Riflessioni sulla Mente
di Luciano Peccarisi - indice articoli
L'ultima mutazione (Dawkins, Recalcati, Baricco)
novembre 2014
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Massico Recalcati
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La mutazione di Baricco
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E il cervello?
Quando tutto è fermo, com’è sulla luna o sugli altri pianeti conosciuti, non c’è vita. Quando nasce la vita sul nostro pianeta, nasce un macinino magico che sforna sempre nuove forme; nasce il movimento. Ogni animale della savana appena si sveglia deve correre, per mangiare o per non essere mangiato. E’ la corrente dinamica della vita. Richard Dawkins, nel “ Il gene egoista”, alla domanda quando è cominciato il movimento, risponde: quando è comparso il primo replicatore. Un essere che fa copie speculari di se stesso. Ha acceso un motorino, ancora in moto, da cui sgorgano incessantemente forme strane e variopinte che popolano le profondità dei mari, i deserti aridi, le montagne innevate e i cieli azzurri. Sempre diverse evolvono, cambiano, si adattano. Se fossero rimaste sempre uguali, la vita si sarebbe stoppata, ci voleva un meccanismo elastico e plasmabile all’ambiente mutevole. Ecco quindi la “mutazione”. In medicina le chiamano malformazioni, ma in natura rappresentano opportunità. Le mutazioni sono ‘errori’ di copiatura nel DNA, che aggiungono variabilità, è così che nascono ogni tanto individui diversi. Se anziché la solita giraffa ne viene fuori una con il collo lungo, mangerà meglio le foglie più alte, e vivrà più a lungo, si riprodurrà più facilmente e dopo un po’ quella copia non conforme soppianterà le altre. Non c’è nessun progresso o finalismo, la mutazione rende più adatto o no, e basta. La tigre dai denti a sciabola o il mammut erano più forti dell’elefante e della tigre, ma avevano caratteristiche meno favorevoli alla loro riproduzione. Quel pappamolle di un lombrico invece è arrivato, flaccido e molliccio, fino a noi. L’adattabilità non è nella perfezione, non è in alto ma di lato, di fianco, la differenza non è tra migliore o peggiore ma tra chi è più idoneo, sia pure esso un verme. All’interno di questa corrente biologica di geni viaggiatori incistati in involucri di carne, ossa, squame, penne, scorza o vegetali, poteva nascere un secondo replicatore? Beh era tanto difficile quanto il primo. Tuttavia nacque. Dawkins lo battezza “meme” che richiama suo fratello, il “gene”. Si è acceso un altro motorino, non forme biologiche sforna ma forme mentali: le idee. E’ stata la forma unica, nuova e originale di trasmissione vocale del pensiero che l’ha permesso. Nasce un nuovo movimento, un’altra corrente. L’idea vincente, magari nata per errore, cammina sulle sue gambe, come la ruota, prima di pietra, poi legno, di ferro e infine di gomma. O l’idea di arco per lanciare più lontano, oggi lanciamo missili. Salta da cervello a cervello (da mente a mente). Non è buona o cattiva in sé; si trasmette solo se si riproduce. Altrimenti muore. Quanti animali non esistono più e quanti modi di costruire strumenti o idee sono spariti dalla circolazione? I corpi dei memi sono le biblioteche, i musei, le fondazioni, i monumenti; tutte le costruzioni umane sono memi solidificati. Proprio come i corpi viventi sono progetti genici realizzati, anche i corpi memici sono realizzazioni dell’idea. L’idea d’immortalità ha costruito milioni di libri, tempi e monumenti, e perfino Stati religiosi. Anche i memi non seguono una via dal basso verso l’alto, ma si spostano di lato. A volte sono i peggiori che hanno il sopravvento solo perché capaci di riprodursi di più. Soppiantano i migliori, com’è successo alle meraviglie intellettuali dei greci, sepolte per millenni a causa della seducente idea cristiana d’immortalità.
Massico Recalcati
In un articolo su Repubblica "Perché la via breve ci porta lontano dalla soddisfazione", Recalcati parte dalla metafora di Freud della “via breve” e della “via lunga” nella ricerca della soddisfazione, e fa un excursus. Oggi preferiamo la via breve, dice, nel mondo che cambia, e ne siamo disillusi. Parla della lettura che è un esercizio che esige tempo. Ma noi tempo non ne abbiamo più, e quello della lettura è un movimento del pensiero faticoso e lento, e noi siamo comodi, e ci sembra tempo perso. Lo sforzo della lettura è così sostituito dalla recezione passiva del flusso delle immagini: ad esempio la televisione. E nel lavoro? Deve velocizzarsi anch’esso, l’accumulazione rapida del profitto non può avvenire attraverso la faticosa impresa, ma attraverso operazioni astratte che consentono una realizzazione del profitto immediata. Nel social network poi tutto si accorcia, mentre la costruzione di un legame d’amore o d’amicizia implica tempo, tempo non ne abbiamo più. E con un clic possiamo avere l’illusione che tempo e cura non siano più necessari. Oggi vince la “via breve” quella che non vuole accettare il limite. E’ una scorciatoia poiché tollerare l’assenza, la perdita, il limite, differire la soddisfazione o la scarica pulsionale, sopportare il peso della frustrazione, non è compito facile. Per questo la via breve può portare a un mondo allucinatorio. Oggi siamo nel mondo della “via breve”, e la mente si forgia in questo mondo. E il cervello?
