente, il quale ad ogni passo può prendersi tutto.
Contemplazione del mistero dell'essere.
Vorrei aggiungere anche che, se è vero che la sofferenza induce alle grandi domande, anche le felicità ordinarie, fondate su stati e circostanze vissuti senza consapevolezza, suscitano tali domande. È propriamente quanto è successo a me da giovane. Tutto andava bene, nulla mi mancava per essere un ragazzo felice ma… mi mancava il senso del tutto. Mi mancavano i "da dove?", "perché?", "verso dove?". Nessuna felicità mondana poteva placarmi, fossero affetti, successi scolastici, sportivi, amori… Mi mancava il senso.
2) Cos’è per lei l’amore?
Condivisione della meraviglia per il mero fatto d'essere, nella consapevolezza che tutti ne siamo capaci e che è il nostro senso ultimo.
3) Come spiega l’esistenza della sofferenza in ogni sua forma?
Le voci del niente fanno il loro lavoro. Il Buddhismo chiama questo impermanenza o vacuità. Il senso profondo dell'essere si svela attraverso l'erosione, ad opera del niente, di quanto crediamo e possediamo. Ogni stato di cose ha una fine.
L'aspettativa che le cose durino o abbiano uno statuto perenne genera inevitabile ed ineluttabile frustrazione: nulla dura, a nulla è lecito aggrapparsi, neppure a se stessi.
4) Cos’è per lei la morte?
La morte degli altri: la fine della possibilità di una loro risposta, ma non la fine della possibilità di amarli.
La morte propria: grazie a quarant'anni di meditazione, so che è illusione. È una strettoia, e, in ultimo, neppure verso l'ignoto, poiché so cosa significa "saper d'essere", la nostra capacità più profonda, e che tale "coscienza" non è aggredibile dal niente.
5) Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo e che in questo spazio temporale viviamo costruendoci un percorso, per alcuni consapevolmente per altri no, quali sono i suoi obiettivi nella vita e cosa fa per concretizzarli?
Il mio obiettivo primario è stato di capire se vi fosse un depositario del senso e del valore; allora lo chiamavo Dio. L'impossibilità di avere certezza dell'esistenza di Dio mi generava angoscia.
A seguito di anni di intensa, estrema, incessante ricerca, ho vissuto, nella primavera dl 1980, un evento trasformante. Da allora l'angoscia non si è più ripresentata, sebbene non abbia trovato quel Dio.
Oggi gioisco nel condividerlo con chi cerca ciò che cercavo io.
Lo faccio ogni giorno nella struttura dove opero, ASIA, attraverso meditazione, filosofia in rapporto alla meditazione, e una disciplina marziale giapponese, l'aikido.
6) Abbiamo tutti un progetto esistenziale da compiere?
Risvegliarci al mistero dell'essere. Ma non lo compiamo noi, bensì l'essere attraverso di noi.
7) Siamo animali sociali, la vita di ciascuno di noi non avrebbe scopo senza la presenza degli altri, ma ciò nonostante viviamo in un’epoca dove l’individualismo viene sempre più esaltato e questo sembra determinare una involuzione culturale, cosa ne pensa?
Credo che manchino voci aggreganti credibili. Molto si può fare, e con una persona sensibile, profonda ed intelligente come lei, collaborerei volentieri.
8) Il bene, il male, come possiamo riconoscerli?
Sul piano dell'essere - ossia del differire rispetto a niente - siamo tutti uguali.
Male per sé: non rendersi conto del meraviglioso mistero dell'essere.
Male per gli altri: a causa dell'oblio dell'essere, credere che non siamo esistenzialmente uguali.
Il bene è pervenire alla contemplazione dei più profondi significati esistenziali e condividerli.
Trovo espresso questo nel Buddhismo: vacuità e compassione - Shunyata e Karuna.
9) L’uomo, dalla sua nascita ad oggi è sempre stato angosciato e terrorizzato dall’ignoto, in suo aiuto sono arrivate prima le religioni e poi, con la filosofia, la ragione, cosa ha aiutato lei?
Domandare, dubitare, spingere l'indagine a fondo senza paura, mettere in crisi tutto, lasciarsi sospesi nel vuoto della non risposta.
A sostegno, alcune vie di ricerca (Ramana Maharshi col suo "Chi sono io?") e alcune figure esemplari che avevano già percorso la stessa via, sia in filosofia che nella spiritualità.
10) Qual è per lei il senso della vita?
Trovare il lecito rapporto col fatto d'essere. Nell'esistenza ci troviamo gettati, nessuno ha scelto di esistere.
Accettare l'esistenza è accettare un arbitrio e, allo stesso modo, rifiutare l'esistenza è accettare un arbitrio (infatti ci serviamo, anche in questo caso, dell'esistente atto di rifiutare).
Il Buddhismo insegna la "Via di Mezzo". Non è accettazione, non è rifiuto, è vacuità, Shunyata.
"Se viene, accoglilo, se va, non trattenerlo".
Risvegliarsi ai significati che rendono evidente questo è, per me, il senso della mia esistenza.
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