Riflessioni Iniziatiche
Sull'Uomo, lo Spirito e l'Infinito
di Gianmichele Galassi
L'evoluzione della visione della storia: dalla ciclicità degli archetipi della Camera Capitolare del Rito Scozzese Antico ed Accettato alla linearità moderna.
Marzo 2012
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Introduzione
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Storia, archetipi e vicende nel Rito Scozzese Antico ed Accettato
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Dal Maestro Segreto al Grande Eletto Perfetto e Sublime Massone
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Leggende e saghe cavalleresche nei gradi capitolari
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Dal Cavaliere d'Oriente o della Spada al Cavaliere d'Oriente e d'Occidente
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Principe Rosa Croce, Cavaliere dell'Aquila e del Pellicano
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Conclusioni
“Chi vuol comprendere appieno l'autentica bellezza della tradizione libero-muratoria deve leggere, studiare, riflettere, assimilare e discernere...”
Albert Pike, Morals and Dogma
Molti si chiederanno quali e quante considerazioni sarà possibile costruire su un tema come questo, che superficialmente, o almeno dal punto di vista moderno, può apparire vuoi di estrema semplicità vuoi esclusivamente specialistico, ossia pertinente agli esperti del settore. Come vedremo non è affatto così, nelle scuole di ogni ordine e grado, siamo abituati ad una visione del passato storiografica e lineare, ma scopriremo che per lungo tempo questo tipo di approccio era ben lungi dall'esser semplicemente pensato.
La Massoneria ha una propria filosofia trasmessa attraverso allegorie e simboli che celano profonde ed antiche Verità, gran parte delle quali si trovano velate nel cammino scozzese.
Molto si è discusso sull'uso dei simboli e dell'assenza di univocità interpretativa, ma in questo breve articolo si intende risalire sino a monte, su su sino ad una delle sorgenti.
Frattanto conviene chiedersi perché la nostra tradizione sia codificata in simboli od allegorie?
Questa domanda potrebbe avere una risposta piuttosto semplice che, però, se tralasciata,
impedisce anche al più instancabile ricercatore quella visione d'insieme utile e necessaria
all'irrinunciabile intuizione mentale. Ossia, per comprendere e conoscere appieno queste antiche verità, dobbiamo cercare in qualche modo di calarci nella dimensione mentale degli antichi progenitori che di fatto furono protagonisti di tali codificazioni.
Per quest'ultimo motivo, vorrei affrontare il tema della visione storica dell'umanità...
Introduzione
Prima di ogni altro commento è bene definire con certezza e completezza l'argomento che
andiamo ad affrontare...
Per Devoto ed Oli, la storia è indagine o ricerca critica relativa ad una ricostruzione ordinata di eventi umani reciprocamente collegati secondo una linea unitaria di sviluppo (che trascende la mera successione cronologica propria per esempio della cronaca).
Mentre per l'enciclopedia multimediale Wikipedia leggiamo:
La storia (dal greco istorìa) è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite l'uso di fonti, cioè di tutto ciò che possa trasmettere il sapere. Più precisamente, la storia è la ricerca e la narrazione continua e sistematica di eventi nel passato di importanza per la specie umana, compreso lo studio degli eventi nel corso del tempo e la loro relazione con l'umanità.
Se ci concentriamo sul termine narrazione è comprensibile come la trasmissione degli eventi contenga essenzialmente il carattere più o meno sviluppato d'interpretazione personale di colui che racconta i fatti, vuoi per l'impossibilità di una visione completa ed assoluta di un qualunque evento su cui influisce generalmente un'innumerevole serie di fattori, vuoi per il giudizio che seppur inconsciamente si forma nella mente del testimone.
