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Spunti di Riflessione
di Marco Biagioli
Resilienza
La resilienza è la capacità di far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante l’aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare a un esito negativo. Elena Malaguti (pedagogista, psicologa e psicoterapeuta)
La resilienza, dal verbo resalio-risalire, è un costrutto con radici molto lontane; ha bisogno del “noi” per costruire. È assieme un processo biologico, psico-affettivo, sociale, culturale ed educativo che permette la ripresa di un neo-sviluppo dopo un evento traumatico. Riguarda da sempre l’uomo però curiosamente non ha avuto in passato una rappresentazione verbale. Chi soffriva era in balia degli eventi, dell’aiuto del caso, si doveva “arrangiare”; molti restavano segnati e solo alcuni riuscivano a riprendersi senza che nessuno ne capisse la ragione.
Albert Solnit ed Emmy Werner negli anni ottanta sfruttarono, in senso figurato, il concetto fisico di resilienza e confezionarono una metafora adatta alla persona che torna alla vita dopo un trauma passibile di provocare un'“angoscia psichica”.
Il colpo è esistito, ma il soggetto riesce ad agire ritornando non alla sua vita precedente, in quanto ne conserva traccia in memoria, ma a un’altra vita, appassionante quanto difficile.
Gli esseri umani sono naturalmente progettati per affrontare con successo difficoltà e stress. Le ricerche sulla resilienza hanno determinato un diverso modo di pensare e di agire nell’organizzazione delle istituzioni a nelle risposte comportamentali. È cambiata la visuale sul paziente, lo sguardo con cui si leggono i fenomeni, lo studio delle risorse interne e delle modalità di intervento della società. Si è abbandonata la causalità lineare, di causa effetto riassumibile con: “è stato ferito quindi è spacciato per tutta la vita”. Ora si considerano i problemi nel quadro di un sistema, ovvero se un elemento del sistema si rompe è l’insieme del sistema stesso che si modifica.
Gli ingredienti della resilienza sono le risorse interne, ed esterne. Resilience in inglese può essere reso dall’espressione: “Non è niente: la vita continua”. Questa frase non è sintomo di negazione di un maltrattamento, di una violenza o dei disastri provocati dalla guerra. Evidenzia il tentativo di comprendere come alcune persone, pur gravemente colpite, riescono a riprendere una vita soddisfacente. Ovvero capire quale è il processo che si attiva per poter sviluppare idonei principi educativi. In questo quadro si possono inserire le ricerche di John Bowlby (psicologo e psicoanalista) sulle modalità di acquisizione del concetto di fiducia nel neonato e come sviluppare un attaccamento sicuro. Queste infatti sono le basi che caratterizzano la personalità di chi supera i traumi unita al sostegno affettivo offerto dall’ambiente. Il bambino ha bisogno di adulti capaci di creare una relazione di fiducia: tutori di resilienza.
Le persone resilienti sono sempre esistite, si pensi a Beethoven orfano molto giovane, a Manzoni sofferente di attacchi di panico, a Einstein dislessico.
La resilienza secondo Michael Rutter (psichiatra) è anche la capacità di svilupparsi in modo accettabile. Non solo resistenza quindi ma anche superamento delle difficoltà. La resilienza propone di non ridurre mai una persona ai suoi problemi ma di dichiarare anche le sue potenzialità per svilupparne le determinanti quali: capacità di relazione, competenze, iniziativa, creatività, perspicacia, autonomia, humor, un certo senso morale.
In letteratura, ci sono molte più informazioni sulle cause e i trattamenti delle malattie, orientamento o approccio patogenico, rispetto alle ‘cause’ e al mantenimento di una buona salute, orientamento o approccio salutogenico.
È ancora oggetto di studio la correlazione tra welfare, benessere legato alla possibilità di soddisfare i propri bisogni, offerta concretamente dallo Stato in cui la persona vive, e wellbeing, benessere soggettivo/percepito. La salute è la condizione di piena efficienza funzionale che, nell’uomo, comprende anche funzioni logiche, affettive, relazionali in contesti interpersonali e sociali. È qualcosa di più della semplice assenza di malattia; è una condizione che varia con le fasi della cultura e non può essere tipizzata in modo definitivo. Recenti studi sulla salutogenesi hanno evidenziato una forte correlazione tra la salute mentale e la qualità della vita nelle popolazioni e negli individui che hanno sviluppato un forte senso di coerenza, il meccanismo chiave nel modello salutogenico. Siri Naess (psicologo norvegese) ha coniato la “qualità della vita interiore” come sinonimo di benessere mentale che aumenta quando l’individuo: è attivo, ha buone relazioni interpersonali, prova autostima, ha un umore di base fondato sulla gioia. La salute diventa un concetto relativo su un continuum e la domanda veramente importante della ricerca è cosa ‘causa’ la salute (salutogenesi) e non quali sono le cause della malattia (patogenesi). Forse è anche tempo di considerare una modificazione dell’originaria dichiarazione dell’OMS sulla salute e di adottare la prospettiva salutogenica per una nuova definizione.
