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L’Apocalisse grigia
di Davide Riccio
Contributo di Davide Riccio sulla povertà grigia e il cancro della cultura terapeutica come forma di controllo sociale secondo Frank Furedi.
Lettera a un’amica a cui le han chiesto il futuro ruolo dell’educatore nei disagi della povertà grigia.
Cara amica,
per intanto…
Premessa: da sempre, banalmente detto, i pochi che hanno voluto esercitare il potere sui molti, han cercato soluzioni per il controllo dei conflitti sociali. La forza di quei più, infatti, sarebbe stata schiacciante, deleteria.
Per intanto vorrei dirti: per sua consapevolezza sociale e politica (anche se si può dire riuscita ormai anche l’opera di spoliticizzazione totale dell’educatore nella società), mi auspico rimanga lungi l’educatore da questo campo: quello che mira e partecipa alla dilagante cultura terapeutica che non aiuta a superare i problemi, ma solo a farne accettare l’inevitabile esistenza in un eterno stato di convalescenza individualistica. Esso rientrerebbe perfettamente nelle tecniche di una società che è diventata o è stata fatta diventare più insicura, più ansiosa, più impaurita, del cittadino che diventa sempre meno cittadino e ogni giorno di più un paziente.
Io non voglio che tu creda a quel che dico io, ma anzitutto agli esimi sociologi.
Prendiamo Frank Furedi, ad esempio, sociologo e professore alla University of Kent (Il nuovo conformismo, Feltrinelli). Provo a riassumertelo. Il conformismo è tanto un umano fenomeno spontaneo (essere accettati, non essere esclusi), quanto da sempre una “strategia di controllo sociale” agita dall’alto (chiamiamolo genericamente così). Oggi il conformismo, diversamente che dal passato, è agito da e attraverso una molteplicità di agenti e tramiti “esterni” (ma anche da e attraverso più insidiosi agenti e mezzi “interni”, di cui uno in particolare poi vedremo): famiglia, gruppo, comunità, società, religioni, politica e ideologie in genere, economia e marketing, cultura dominante (o non-cultura), televisione e gli altri mass-media, moda, pubblicità, spettacolo e spettacolarizzazione, l’uso e il consumo etc. etc.
Dirai, che c’entra con la povertà grigia e l’educatore con essa? Eh, ma ci arriviamo, piano piano.
Furedi definisce molto bene il conformismo (oggi più pervasivo, camuffato e strisciante che mai) come una forma di acquiescenza passiva e di sottomissione a un ordine univoco, quindi una forma di etero-nomia più comoda e accogliente contro la fatica e il pericolo emarginante dell’auto-nomia. E già questo, se vuoi, ci dice che, se da una parte l’educatore è stato ad oggi un operatore tra i cui massimi compiti aveva quello di potenziare le autonomie (la capacità di auto-determinarsi) dei soggetti variamente più deboli e svantaggiati, dall’altra non gli sarebbe dignitoso un volgersi ora a lavorare al rinforzo dell’etero-nomia.
Ma il punto centrale è ancora di là da venire.
Oggi viviamo una società notoriamente più instabile, precaria, insicura, parcellizzata, più flessibile e più mobile, privata vieppiù del lavoro garantito, ancora inconsapevole tra i giovani di ciò che può attender loro nel mettersi perennemente in formazione e prova per pochi soldi o gratis, e che si preparano soltanto ad essere anziani senza denaro e assistenza per l’assenza di contratti che comprendano, tra l’altro, la previdenza sociale. Si pensa che questa “flessibilità” serva per facilitare l'ingresso al mondo del lavoro stabile, ma in realtà rimane sempre più spesso precario o “a progetto” e in altre varie forme di indeterminatezza: ai datori di lavoro conviene far lavorare le persone per il tempo in cui c'è bisogno di produzione o più produzione.
Qui subentra quindi il crescente cancro della povertà grigia dei cosiddetti “penultimi” del post-fordismo e dei fallimenti di tanto decantata terziarizzazione (vedi Torino, che disastro in tal senso con il dopo-Fiat!). I penultimi, dunque, coloro che ancora poveri di povertà nera non sono, ma potrebbero facilmente finirvi e, comunque, saranno sempre più costretti a vivere una vita difficile di rinunce e sacrifici. E’ evidente che questo modo di lavorare e non lavorare, di non aver più garantiti elementari diritti (dalla mutua alla futura pensione, senza considerare i periodi di disoccupazione tra una assunzione e l’altra, i salari insufficienti, inadeguati… con gente dai 40 anni insù che faticherà a ricollocarsi sul mercato, per quanta esperienza acquisita (da pagare più cara che a persone più giovani e alle prime esperienze o che, anzi, dovranno perciò magari pure sottoporsi a una specifica formazione preliminare e a proprio pagamento)… porterà a una prossima più ampia povertà generalizzata. Se poi vogliamo aggiungervi inflazione e caroeuro… Ma poi si perde il nocciolo della questione). E che non ce la menino con le super-competenze che tutti acquisiranno in una vita lavorativa e perennemente formativa così varia da sembrare pure divertente, sicché si troverà sempre qualcosa (troppe variabili nella vita! Né si può vagabondare in eterno per l’Italia, l’Europa e il mondo pur di avere sempre una nuova occasione di procedere col lavoro… Tra l’altro, per acquistare una casa, basterà mostrare alla banca di turno che si è super-specializzati, che sicuramente ci prenderanno poi da un’altra parte, ma sotto contratti a tempo indeterminato, per chiedere e ottenere un mutuo?).