Ma la storia è anche più di questo, soprattutto nell'antichità, come si ricava dalle parole di Cicerone (De Oratore, 2.36):
«Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis» (1)
Forse è opportuno, a questo punto, sottolineare un aspetto culturale nient’affatto secondario nella mentalità umana ossia, nel dettaglio, la sostanziale differenza nella concezione della storia del mondo in cui oggigiorno è considerata: nelle epoche precedenti l’età moderna, la storia veniva trasmessa attraverso una trasposizione in modelli mitologici che ne seguivano logicamente la visione ciclica. Ai singoli episodi della storia umana non veniva, infatti, attribuito un particolare valore, ciò che doveva essere tramandato e, quindi, trasmesso ed insegnato era il valore simbolico attribuibile ad un determinato comportamento. La storia veniva così periodicamente azzerata…
Riassumendo, perciò, è possibile individuare una doppia visione della storia: quella antica, o classica, formata da un ricorso ciclico e quella più moderna la cui linearità prende spunto, molto probabilmente, dalla cultura cristiana che individua nella venuta di Gesù un punto unico ed irripetibile della storia umana. Il caposaldo che rende lineare la storia è quindi fissato dalla nascita di Cristo, con essa tutto cambia, l’uomo viene redento dal peccato originale con il martirio di Dio fattosi uomo. Prima di allora, il Paradiso è precluso a chiunque, o per meglio dire a qualunque anima…
Certamente, questo è stato un passo epocale per la società occidentale che ha impiegato ben più di un millennio per convertirsi completamente alla visione lineare moderna, del resto l’organizzazione temporale che ci siamo dati, continua a seguire un modello ciclico dettato dagli anni, stagioni, mesi etc… Ossia un modello, risalente ai Babilonesi, che ricalca poi in piccolo i movimenti del nostro pianeta e di quelli vicini, con un occhio attento alla luna e ad alcune stelle, apparentemente fisse. Il ritmo della nostra vita, sin dai primordi, è stato infatti scandito dalla ciclicità dei punti di riferimento naturali, che ci hanno permesso prima di orientarci, poi di allevare il bestiame ed, infine, di coltivare la terra, potendo di fatto iniziare a costruire comunità stabili.
I primi passi verso la “storicizzazione”, il cui apogeo è individuabile nell’età dei Lumi, nasce dalla visione di alcuni personaggi che ne fissarono i capisaldi: da Gioacchino da Fiore che divise la storia umana in tre ere, ognuna caratterizzata da una figura della Trinità cattolica (Padre, Figlio e Spirito Santo), a Sant’Agostino, sino ai filosofi Francis Bacon e Blaise Pascal.
Tutto ciò, naturalmente si è evoluto, seppur lentamente: la continua ed esponenziale crescita delle conoscenze ci ha condotto alla moderna specializzazione scientifica, e sicuramente la materia storica non ne è rimasta esente.
Ritornando alla visione ciclica, il modello di comportamento veniva sovente sottolineato, talvolta in modo addirittura paradossale, attraverso la sostanziale mitizzazione della vicenda; ecco la nascita delle leggendarie ed epiche gesta di eroi, semidei e dei. Tali narrazioni prevedevano solitamente una colorazione che rendeva i protagonisti umanizzati in vizi, virtù e sentimenti. Tali modelli, venivano chiamati appunto archetipi che nascono quindi da una narrazione metastorica delle antiche vicende umane…
Prima di proseguire sull’argomento, è bene precisare, con estrema concretezza, l’accezione del vocabolo “archetipo” (2) in quanto, ai più attenti, potrebbe confondere le idee: nel nostro contesto ci riferiamo al significato primigenio del termine, senza tener in alcun conto l’attualizzazione apportata da Carl Gustav Jung nel 1912 (3), quando lo collegò indissolubilmente al concetto di coscienza collettiva, cambiando definitivamente il valore attribuito a questo termine.
Una notevole quantità di archetipi è quindi presente nella mitologia classica, nel racconto biblico sino ad arrivare alle leggendarie e mitiche figure cavalleresche medievali. L’uso di tale metodologia, infatti, è dimostrato essere più facilmente comprensibile e quindi semplifica il processo di apprendimento di una persona. Le stesse tecniche mnemoniche - esposte sin dai tempi di Giordano Bruno - fanno largo uso di simboli, allegorie, immagini ed associazioni di idee: siccome poi nell’antichità – visto il diffuso analfabetismo del popolo – si era soliti trasmettere la conoscenza per via orale, l’uso di soggetti ed idee archetipiche risultava essere il più adatto allo scopo.
Storia, archetipi e vicende nel Rito Scozzese Antico ed Accettato
La massoneria ed, in particolare, il Rito Scozzese Antico ed Accettato si sono fatti portatori di un costrutto sincretistico che trova la propria base naturale in tutte queste antiche e spesso dimenticate conoscenze. Naturalmente, nell’economia di un articolo, non sarà possibile ripercorrerle tutte, ma tenteremo almeno di elencare le principali.