Le prove dell’esistenza ci plasmano e, come afferma la ricerca, creano una tendenza che non va assolutamente intesa come fatalità, dal momento che altri avvenimenti ci orientano in modo diverso grazie alla nostra enorme flessibilità cerebrale, affettiva e sociale.
Oggi si possono approcciare meglio problematiche che spaziano dai bambini con genitori separati, alle disabilità: ovvero far fronte a situazioni difficili e riorganizzare positivamente il proprio agire. Non si tratta solo di “resistere” ma anche di “ricostruire” la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza, un aiuto per superare le avversità.
La resilienza permette di positivizzare lo sguardo sugli altri, modificare le pratiche, utilizzare meglio le proprie risorse e quelle di coloro con i quali si interessano delle relazioni di aiuto e lavorano sul campo. Permette di mettere in pratica quello che, per intuizione o esperienza, quotidianamente si attua per favorire il benessere e l’agire altrui. ”La crisi è il terreno inevitabile e potenzialmente evolutivo da attraversare prima di poter trovare un nuovo equilibrio nei momenti di passaggio e di cambiamento, sia esterno che interno, che caratterizzano la vita ed il suo scorrere per ciascuno di noi. È la crisi che ci può permettere, percorrendo il territorio dell’incerto, di arrivare a costruire poco a poco il nuovo equilibrio che ci accompagni nelle nuove situazioni di vita, per le quali il vecchio equilibrio non serve piu’” Alba Marcoli (psicologa). Essere resilienti necessita secondo Sybil Wolin, (psicologa co-direttrice del Progetto Resilienza) di importanti elementi: consapevolezza, indipendenza, relazioni, iniziativa, humor, etica. Newman e Blackburn hanno riscontrato tre livelli nei processi di resilienza: individuale, della comunità prossima e della comunità sociale più estesa.
Alberto Oliverio scrive: «La persona invulnerabile così come la immaginiamo, è una specie di Superman: un semidio con doti speciali fin dalla nascita. La persona resiliente, invece, lo diventa nel corso di un processo di crescita, passo dopo passo, in funzione delle esperienze e degli incontri che fa, delle paure e delle frustrazioni che riesce a superare, dei risultati che ottiene, dell’amore che riesce a ricevere e a dare… della capacità di mantenere viva la fiducia in sé stessa».
Gli studi sull’attaccamento chiariscono l’importanza del caregiver per lo sviluppo del neonato e le aree di intervento. L’adulto può in ogni momento sperimentare l’aiuto della mindfulness, un metodo efficace e pratico per ascoltare sé stessi in profondità, sciogliere le tensioni fisiche e mentali, facilitare una mente più lucida, calma, centrata nella vita di tutti i giorni. Ricordati di te nel tuo agire.
Nel 2011 alcuni ricercatori del Massachusetts General Hospital sottoposero ad un programma di mindfulness per otto settimane un gruppo di praticanti inesperti. L’esame finale con la risonanza magnetica riscontrò cambiamenti nelle regioni del cervello associate alla consapevolezza di sé, alla compassione e all’introspezione; incluso un aumento della densità di materia grigia nell’ippocampo, noto per il suo ruolo importante nell’apprendimento e nella memoria, e una diminuzione della densità di materia grigia nell’amigdala, che riveste un ruolo di rilievo nei fenomeni dell’ansia e dello stress. “Questi dati costituiscono la prima prova strutturale della plasticità del cervello in relazione all’esperienza della pratica meditativa” Sara Lazar (neuroscienziata).
Altri studi suggeriscono la presenza di un collegamento complementare fra meditazione, benessere e longevità fisica a livello cellulare. Che si scelga una pratica meditativa a lungo termine oppure tecniche per la concentrazione dell’attenzione nei momenti di forte stress, la consapevolezza serve in ogni caso a rafforzare la resilienza psicologica di un individuo. Questa pratica incide positivamente anche sulla fisiologia dell’organismo accelerando il metabolismo e diminuendo la produzione di cortisolo e noradrenalina, classificati tra i più importanti ormoni dello stress cronico.
Viviamo in una complessità che necessita di maggiori risorse per investire sulla riduzione delle condizioni che possono generare ostacoli e sofferenze. “Fai le cose difficili quando sono facili, e inizia le grandi cose quando sono piccole. Un viaggio di mille miglia deve iniziare con un singolo passo” Lao Tzu.
Marco Biagioli
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