La Riflessione Indice
Quale amore? Quale felicità?
di Domenico Pimpinella – luglio 2007
- Capitolo 6 - Cosa possiamo fare individualmente e politicamente
Paragrafo 9 - Conclusioni
Arrivati, infine, sulla dirittura d’arrivo non si può far altro che chiedersi se c’è qualcos’altro da dire, qualche altro appello da fare, prima di congedarci.
Qualcosina c’è! Auspicare che la politica diventi una scienza sperimentale, in modo da essere affidata, una volta per tutte, a mani esperte e strappata da quelle poco rassicuranti di improvvisatori e avventurieri. Naturalmente non tutti i politici lo sono ed è per questo che si possono ancora nutrire delle speranze, sia pure piccole. Ci sono in tutti gli schieramenti politici, persone serie, responsabili e appassionate che dovrebbero abbandonare le attuali trincee scavate da esigenze oramai non più attuali per operare alla formazione di un movimento trasversale che si faccia carico di un’individualità ambivalente: della possibilità seria di guardare all’individuo autopoietico di terzo ordine, senza per questo dimenticarsi di curare quel minimo che occorre per preservare in esso quello di secondo ordine.
Dopo secoli di storia dovremmo avere oramai chiaro che la Politica non ha fatto altro, soprattutto negli ultimi tempi, che recepire l’uno o l’altro di questi aspetti particolari, isolandoli e, quindi, svolgendoli nella loro profonda incompletezza.
Dal libro La cultura di Destra di M. Veneziani abbiamo estrapolato alcune frasi che ci possono aiutare ad ampliare questa riflessione.
Il nostro autore, infatti, rileva che “la cultura di sinistra nasce a partire da un atto di ribellione nei confronti del mondo così com’è”, mentre “la cultura di destra sorge a partire da un atto di fedeltà nei confronti del mondo, della tradizione, della natura”.
Non vi è dubbio che Veneziani coglie in pieno il centro del problema. La destra infatti, ha sempre individuato nell’individuo autopoietico di secondo ordine l’obiettivo primario su cui puntare. Per questo la Destra accetta il mondo così com’è, accetta l’egoismo e lo pone come base indiscutibile, come punto di partenza per eventuali conquiste sociali, che rimangono comunque delle esigenze secondarie. La sinistra, invece, non ha mai accettato il mondo così com’è, proprio perché è una società compiuta, matura, l’obiettivo a cui tutti dovremmo aspirare. Ovviamente, tutto dipende da che tipo di società si costruisce. Se si tratta, come si è già avuto modo di spiegare, di una società dove alcuni individui o un determinato ceto sociale se la modellano intorno ai loro specifici interessi, andando così a costruire di fatto una “demagogia” piuttosto che una democrazia, è evidente che si commette un errore inammissibile einsostenibile.
Se invece la società è concepita come un sistema di ordine superiore a cui tutti gli individui partecipano proprio per riuscire a ridurre ai minimi termini la propria soggettività e trovare, quindi, la migliore stabilizzazione attuabile e concepibile, è tutta un’altra musica.
Si potrà sicuramente, sulla base delle attuali condizioni individuali improntate ad una eccessiva chiusura, sostenere che è molto difficile, difficilissimo, mettere in opera un tale progetto, ma non si potrà in alcun modo sostenere il teorema che è impossibile da realizzare.
Al contrario, poiché la natura ci vuole ambivalenti, la società diventa un’esigenza che non può venire dopo l’altra esigenza di rimanere dei singoli individui. Vale a dire che le esigenze non possono essere egoistiche ma sono, più semplicemente, soggettive.
Capire cosa fare per costruire la società migliore che si possa desiderare, dipende propedeuticamente dalla comprensione di come deve essere strutturato in modo ottimale il singolo essere vivente. Di come cioè egli può rimanere in equilibrio tra due distinte esigenze che devono svilupparsi insieme dinamicamente se si vuole realizzare una possibilità così grandiosa come una nuova struttura unitaria fatta di individui pluricellulari.