Ecco allora nascere la piramide scozzese che, dai valori fondanti la Maestria, inizia un cammino che conduce alla scalata dei nove gradini sino alla vetta, ove idealmente risiede la sorgente di tutta la Luce.
Per molti secoli, infatti, la storia era per lo più una “narrazione”, filone questo dove è possibile inserire certamente la vicenda hiramitica: dalla Bibbia, come già esposto in altri lavori (4), la leggenda del mitico “costruttore” Hiram prende spunto per poi svilupparsi pian piano sino alla forma odierna.
Come vedremo le stesse saghe cavalleresche, come quella arturiana, vengono man mano arricchite da vari autori successivi, giungendo a creare una vera e propria epopea che esalta le varie caratteristiche umane, sotto l’egida di un potere esterno, divino o magico.
Dal Maestro Segreto al Grande Eletto Perfetto e Sublime Massone
Nell’archetipo del Maestro Segreto sono individuabili delle peculiari caratteristiche che corrispondono ad altrettanti valori e qualità che ciascuno di essi deve possedere e condividere profondamente, e che, insieme, vanno a formare il costrutto o struttura di tale modello.
In particolare, tale archetipo prevede estreme lealtà ed onestà pervase dall’onore e dalla coscienza, infine, è necessaria una profonda riservatezza riguardo l’inestimabile e prezioso tesoro di cui il Maestro Segreto è ubbidiente custode. Tali, quindi, in poche parole gli elementi caratteriali, tradotti ritualmente in simboli, che costituiscono il modello dell’uomo e massone che ha raggiunto tale grado di perfezionamento. A questo alludono le allegorie della leggenda del grado: essendo venuto a mancare il Maestro Hiram, il compito di custodire l’Arca dell’Alleanza è passato nelle mani di sette Maestri che guidati da Adonhiram debbono vegliare sulla sacralità del Sancta Sanctorum (o Santo dei Santi) che costituisce – secondo la religione ebraica - la parte più sacra del Tabernacolo e del Tempio, ove è appunto custodita la Sacra Arca.
All’inizio del cammino scozzese troviamo poi un inconfondibile e, forse, insuperato modello di Saggezza nella figura di Re Salomone che d’ora in avanti sarà colonna portante e protagonista della vicenda riguardante la costruzione della Casa di Dio a Gerusalemme. Tutto ruoterà intorno a questa figura che a tratti apparirà vuoi in tutta la sua saggezza, vuoi come emblema di volizione e perseveranza nel raggiungere l’obiettivo, egli infatti deve farsi carico della conduzione dei lavori; solo attingendo a piene mani dalla sua sapienza potrà in qualche modo sopperire alla mancanza di Hiram: lui solamente conosceva la Parola Ineffabile, il Nome di Dio. Hiram custode, Maestro Architetto, Sommo Sacerdote era il solo a conoscere profondamente i segreti dell’Arte ed ora che non è più fra i vivi, deve risorgere in un nuovo individuo che, durante il cammino iniziatico scozzese, dovrà dimostrare di essere all’altezza di sostituirlo e di possedere le imprescindibili caratteristiche utili a ritrovare la “Parola Perduta”…
La custodia stessa dell’Arca dell’Alleanza è simbolo del possesso di qualità rare, fuori dal comune, che permettono al Maestro Segreto di avvicinarvisi. Infatti, rappresentando il segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Essa era veicolo della potenza divina, come si narra in 2 Samuele (6,1-8) (5):
Davide fa trasportare l'arca a Gerusalemme
1 Davide radunò di nuovo tutti gli uomini migliori d'Israele, in numero di trentamila. 2 Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per trasportare di là l'arca di Dio, sulla quale è invocato il nome, il nome del Signore degli eserciti, che siede in essa sui cherubini. 3 Posero l'arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achìo, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo:
4 Uzzà stava presso l'arca di Dio e Achìo precedeva l'arca. 5 Davide e tutta la casa d'Israele facevano festa davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali. 6 Ma quando furono giunti all'aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l'arca di Dio e vi si appoggiò perché i buoi la facevano piegare. 7 L'ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, presso l'arca di Dio. 8 Davide si rattristò per il fatto che il Signore si era scagliato con impeto contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Perez-Uzzà fino ad oggi.