La mutazione di Baricco
Alessandro Baricco nel suo saggio “I barbari. Saggio sulla mutazione” vede l’animale che corre nel suo insieme. Lo vuole osservare tutto in uno sguardo e comprenderne la corrente che segue. Baricco chiama “mutazione” ciò che oggi sta accadendo sotto i nostri occhi. Quel che ci è noto lo chiamiamo ‘civiltà’ e quello senza ancora il nome ‘barbarie’. Nei momenti di rapida diffusione chi rimane indietro classifica come barbari quelli che stanno avanti. “Dove sono Io, in questa corrente?” si chiede Gengis Khan, scrive Baricco. Questo tipo di evoluzione non è in senso ascensionale ma di lato. Ricordate le deviazioni di lato, come quelle del lombrico che può strisciare attraversare milioni di anni? Si può dire che l’ombelico da fuori è un passo avanti rispetto alla minigonna? Sono il superamento di qualcosa? Proprio no. Anche nella musica si cerca qualcosa di diverso, non certo qualcosa di superiore. Qualsiasi cosa ha senso e importanza solo se riesce a inserirsi in una più ampia sequenza di esperienze, e se si propaga. E lo fa se ha successo, commerciale, a prescindere del valore della cosa in sé. Che valore ha in sé un verme, il lombrico? L’animale che corre, s’intravede. E noi? Anche noi siamo nella corrente; la corrente dei geni prima e dei memi dopo, e tutti corrono. I barbari oggi corrono di più, hanno smantellato il concetto di profondità e l'hanno sostituito con quello di superficialità. Viaggiano velocemente, non si fermano, leggono pochi libri, ascoltano a frammenti, scrivono nei telefoni, non si sposano, non entrano nei cinema, vivono in rete. Non vanno mai alle radici; così la vita acquista un senso meno pesante (e più bello?). Ad esempio i libri: oggi si vendono più libri, ma sono libri che non sono libri, sono scritti da persone famose, da cui è stato tratto un film, raccontano storie che sono già state raccontate altrove, e sono letti da persone che non sono lettori. Siamo di fronte non a un normale affinarsi di una civiltà, il sistema di pensiero non profondo dei barbari ridistribuisce il senso. Superficiale non è il termine giusto, non abbiamo il nome giusto. Nel genio, nella profondità dell’individuo più nobile, quel ritmo è spezzato. Un cervello semplice trasmette messaggi più velocemente, un cervello complesso li rallenta. Il cervello?
E il cervello?
Quando il grande neurologo Wilder Penfield descrisse le aree cerebrali, il mondo accademico rimase a bocca aperta. Ad aree adiacenti sulla superficie del corpo, corrispondevano zone adiacenti nel cervello. Penfield andò oltre. Toccando alcune parti del cervello, suscitava nel paziente non solo sensazioni e movimenti ma anche lontani ricordi d’infanzia o immagini oniriche. Ciò significa che anche le attività mentali superiori erano mappate nel cervello. Ora sappiamo però che il cervello è plastico, le aree si muovono, si spostano, quelle che si usano poco si spengono, quelle che si usano molto si allargano. Il violinista o il pianista ha le aree preposte molto più estese. Oggi si tende a lavorare in multitaskins, se da una parte è possibile controllare rapidamente dall’altra in questo modo non si ottengono cambiamenti stabili nelle mappe cerebrali. Anziché un cervello fatto di zone più analitiche e profonde che scrutano la realtà, il cervello multitaskins ne avrà di più ma superficiali. L’attenzione è essenziale per i cambiamenti neuroplastici a lungo termine. L’esercizio di una capacità nuova, come ha dimostrato Michael Merzenich, può modificare milioni e probabilmente miliardi di sinapsi nella nostra mappa cerebrale. Il cervello non è un recipiente vuoto che riempiamo, è più simile a una creatura vivente dotata di volontà, in grado di crescere e modificarsi attraverso il nutrimento e l’esercizio appropriati. La mappatura di un giorno non sembra valida per quello successivo: le mappe sono dinamiche. La natura della plasticità è competitiva. Nel nostro cervello vi è una guerra senza fine; se smettiamo di esercitare le nostre facoltà mentali, non solo le dimentichiamo ma la parte di cervello per quelle funzioni è affidata ad altre che invece continuiamo a usare. Tale competitività spiega alcuni limiti presenti nell’età adulta, come ad esempio imparare una lingua straniera. Se si è giovanissimi entrambe le lingue condividono la medesima zona. Invecchiando con la stessa lingua la mappa domina tutta la zona linguistica e la seconda se ne dovrà cercare un’altra. Lavorare in multitaskins, come fanno i giovani di oggi, comporta una divisione dell’attenzione e non si ottiene mai un cambiamento stabile di aree nel cervello. La mutazione continua nelle mappe cerebrali del nuovo essere umano, forse si accorda con le variazioni memetiche e creative di Dawinks, al mondo allucinatorio di Recalcati e alla veloce superficialità inventiva di Baricco. Questa è forse l’ultima mutazione?
Luciano Peccarisi
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