Allora, è evidente che il fenomeno della povertà grigia emerge e si diffonde e, questo, tra l’altro non potrà che portare sempre maggiori problemi psicologici, tra cui quelli di autostima, di non progettualità (quanto meno a medio o a lungo termine), di ansia, di sottomissione, di solitudine, di impotenza e avanti… E di rabbia? (Per quella si prepara la soluzione).
Furedi parla della nostra cultura come di una cultura terapeutica (infatti, il titolo originale è proprio: Therepeutic culture. Cultivating vulnerability in an uncertain age). Una cultura sempre e sempre più terapeutica o psicoterapeutica, soggetta a una psicologia di aiuto in una società siffatta di ansie, impotenza, insicurezza, non progettualità…
Ed ecco, mi suona un secondo campanello d’allarme (deformazione professionale): possono l’educatore o l’educatrice sostenere un corso di non più possibile progettualità delle persone, loro, che da sempre hanno fondato il proprio intervento sulla progettualità?
Ma torniamo a Furedi: già negli Usa e in Gran Bretagna (e noi dietro da sempre) la pratica terapeutica si è messa in moto per riparare i danni di questa mutante società (oppure per rafforzarne l’azione di chi la vuole mutare e mutata in tal senso), cambiando anche il modo stesso in cui gli individui si percepiscono in rapporto a tutto ciò. Una pratica che (oltre a creare ulteriore dipendenza, per esempio dal terapeuta e da altri “esperti”, tra cui si schiererebbe anche l’educatore), diviene essa stessa manipolazione ancora più profonda perché emotiva, uniformando quindi più a fondo alla non-diversità del sentirsi e viversi semmai impotenti e a disagio in tutto ciò, inducendo ottimismo o “catarsi” da quattro soldi, assecondando una certa economia con le sue “scientifiche” tecniche sottili (la sociologia è scientifica, e non sempre ci se ne avvale per nobili scopi), già in atto da qualche decennio (sicuramente perché mai più si ripeta la forza del risveglio collettivo delle coscienze dei cittadini e e della loro pressione politica nell’accezione più ampia di polites, così che il cerchio si richiude). Anche i reality show e i Fatti Vostri televisivi, tra le altre porcherie, sono parte di quest’opera terapeutica di conformismo a pseudo-valori e a fasulle problematiche e modalità generali di definizione/selezione del tipo di e soluzione alla problematicità (ovvero, non conoscere il vero problema e, comunque, non risolvere, ma accettare… guarda, perciò, anche al successo delle religioni più esotiche e strampalate, basate tutte sull’ottimismo è il profumo della vita, sul successo e la felicità individuali in quanto frutto di un proprio rielaborato e positivo “candidiano” modo di vivere la vita, per quanto fantozziana o peggio possa continuare ad esserci)… etc. Non bisogna cambiare le cose, ma si deve cambiare noi stessi in rapporto alle cose (recita oggi il Verbo). Come dire: sei nato in una favela? Rimanici, sarai felice comunque, se ti poni positivamente rispetto a quel che comunque hai dalla vita, sempre unica e meravigliosa. E così c’è un problema in meno: nessuno deve occuparsi più del problema delle favelas, se dentro le favelas abbiamo convinto tutti che si può essere positivi e felici anche così (bada, è un paragone estremo, ma non così lontano).
Dalla Generazione L (Lotta) a quella X o Invisibile di oggi si è creata (è stata creata?) una generazione indiscutibilmente individualista. Quindi?
La società individualizzata di oggi non ha più scopo né progetto in senso collettivo. Anche le emozioni, i disagi, le angosce e quant’altro devono rimanere un fatto proprio, che al limite il terapeuta aiuterà a indirizzare verso una qualche positività socialmente accettabile (Furedi ricorda una forma di gestione sociale simile a quella descritta da Sorvegliare e punire di Michel Foucault, e potrebbe essere qui tirata in ballo anche gran parte della fantapolitica da Orwell a Ray Bradbury), ma in un modo ancora più intimo e invasivo di quanto mai raggiunto dalle religioni, dalle ideologie, dai movimenti di massa. La psicoterapia!
E perché bisogna temere tutto questo?
Bisogna temerlo perché ciò potrebbe rivelarsi niente più che una forma di controllo assoluto e senza più ritorno sulle – alle tensioni sociali perché individualizzate e, quindi, meno o nient’affatto pericolose. Avremo una società così, dove i problemi individualizzati non potranno più essere risolti dall’unione attiva e fattiva, consapevole e volitiva o dall’insorgere (pacifico o meno, ma conflittuale e politico) dei cittadini nella loro potenza popolare. Ciascuno per sé, sarà aiutato ad accettare i problemi… e, soprattutto, l’opera di controllo dall’alto nelle sue molteplici forme.
Un educatore, può volere questo? Può, dunque, assecondare una simile condanna a morte del potere dei cittadini e auspicare che il basso torni ad essere più basso, l’alto più alto? Ma, finora, non era dalla parte dei più sfortunati?
Davide Riccio, giugno 2005
Il libro di Frank Furedi citato da Davide Riccio:
Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana,
Feltrinelli
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
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