Inoltre la leggenda racconta che, in certe occasioni, l’Arca fosse avvolta da un alone di Luce sovraumana da cui si sprigionavano lampi divini in grado di incenerire letteralmente chiunque, superando il divieto di avvicinarvisi, ne fosse rimasto colpito. Questo simbolo, centrale nel IV° grado scozzese, è sicuramente foriero dell’eccezionalità e ricchezza spirituali necessarie all’altissimo compito affidato al Maestro Segreto che, peraltro, deve tenere sempre a bada la propria curiosità rimettendosi silenziosamente agli avvertimenti ricevuti con l’obbedienza e la lealtà richieste…
Insomma, attraverso una lunga serie di archetipi biblici, il Maestro Segreto - insieme ai propri Fratelli - prosegue la costruzione del Tempio, acquisendo man mano nuovi elementi che si presenteranno durante l’assunzione di incarichi sempre di maggior responsabilità nel cantiere diretto da Salomone, a sua volta coadiuvato da Adonhiram, primo fra i Maestri Segreti, sino al XII° grado, quello di Gran Maestro Architetto che pur non trovando nella vicenda un riscontro biblico può essere sicuramente inserito nella tradizione israelitica e salomonica…
Sempre di derivazione biblico-salomonica, giungiamo sino ai gradi XIII° e XIV°, rispettivamente del Real Arco e del Grande Eletto Perfetto e Sublime Massone, due gradi fondamentali per la ricchezza di contenuti simbolici: l’iniziato deve compiere i viaggi nei sotterranei del Tempio alla ricerca della Cripta dove è custodita la Chiave che permette di interpretare la “Parola Perduta”, ossia il tesoro della “Parola Ineffabile” precedentemente custodito gelosamente dal Maestro Hiram. Questi due gradi, l’uno continuazione dell’altro, tanto sono importanti per il percorso scozzese che, a tutt’oggi, il XIV° viene ancora praticato da alcuni Supremi Consigli anglo-sassoni del RSAA nel mondo, proprio al posto del IX°, ossia quello di Maestro Eletto dei Nove...
Nei successivi gradi al modello biblico-salomonico si sostituisce quello cavalleresco…
Leggende e saghe cavalleresche nei gradi capitolari
Con Cavalleria si indicano generalmente le unità militari a cavallo che ricoprivano un ruolo
fondamentale per l’esercito, viste le caratteristiche di velocità, mobilità ed efficacia. Sin
dall’antichità molti popoli ne fecero largo uso, per citare qualche esempio, dagli Assiri ai
Cartaginesi di Annibale. Al di là dell’utilizzo in battaglia, l’epoca d’oro della Cavalleria, come accennato, fu il periodo medievale: gli autori seguivano in toto la linea del componimento epico, capace di tradurre ed evidenziare il comportamento dell’eroe di turno. Costruirono così degli archetipi che potessero trasmettere, con la forza e l’impeto necessario, nuove idee ed alti valori che cominciavano ad affacciarsi nella società dell’epoca. Ecco come la Cavalleria assunse un ruolo leggendario che travalicò per sempre la semplice definizione militare: l’uomo che poteva fregiarsi di tale titolo era contornato da un alone magico, capace di elevarlo sopra gli altri…
In epoca medievale, essere un Cavaliere significava aderire ad un preciso codice etico-comportamentale, operare e vivere in conformità a queste regole che, in pratica, traducevano in realtà la ricerca dell’idea di perfezionamento umano derivante dall’antico archetipo della Giustizia che prevedeva specificatamente la difesa del “gentil sesso”, benevolenza e misericordia verso gli altri, il disinteresse al vantaggio personale etc.
Ecco, ad esempio, la promessa a cui si sottoponevano i Cavalieri della Tavola Rotonda, secondo il Nobel per la letteratura Jonh Steinbeck (6):
“Giurarono di non ricorrere mai alla violenza senza un giusto scopo, di non abbassarsi mai all‘assassinio e al tradimento. Giurarono sul loro onore di non negare mai misericordia a chi ne facesse richiesta, e di proteggere fanciulle, gentildonne e vedove, di difendere i loro diritti e di non imporre ad esse la loro lussuria con la forza. E promisero di non battersi mai per una causa ingiusta o per vantaggi personali. Questo giuramento pronunciarono i Cavalieri tutti della Tavola Rotonda, ed ogni Pentecoste lo rinnovarono”.
