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La senescenza e la Morte

di Domenico Caruso - Giugno 2024

 

La terza età dell’uomo è determinata dagli eventi e dal comportamento che sono successi in vita. Se da un lato l’anziano è considerato fonte di saggezza, dall’altro viene emarginato per la sua progressiva debolezza fisica e mentale.
Per lo scrittore statunitense Ernest Hemingway (1899/1961): «No. È il grande inganno, la saggezza dei vecchi. Non diventano saggi. Diventano attenti».
Nel “Re Lear” del poeta William Shakespeare (1564/1616) la tragedia si gioca in gran parte sulla contrapposizione tra un personaggio anziano e una giovane che si rivela più assennata del padre.  Nel monologo di Enrico V il drammaturgo inglese sostiene: «Oggi è la festa di San Crispino e San Crispiano: chi sopravvive quest’oggi per tornare a casa sano e salvo, si leverà sulle punte solo a sentire nominare questo giorno, e fremerà al nome di San Crispiano. Chi vedrà questo giorno e arriverà alla vecchiaia, ogni anno, alla vigilia, festeggerà coi vicini, dicendo: “Domani è il giorno di San Crispino!”. Poi si rimboccherà la manica e mostrerà le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino. I vecchi, si sa, dimenticano; e lui dimenticherà tutto il resto, eppure ricorderà, con fierezza, le gesta di quel giorno».
“La vecchiaia è la più inattesa tra tutte le cose che possono capitare a un uomo”, afferma il filosofo russo Lev Tolstoj (1828/1910).
Ippocrate (460/377 a.C. circa), padre della medicina antica vissuto in Grecia, fu il primo a paragonare le tappe umane alle quattro stagioni, per cui la vecchiaia corrisponderebbe all’inverno.
A Roma sul finire del II secolo d.C. è nata la geriatria. Per il filosofo Galeno (129/216 d.C.), proveniente dall’Asia Minore, la vecchiaia rappresenta un processo di raffreddamento del corpo che, come le foglie, procede al disseccamento. Essa è un marasmo (marasmòs), uno svolgimento di corruzione del corpo umano.
Il commediografo latino Publio Terenzio Afro (190/159 a.C. circa) sostiene che il fatto di essere vecchi è già un segno di malattia: «Senectus ipsa est morbus».
Invece l’oratore e filosofo romano Marco Tullio Cicerone (106/43 a.C.), nella sua lunga orazione «De Senectute» elogia la vecchiaia che basa la propria stabilità su una giovinezza vissuta bene: «Sed in omni oratione mementote eam me senectutem laudare, quae fundamentis adulescentiae constituta sit». (“Ricordate che in tutti i discorsi io lodo la vecchiaia che basa la propria forza sulle fondamenta poste nella giovinezza”). Morire di vecchiaia per i barbari era disonorevole.
Nel mondo occidentale i bisogni primari erano soddisfatti nella famiglia, dove venivano trasmessi i valori base della convivenza sociale. Purtroppo la famiglia tradizionale è cambiata, non avendo lo stesso significato del passato.
Nel novecento quella patriarcale, con l’avvento delle nuove tecnologie, è stata compromessa dalle radici.
Gli anziani sono relegati ai margini, avendo ormai perso il ruolo di guida.
Con la rivoluzione industriale, essendo le capacità lavorative umane esaurite, si rischia di far morire di stenti.
Nella poesia, fortunatamente, la vecchiaia rimane ancora un fascino, come ricorda ne “La breve vita dei nostri antenati”, la polacca Wislawa Szymborska (1923/2012):

«Non arrivavano in molti fino a trent’anni.
La vecchiaia era un privilegio di alberi e pietre.
L’infanzia durava quanto quella dei cuccioli di lupo.
Bisognava sbrigarsi, fare in tempo a vivere
prima che tramontasse il sole,
prima che cadesse la neve».


Tra le varie versioni di temi che riguardano la terza età riporto la Favola LX “Il vecchio e la Morte” di Esopo (620 circa/564 a.C.), il cui “racconto dimostra che ogni uomo è attaccato alla vita, anche se è molto sventurato”.
Lo scrittore greco antico narra: «Una volta un vecchio avendo tagliato delle legna e trasportandole, percorreva molta strada. Ma per la stanchezza del viaggio avendo deposto il carico invocava la Morte. Ed essendo costei apparsa e chiedendo per quale motivo la invocava, disse: Affinché tu sollevassi il carico».
Nell’ “Ode alla vita” della giornalista brasiliana Martha Medeiros (n. 1961) si afferma:

 

«Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno
gli stessi percorsi,
chi non cambia marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce».


È nota la straordinaria funzione dei proverbi per la conoscenza della cultura popolare.
Sono trascorsi 65 anni dalla mia pubblicazione di proverbi sul periodico “Folklore della Calabria” - (Anno IV n.2/3 Aprile/Settembre 1959 - pp.89/119) diretto dal prof. A. Basile di Palmi (RC) senza interrompere lo studio delle nostre tradizioni.
Gli avi sostenevano: “Morti e patruni non ti domandari quandu vèninu”. (Non ti chiedere mai l’arrivo della morte e del padrone). “Sulu a’ morti non c’è riparu”.  “Belli e brutti ’a terra si ’nghjutti”. (Alla morte non c’è riparo e la stessa non fa differenza tra belli e brutti).
É famoso il canto popolare meridionale “Il Cavaliere della Morte”, la cui versione di S. Martino (RC) ho pubblicata su “Calabria Letteraria” - (Anno XXXII - n. 10/12 - Ottobre/Dicembre 1984). Il dialogo si svolge sotto forma di “contrasto”.
Una vecchia mendicante si presenta sotto il palazzo del Cavaliere per intrattenersi con lui, ma il borioso signore ordina ai servitori di farla scacciare dai suoi cani feroci: “Chiamatemi ’ssi paggi a servituri / a ’sta bon vecchia allissati (aizzate) li cani”. All’indomani, quindi, il Cavaliere tutto pimpante si reca dagli amici per giocare. All’ora del pranzo, nell’uscire incontra la solita vecchia con una spada in mano.
Nello scontro verbale verificatosi l’intrusa rivela di essere la Morte crudele.
A tal punto il Cavaliere chiede la grazia di poter vivere ancora un po’, in cambio dei suoi beni che vengono rifiutati.
Il malcapitato ritiene di potersi sottrarre all’imminente fine rinchiudendosi in una torretta armato di fucile.
Ma alla Morte nulla è impossibile: “Jeu trasu di li ’ngagghj (fessure) di la porta / e mi ’ndi nèsciu (me ne esco) di li ceramidi” (dalle tegole del tetto).
Così il Cavaliere è colpito da un morbo mortale ed i tre medici intervenuti gli potranno suggerire soltanto la confessione dei peccati.
Per un buon cristiano sarà l’occasione di rinnovare l’anima ed aprirsi alla grazia divina.


Domenico Caruso

S. Martino di Taurianova (R.C.)

 

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