E’ solo arbitrariamente che Marcello Veneziani può scrivere che “le culture di sinistra partono da un sogno e intendono viverlo nella dimensione della storia.” Pensare di dedicare la propria esistenza, unitamente all’esistenza degli altri, per realizzare qualcosa che nessun teorema ha definitivamente liquidato, ma che, anzi, sembrerebbe essere una prerogativa legittima della nostra intima natura, è tutt’altro che un sogno: è una necessità! Una necessità che, essendo stata mal realizzata dai vari Socialismi e Comunismi, ha finito per disorientare ancora di più le coscienze così tanto provate da secoli e secoli di “trinceramento” su posizioni biologiche acquisite.
Realizzare un nuovo individuo unitario come la società autentica non è un’impresa che si può compiere in poco tempo: richiede una prassi sperimentali di generazioni, che può nascondere insidie mortali. Ma come ogni necessità, la società è un’Araba Fenice destinata a risorgere continuamente dalle proprie ceneri finché alla fine qualcuno, uomo o altro essere vivente, non finirà per imbroccare la strada giusta.
Una strada che non richiede di cambiare la natura umana, ma di trasformarla secondo le necessità di un certo sviluppo.
Finché gli uomini non comprenderanno questa necessità, facendo di tutto per rimanere ancorati eternamente ad una loro presunta natura egoistica, ci sarà sempre qualcuno che sarà convinto che tante cose meravigliose da realizzare “con se stessi” e non “per se stessi” è un’utopia. E’ per questo che Marcello Veneziani può scrivere che l’utopia regina della sinistra è cambiare la natura umana. La natura umana non deve essere cambiata ma anzi deve poter rimanere ambivalente come è sempre stata; dobbiamo però cambiarne i rapporti interni per renderla adeguata, funzionale, alla costruzione di una società vera che ci restituirebbe le condizioni necessarie per amare ed essere felici.
Scopo della Politica, dunque, dovrebbe essere prima di tutto quello di facilitare all’individuo la realizzazione di un autentico aspetto di sé, per poi provvedere a tutto il resto.
La tecnica per individuare politiche corrette dovrebbe essere quella di lavorare per ridurre al minimo la quantità di Leggi esistenti. La Legge dovrebbe consistere soprattutto in una cultura appropriata capace di scrivere il suo nuovo DNA mirante ad un’individualità perfetta, in ogni mente umana, evitando accuratamente di progettare astrattamente la società o peggio progettarla perché possa essere funzionale a questo o quell’individuo a questo o a quel gruppo.
Se ci sono così tante leggi è perché la cultura dell’individualismo ha attecchito nella mente razionale oltre ogni ragionevole limite, per cui dobbiamo incessantemente definire le cose negli aspetti più minuziosi e regolamentare artificialmente ogni settore della nostra vita pubblica. Un segno evidente che nella nostra mente è ben vivo solo un aspetto abnormemente soggettivo, mentre l’altro è affidato a codici e codicilli vari.
Oggi, in ogni area del mondo, ritroviamo una Politica appiattita su un’economia di mercato che esalta proprio le speranze di vedere crescere ulteriormente la propria soggettività. Tra i compiti della Politica non ritroviamo quasi da nessuna parte del mondo il perfezionamento della morale, l’ampliamento dei sentimenti, la realizzazione del benessere globale: del fisico e dello spirito intesi come un tutt’uno.
Compiti che rivelerebbero la partecipazione della razionalità alla costruzione di una società che, invece, è ancora tutta affidata alla sola emotività, ridotta a schiava di un’interpretazione razionale errata.
Così sono rimasti tristemente in piedi solo i problemi dell’efficienza, della produttività, dell’aumento e della ridistribuzione delle risorse. Problemi che ci stanno sempre più facendo assomigliare a quelle macchine che noi stessi abbiamo concepito e realizzato. Non so quale risultato può derivare da un appello alla politica perché molte cose vengano riviste sotto una luce completamente nuova, per poter andare incontro alle esigenze della vita, dell’Uomo e non di questo o quello. Sperare non è certamente un crimine e allora coviamo pure quest’altra speranza anche se ha oggettivamente la faccia sconsolata di un’illusione.
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