Naturalmente, la figura possente del Cavaliere medievale sul proprio destriero è capace, poi, di suscitare altri pensieri nell’immaginario collettivo: forza, nobiltà, elevazione, prestanza ed abilità militari che trasmettono sicurezza nell’amico e terrore nell’avversario. La possibilità poi di accedere allo status di Cavaliere da parte di chiunque si dimostrasse degno, faceva sicuramente sognare le classi più povere e deboli della società che vedevano in questa figura la possibilità di una sorta di riscatto per tutti loro, al di là della nascita e del sangue che scorreva loro nelle vene…
Quindi, premesso ciò, passiamo chiaramente alla scoperta e comprensione di quei “modelli dell’eterno”, tanto cari anche a Mircea Eliade, specificatamente al tema cavalleresco, ovvero il più attinente ai lavori scozzesi.
Come vedremo, tali modelli vanno a costituire non solo il costrutto simbolico-esoterico dei gradi classificabili come templari, ma, attraverso un parallelo piuttosto facile per coloro che appartengono a questo rito e che abbiano raggiunto il XVIII° grado, è possibile individuare una radice comune con simbologia e ritualità del XV° e XVI° grado, proprio nella saga arturiana: tanto per fare un richiamo utile al sillogismo, mi riferisco ai tre sinedri biblici composti da Sacerdote, Re e Profeta, che formano la solida base su cui poggia la vicenda biblica relativa al ritorno dalla cattività in Babilonia e la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme.
“I modelli dell’eterno” ed anche quelli relativi all’Universo stanno alla base stessa del pensiero umano che, sin dai primordi, si preoccupa fondamentalmente del proprio passaggio all’Oriente eterno e della propria origine, cercando di dare un motivo fondamentale od uno scopo all’esistenza terrena. Da queste due semplici domande nascono le basi religiose e mitologiche di ogni cultura, dall’Australia all’angolo più remoto dell’Amazzonia…
E sicuramente i modelli, cresciuti in complessità e costruiti negli anni, trovano nelle saghe cavalleresche non solo terreno fertile, ma la loro stessa ragion d’essere.
Veniamo quindi alla sostanza…
Dal Cavaliere d’Oriente o della Spada al Cavaliere d’Oriente e d’Occidente
Il XV° ed il XVI° grado (poi anche il XX°), introducono l’iniziato alla vicenda biblica della cattività di Babilonia ed al ritorno a Gerusalemme per la ricostruzione del Tempio distrutto da Nabucodonosor alla fine del Regno di Giuda, inserendosi quindi nel filone cavalleresco ma di stampo biblico. Il Cavaliere d’Oriente o della Spada è così chiamato proprio per la caratteristica di tenere in una mano la cazzuola, utile alla ricostruzione del Tempio, e nell’altra una spada, necessaria a difendersi dalle continue incursioni dei Samaritani. Nel XVI° e successivo grado, quello di Principe di Gerusalemme, Zorobabele invia una delegazione ebraica alla corte persiana di Dario per chiedere il suo aiuto contro i Samaritani, una volta sconfitti ed obbligati a versare i tributi agli ebrei per la ricostruzione del Tempio, torna la pace; come ricompensa, al capo delegazione viene conferito da Zorobabele il titolo che dà il nome al grado… Gli archetipi qui contenuti sono quello di Libertà e Giustizia raggiungibili attraverso perseveranza e coraggio, esaltando al contempo il concetto di eguaglianza dei Doveri. Alcuni importanti autori legano poi la leggenda di questi due gradi al templarismo.
Nel XVII° grado di Cavaliere d’Oriente e d’Occidente, che peraltro si trova esattamente alla metà del cammino iniziatico scozzese, si incontra la summa delle virtù cavalleresche: abbandonato il racconto biblico, secondo la leggenda, i Cavalieri d’Occidente, ossia gli Ebrei rifugiatisi nel deserto dopo la presa di Gerusalemme da parte dei Romani, ricevono i segreti del Culto del Grande Architetto dell’Universo, mantenuto intatto nella sua purezza dagli Esseni; secondo molti autori poi l’unione dei Cavalieri d’Occidente con quelli d’Oriente darà vita all’Ordine del Tempio…
Principe Rosa Croce, Cavaliere dell’Aquila e del Pellicano
Il XVIII° grado di Principe Rosacroce, praticato integralmente nella Giurisdizione Italiana del RSAA, merita un approfondimento particolare per la ricchezza e varietà di contenuti da un lato e per l’incredibile messe di filoni filosofici da cui ha tratto ispirazione dall’altro.
