Lettere Online Indice
- Raccolta di lettere inviate dai visitatori
Una favola moderna
Sulla Scienza e sull’uomo
di Antonio Principe
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Alla ricerca della pozione magica (un breve cenno)
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Conoscenza come utilità
5. Alla ricerca della pozione magica (un breve cenno)
In precedenza ho detto esplicitamente di voler evitare di parlare, in questa lettera, dell’ammonimento di Gandhi [7] alla conoscenza ed alla crescita individuale, ma qui sarà il caso farvi un breve cenno, poiché questa favola moderna è in realtà la rappresentazione tragica di una ancestrale: è l’uomo che è dimentico di sé. Considero perciò chiaro che gli attuali trend d’accumulazione del profitto e delle conoscenze, esclusivamente come «cose utili» e remunerative, non li abbia imposti all’uomo un demone esterno sul quale comodamente scaricare tutti i problemi, ma penso non siano nient’altro che espressione dei nostri meccanismi interiori, mentali ed emotivi, poiché tale affannosa ricerca dell’«utilità», di uno scopo tangibile e redditizio sempre ed in ogni luogo che sia il discrimine per separare ciò che è vero da ciò che non lo è, è ben presente pure nell’ambito di certa ricerca spirituale, pur se i «guru» si impegnino a far sì che «premio» e cammino siano scissi. Bene, come è complesso ed arduo mostrarlo per quanto riguarda il cammino interiore, così è difficile evidenziarlo in questo preciso argomento che sto discutendo con voi.
Vediamo cosa diceva U.G. Krishnamurti, a proposito (da “Il Coraggio di Essere Se Stessi” [8]):
D: Così dici che l'uomo dovrebbe agire solo quando è libero dalla struttura sociale. Tu sei libero?
U.G.: L'uomo non è capace di agire perché sta a pensare tutto il tempo in termini di libertà d'azione. "Come posso essere libero di agire?" Questo è tutto ciò che vi interessa, la libertà. Ma in voi non sta agendo quella libertà. La richiesta per la libertà d'azione, previene l'azione stessa, la quale nella sua natura non è ne sociale, ne anti- sociale.
D: Quindi uno è libero se si accetta così com'è nella situazione?
U.G.: Questo è tutto. A quel punto non siete più in conflitto con la società. Non servirete più alla società . D'altro canto, se voi diventate una minaccia per la società, la società vi liquiderà. Il problema per voi è volere due cose nello stesso tempo. Voi volete cambiare. E quella volontà di cambiamento è una richiesta della società, così che voi diventiate parte di essa e con ciò contribuiate al mantenimento e alla continuità della struttura sociale. La seconda cosa è, che voi temete i cambiamenti. Questo è il conflitto. Quando la richiesta di cambiamento in voi cessa, allora anche l'interesse di cambiare il mondo attorno a voi finisce, ipso facto. Entrambe sono finite. Altrimenti le vostre azioni saranno un pericolo per la società. La società vi eliminerà di sicuro. Essere pronti ad essere liquidati dalla struttura sociale, questo è il coraggio. Non morire nel campo di battaglia, combattere per le vostre bandiere. Cosa simboleggiano le bandiere? Voi sventolate le vostre bandiere qui, gli altri sventolano le loro, vi mettete assieme e parlate di pace. Quanto è assurda l'intera situazione. E andate avanti a parlare di pace. Voi dovete fedeltà alla vostra bandiera, e gli altri alla loro, e nello stesso tempo parlate di pace nel mondo. Come ci può essere pace al mondo se ognuno difende una bandiera diversa? Chi ha le armi migliori avrà maggiori possibilità. Con le mie bandiere qui, le vostre là -- marciamo per la pace. Oppure create un'altra bandiera con il simbolo del gruppo pacifista.
6. Conoscenza come utilità
Il mito della necessaria applicabilità d’ogni scoperta, guidata dal principio pragmatico dell’«utilità» e del progresso economico (in poche parole, va studiato e conosciuto solo ciò che si ipotizza e risulta utile e vantaggioso per i profitti), è ormai talmente intrinseco nell’educazione e dunque nel pensiero d’ogni uomo, che per quanto possano giungere delle critiche, sarà quanto mai assurdo anche solo fermarsi un attimo e domandarsi con precauzione sull’opportunità di una certa applicazione, sui suoi benefici a breve ed a lungo termine; non si riesce neanche a comprendere questa «precauzione» veramente ed io sono sicuro che alcuni a questo punto si staranno domandando se io non sia, mascherato da belle parole, uno di quegli ecologisti che credono che l’umanità debba ritornare al suo stato primitivo: bollarmi così vi consentirebbe di smettere di leggere e di considerare quanto letto come le fandonie di uno un po’ fuori di testa. Ebbene, questo è quello che ci hanno insegnato, questo è quello che vogliono farci credere, non è un «nostro» pensiero, pensiamoci su, anche se cestinerete questa lettera nel vostro personale dimenticatoio. Da qualche porticina, la vostra coscienza vi dice il contrario, vi dice che se anche sembro spostato e logorroico, un piccolo fondo di realtà in quello che dico vi debba essere, poiché la vostra coscienza sono sicuro che sta urlando da tempo, anche se non la si riesce sempre a sentire, ad ascoltare; è così, lo sento.
Ci hanno indottrinato e fatto credere che ciò che è all’avanguardia, ciò che è moderno, tecnologico sia necessario all’umanità, poiché sarebbe l’uomo ad evolvere e dunque ciò che è moderno corrisponderebbe con la massima espressione della razionalità; certo tutto ciò è vero, ma solo nella misura in cui una scoperta implica la sua diffusa ed immediata applicazione ed essa a sua volta implica il non poter più fare a meno dell’applicazione tecnologica stessa... solo in questo senso, certo, ciò che è moderno è necessario all’uomo! Ma non lo definirei un rapporto di libertà! ... e voi?
Da questa aberrazione sono nate, per esempio nell’ingegneria, tutta una serie di astute operazioni per farci credere che il nuovo, il moderno sia necessario ed anzi espressione del continuo ed incessante progresso razionale dell’uomo: nella progettazione ingegneristica, ormai da tempo e ne parlo poiché conosco il parere di tecnici ed ingegneri, i “tempi di vita” ovvero la durata degli apparecchi elettronici, elettrodomestici, si sono ridotti, anche notevolmente in certi casi... “ah, non esistono più le cose di una volta!”... beh, una volta tanto, un detto popolare coglie perfettamente nel segno. Siamo giunti ad un punto in cui riparare un certo apparecchio costa di più che produrlo nuovo e dunque in fase di progettazione si sono dati la pena di ridurre la durata degli elettrodomestici! Senza contare poi il bisogno di utilizzare la sovra-produttività, ovvero si creano «bisogni» e con loro dunque la necessità d’esaudirli, alimentando così continuamente la ricerca del nuovo e del moderno, in un circuito che di «razionale» ha ben poco, a mio parere. Ma le favole sono così e se ci fosse troppa razionalità perderebbero sicuramente d’interesse.
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NOTE
[7] M. K. Gandhi - “Teoria e pratica della non-violenza” a cura di Giuliano Pontara – Einaudi, libro da consigliare per uno studio analitico e completo del pensiero filosofico e politico del Mahatma.
[8] U. G. Krishnamurti – “Il coraggio di essere se stessi” (parte terza) da: http://www.well.com/~jct/ITALIAN/corraggio/Itpart3.htm, da leggersi cum grano salis, come tutto, del resto.
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