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Esiste la vera libertà o siamo tutti schiavi?
di Marco Zulian
Eraclito, celebre filosofo greco, era solito affermare, durante le sue lezioni, che un concetto non può sussistere senza il suo contrario. Ad esempio, non si può conoscere il bene senza sapere che cos'è il male come, allo stesso modo, non si può cercare di analizzare l'idea di schiavitù senza definire la libertà. Che cos'è la libertà?
Il vocabolario la identifica come la "condizione che permette a un individuo di agire senza impedimenti, ovvero di scegliere se agire o non agire, senza che in alcuno dei due casi debba subire costrizioni fisiche". Di conseguenza, secondo un rapporto di antitesi, la schiavitù è la situazione nella quale si trova un individuo completamente e involontariamente assoggettato a un altro. L'obbligo a svolgere un compito o a prestare un servizio o la riduzione di un essere umano a proprietà esclusiva di un altro, sono le sue caratteristiche fondamentali.
Al giorno d'oggi, sembra strano parlare di servitù, di vessazione: essa appare come una fotografia sfocata di un passato molto lontano. Eppure, l'abolizione ufficiale della schiavitù è avvenuta non meno di due secoli fa: solo nella metà dell'800, infatti, i grandi Paesi industrializzati (Stati Uniti e Gran Bretagna in primis) emanarono delle leggi per interrompere uno dei più orrendi commerci della storia umana, la tratta dei negri. Inoltre, durante la Seconda Guerra Mondiale, tantissimi individui furono massacrati e resi schiavi nei campi di concentramento nella Germania nazista di Hitler. Infine, ancora oggi, vi sono milioni di bambini nel mondo che sono trattati alla stregua di oggetti: le loro piccole manine a lavorare faticosamente davanti a telai o a cucire palloni di cuoio, le loro fragili schiene atte a trasportare pesanti carichi di grano, il loro delicato equilibrio psicologico devastato da violenze, abusi, sevizie. La fotografia della schiavitù, forse, non è poi così sbiadita. Probabilmente, siamo noi occidentali che non vogliamo guardarla con occhio scrutatore, perché temiamo che ciò che l'apparenza, su cui si sempre è basata la nostra società, possa crollare da un momento all'altro.
Una domanda può sorgere spontanea: ma allora com'è nata la schiavitù? A mio parere, la schiavitù è nata con l'uomo stesso. Immaginiamo di ritornare nella preistoria: il capo era colui che aveva un qualcosa in più rispetto al resto della comunità. Questa "cosa" poteva essere una conoscenza, un oggetto, un amuleto, una facoltà che, conseguentemente, gli conferiva un'abilità superiore alla norma. Tale capacità diventava, davanti agli occhi degli altri individui, un potere, il quale, data la sua unicità, era esercitato in modo dispotico, tirannico. Non a caso, i primi grandi imperi della storia erano basati sul rapporto tra sovrano e sudditi, questi ultimi considerati alla stregua di schiavi (assiri, babilonesi, egizi ecc.) Nel corso dei secoli, invenzioni e scoperte hanno creato un gigantesco intreccio di relazioni, in cui sussistono subordinanti e subordinanti, comandanti e comandati, e a giustificare ciò, l'uomo ha sfruttato abilmente l'arte della parola, ed in particolare quella dello scrivere: non a caso, una stessa frase può avere una pluralità di significati, mille vie di interpretazione.
Quale mezzo non poteva essere migliore per giustificare e tentare di far comprendere ai subordinati che la loro condizione era necessaria, se non con la letteratura? Consideriamo alcuni autori del mondo antico, in particolare quello greco e romano, citando alcuni esempi. Aristotele, nel suo trattato "Politica", affermava, argutamente che la condizione di essere schiavo era "giusta e utile", per volere della Natura. Come se essere sottomesso fosse un volere divino. Altri politici romani, come Catone o Varrone, paragonavano il servo alla stregua di una proprietà, come un oggetto o un animale che, quando diventa troppo vecchio, deve essere eliminato e immediatamente sostituito. Lo schiavo diventa come un cavallo da corsa: quando, a causa dell'età, è impossibilitato a correre, viene mandato al macello. Anche la cultura cristiana ha tentato di risolvere la questione, affermando che non è importante la condizione terrena in cui un individuo si trova: nell'Aldilà egli o ella verrà premiata, e accolta nel mondo dei Cieli. Sant'Agostino non aveva previsto che la sua affermazione poteva divenire un'arma a doppio taglio: se, dopo la morte, ognuno di noi si congiunge a Dio, non è necessario cambiare il proprio stato terreno. Si riafferma, così, la necessità della schiavitù.
Tanti filosofi, commediografi, scrittori, retorici, politici, nel lungo corso umano, si sono cimentati nell'affrontare la questione, e alcuni di loro hanno permesso l'abolizione ufficiale di essa. Un enorme passo dell'umanità verso lo Stato attuale. Ma, al giorno d'oggi, siamo veramente liberi? La schiavitù è scomparsa?
Non credo: la schiavitù, ora, è divenuta, interiore. La nostra coscienza è proprietà di coloro che controllano le televisioni, le pubblicità, i mezzi di comunicazione di massa che, lentamente e consapevolmente, tentano di unificare tutti gli ideali, tutte le menti al solo fine di vendere e guadagnare. Seneca ci aveva avvisato: si può perdere la libertà esteriore, ma non bisogna mai divenire schiavi interiormente, perché perdere la propria coscienza significa perdere noi stessi. Come aveva ragione, il vecchio filosofo romano! Lo si può sperimentare girovagando per i vicoli delle nostre città: vedi tante anime vuote, insipide, che ragionano, parlano, discorrono nella stessa maniera. Le osservi: sono incatenate, dipendenti alla tecnologia, alla moda, ai milioni di servizi che la società le offre. Un legame che diventa indissolubile solo quando tu decidi di lasciar che la corrente di parole inutili ti travolga e si impossessi di te.
Esiste un rimedio a questo processo, che si è profondamente radicalizzato nella società moderna?
Dal mio punto di vista, non vi è soluzione. L'unico deterrente, forse, che permette di fronteggiare e difendersi da un mondo che vuole costringerti a diventare un ignavo, come diceva Dante, è usare l'arma della ragione. Bisogna sapersi ascoltare, essere in grado di analizzare e selezionare gli impulsi esterni e, soprattutto, porre un proprio punto di vista originale: quando la mente sarà libera di giudicare, anche tu sarai veramente libero.
Marco Zulian superzuf@gmail.com - novembre 2005
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