Ciascuno dei più importanti e noti autori, infatti, fa risalire il grado rosacrociano a diversi filoni di pensiero che storicamente risultano anche piuttosto distanti fra loro, naturalmente questo è lo scotto che si deve necessariamente pagare qualora si affronti un argomento, come quello rosacrociano, di cui poco o niente sappiamo, data anche la scarsità, o addirittura l’assenza, di documenti storici a riguardo.
La cosa più plausibile risulterebbe appoggiarsi sui Manifesti Rosacrociani di inizio seicento (1614-1625) e di certo non mi lascerò sfuggire l’occasione, ma prima di questo più semplice parallelismo, ritengo opportuno riportare alcune notizie riguardo l’originario Ordine che, seppur vissute sulla leggenda, appaiono ricche di fascino.
Al di là della mitica fondazione da parte di tale Christian Rosenkreutz, nome a parer mio prettamente leggendario, l’Ordine della Rosa+Croce assume una valenza propria e, soprattutto, distinta dalle varie Società Rosacrociane o movimenti rosacrociani… Mi trovo, infatti, pienamente d’accordo con Guénon (7) quando identifica la Rosa+Croce con una tappa fondamentale del percorso iniziatico, assimilando il possesso del grado alla piena conoscenza dei Misteri cosiddetti Minori, al pari dei Sufi islamici…
Altra cosa è alludere alla nascita dell’Ordine del Tempio quale braccio secolare del mitico Ordine della Rosa+Croce che avrebbe così tentato di compiere l’ideale riunione degli uomini dell’epoca, attraverso la congiunzione con i Sufi e la mitica Cavalleria Araba.
Altra cosa dalla precedente, sono la nascita e lo sviluppo delle correnti o movimenti rosacrociani testimoniati dagli omonimi manifesti seicenteschi che fanno espresso riferimenti ad una particolare concezione filosofica.
L’archetipo del Principe Rosacroce, scaturisce dalla complessa simbologia legata alla fusione e sovrapposizione della Croce con la Rosa che assieme giungono a comporre un elemento dalla valenza universale e dai molteplici significati… infatti, la Rosa indica sicuramente purezza e saggezza, visto che si era soliti rappresentarvi la donna-sophia, è simbolo d’amore eterno, sin da quando – come si narra nel mito di Adone - dal sangue di Afrodite, di lui innamorata, sbocciarono le prime rose rosse. Inoltre la rosa è anche simbolo di riservatezza e silenzio in quanto, nel culto dionisiaco, si era soliti adornarsi di rose che, si credeva, avessero il potere di alleviare l’ebbrezza ed impedire all’ubriaco di rivelare i propri segreti.
La Croce d’altro canto, tralasciandone il significato cristico poco adattabile al grado scozzese e normalmente rappresentato con una croce con il braccio verticale più lungo (Croce della Passione), è simbolo dei quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco), delle direzioni (est, sud, nord, ovest) e forse è il più universale fra i simboli elementari che si può riscontrare in numerose e distanti popolazioni sin dall’origine dell’umanità.
La Rosa sovrapposta alla Croce risale poi almeno all’VIII sec. d.C., com’è verificabile da una scultura romana conservata al museo di Tunisi o nell’opera del Maestro Comacino Paganus, con data accertata al 737d.C., tratta dal Tempietto di Cividale e conservata nel Museo della città.
Questo simbolo composito trova egregia rappresentazione nelle parole poetiche del massone J.W. Goethe (dall’opera poetica I Segreti) (8):
Chi ha unito le rose alla croce?
si allarga la corona,
da destra per ogni lato,
e accompagna morbidamente il ruvido legno,
e lievi nuvole azzurro-argentee si librano
si innalzano con rosa e croce
e dal centro sgorga una santa vita,
tre raggi che penetrano in un unico punto.
Ritornando adesso alle oltre duecento opere rosacrociane di matrice seicentesca, bisogna necessariamente far riferimento al teologo Valentin Andreae, appartenente al cosiddetto gruppo di Tubinga, ovvero colui che dette inizio a questo filone rosacruciano con tre opere: Fama Fraternitatis, Confessio Fraternitatis e Le nozze mistiche di Christian Rosenkreuz: anno 1459, tutte pubblicate dal 1614 al 1616. L’intento era quello di riflettere ed opporsi alla dilagante ortodossia della Chiesa Cattolica e di quella Protestante, tramite le idee promulgate da due nuovi movimenti filosofico-culturali, ossia la Teosofia (9) e la Pansofia (10), entrambe apparse nei nuovi testi rosacrociani.
Queste due correnti di pensiero, tentano di giungere al medesimo risultato, percorrendo due strade diverse, ma molto simili; come spiega egregiamente l’antropologo e saggista tedesco, Will Erich Peuckert (1895-1969):
Se il Teosofo vuole comprendere il mondo dal divino Centrum Naturae, per il Pansofo si tratta solo, dirigendosi dall’esterno verso il centro, di portare alla luce il senso del tutto. Per Peuckert entrambe le strade, dall’esterno verso l’interno e dall’interno verso l’esterno, sono praticamente eguali: «Cos’era il Primo? Non posso dirlo. Entrambi sono viventi, uno accanto all’altro. Entrambi compaiono nello stesso momento. All’uomo si presentano due strade: la destra, che porta all’Unione, e la sinistra che procede attraverso la conoscenza. Oggi si chiamano Teosofia e Pansofia» (11)
Come evidenzia lo stesso autore tedesco, appare chiaro come queste due correnti filosofiche possano essere considerate il ponte verso la moderna Massoneria, che sin dai primordi fornisce i mezzi per la ricerca della consapevolezza di sé e del Tutto, attraverso ragione ed intuizione, scevra da dogmi, propone un cammino di elevazione spirituale del singolo e della comunità atto ad edificare il tempio della tolleranza, nella libertà, uguaglianza e fratellanza del pensiero dei singoli individui. Ecco, in breve, esposti i presupposti necessari all’archetipo del Principe Rosa+Croce, che vengono confermati dalla simbologia legata vuoi al pellicano vuoi all’aquila: fra i molti significati attribuiti al pellicano quello più pregnante in questa sede appare essere la rappresentazione alchemica dell’anelito - spoglio di egoismo - alla purificazione, anche riguardo al significato simbolico dell’aquila possiamo scegliere fra innumerevoli opzioni, ma riguardo questo specifico contesto e grado quello più attinente sembra risultare “la capacità della Luce di prevalere sulle forze delle Tenebre e del Male”, derivante dalla capacità dell’aquila di cacciare ed uccidere i serpenti (12), così come di volare ad altissima quota utilizzando il benefico e rigenerante influsso del Sole e della sua Luce…
CONCLUSIONI
Proprio nel XVII° e XVIII° secolo, quando sopravanza la Rivoluzione Scientifica dei Lumi che tende ad enfatizzare il bisogno di oggettivare, anche la narrazione storica, parallelamente, soggettività, autocoscienza ed esperienza del sé diventano padrone del regno dello Spirito, della Mente e dell’Anima, separando ed allontanando ancor più il mondo materiale, nella consueta visione dualistica fra sacralità interiore (spirito-mente) e profanità esteriore (materia-corpo).
Sicuramente ad oggi la tendenza predominante è quella della linearità della storia, ma nel XX° sec., alcuni si sono soffermati - se non altro - a riconsiderare la validità della teoria ciclica, spronati e confortati da alcune scoperte scientifiche che in qualche modo non escludono la possibilità di fasi successive di rigenerazione e conclusione dell’Universo intero; si riaffaccia quindi la possibilità di una certa ripetitività propria delle concezioni cicliche quali ad esempio quella yuga del credo indù…
Del resto anche grandi filosofi come Nietzsche hanno riportato in auge il mito dell’eterno ritorno, ovvero della ripetitività della storia, ed alla fine dei conti non possiamo non tener in considerazione l’idea primigenia, vero frutto dell’intuizione umana, che è capace di richiamare alla mente concetti complessi tramite simboli, miti e leggende molto più utili alla funzionalità mnemonica ed immaginifica di ciascun individuo.
Quindi, se da un lato, la linearizzazione storica è utile ad una archiviazione descrittiva, dettagliata ed “oggettiva” degli eventi, propria del progresso tecnologico moderno, dall’altro la visione ciclico-archetipica sembra assolutamente più adatta alla sfera spirituale e ad una interiorizzazione profonda delle idee da parte dell’iniziato che intenda percorrere il proprio cammino di elevazione intellettuale, morale e mistica…
Gianmichele Galassi
Da: G. Galassi. L'evoluzione della visione della storia: dalla ciclicità degli archetipi della camera capitolare del R.S.A.A. alla linearità moderna. Gradus, vol.74, aprile-giugno 2011, Firenze.
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NOTE
1) «La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, nunzia dell'antichità»
2) Archetipo: a) primo esemplare assoluto ed autonomo; b) In filosofia, modello primitivo delle cose. Tratto da Devoto-Oli. Diz. della Lingua Italiana. Le Monnier, 1990.
3) Lo svizzero Carl Gustav Jung individua nell’archetipo il contenuto dell’inconscio collettivo, ossia la tendenza ad organizzare la conoscenza secondo dei modelli predeterminati o idee innate.
4) G. Galassi. La Leggenda di Hiram. Secreta Magazine, Vol.1/2010:8-18, Editoriale Olimpia.
5) Tratto da Bibbia C.E.I. (http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=2sam6%2C+1-8&formato_rif=vp)
6) Tratto dal romanzo: Steinbeck John. Le gesta di re Artù e dei suoi nobili cavalieri. Rizzoli Ed.
7) René Guénon. Considerazioni sull’Iniziazione. Luni Editrice, 1996.
8) Tratto da: Simboli. Garzanti Editore, 1991, pag. 447.
9) “Il termine teosofia (dal greco θεός, 'dio', e σοφία, 'sapienza') indica diverse dottrine mistico-filosofiche storicamente succedutesi, che si richiamano l'una all'altra. La teosofia diventa una dottrina filosofica del XVII secolo, la quale sostiene che tutte le religioni hanno un'unica origine. Tale dottrina afferma di poter condurre l'uomo alla verità tramite una conoscenza esoterica della divinità.” Voce tratta da: http://it.wikipedia.org/wiki/Teosofia
10) “Il concetto di «pansofia» compare per la prima volta nel 1616 in una raccolta di scritti rosacrociani. Esso fu divulgato dall’opera di Johann Amos Comenius (1592-1670) come vescovo della Confraternita boema, umanista ed educatore. Il titolo della sua grande opera, De rerum humanarum emendatione (il manoscritto fu scoperto solo nel 1935), caratterizza la sua indefessa fatica per il miglioramento della umanità. Gli scritti Pansophiae prodomus 1639) e Schola pansophiae (1670) intendono con ‘pansofia’, un panorama sistematico, esattamente delineato sull’uomo. Il Lexicon reale pansophicum, una parte dell’opera citata, era destinato a «esaminare l’intero universo e definire i limiti di tutte le cose essenziali, il concetto delle cose e delle parole, al fine di mettere ovunque in luce quali sono le cose fra loro eguali o simili, diverse o dissimili; quali, in definitiva, contraddittorie e antagoniste». Comenius intende presentare «la dimensione vera e reale di tutte le cose». Il fatto che egli le ordina secondo l’alfabeto dimostra che non ha fiducia nelle motivazioni finali della scolastica tradizionale. Non è possibile un’eterna sicurezza: «la divinità che si manifesta nel mondo viene da noi sperimentata come un fatto storico, come emanazione»”. Brano tratto da: Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Eine ideengeschicht: liche
BetrachtungEine ideengeschicht: liche Betrachtung. Vol. 17, 1980, atti della R.·.L.·. Quatuor Coronati di Bayreuth.
11) Peuckert Will. Erich. Pansofia, un tentativo nella storia della magia bianca e nera. Berlino 1976, p. 358. Tratto ancora da: Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Eine ideengeschicht: liche BetrachtungEine ideengeschicht: liche Betrachtung. Vol. 17, 1980, atti della R.·.L.·. Quatuor Coronati di Bayreuth.
12) Serpenti che spesso venivano simbolicamente identificati o parificati ai draghi.
BIBLIOGRAFIA
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- Francis Fukuyama. La fine della storia e l'ultimo uomo. Rizzoli, Milano, 1992.
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- Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Ælteres Rosenkreuzertum und Freimaurerei. Eine ideengeschicht: liche BetrachtungEine ideengeschicht: liche Betrachtung. (Rosacrocianesimo e Massoneria. Considerazioni storico sociali.). Vol. 17, 1980, atti della R.·.L.·. Quatuor Coronati di Bayreuth. Consultabile su: http://www.zen-it.com/mason/studi/r+&m.htm
- Simboli. Garzanti Editore, 1991.
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