ad maiora
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Vita di trincea
TRINCEA
E’ mezzanotte. Un grido lacerante mi sveglia dal sonno. Era un incubo: mi rimbomba ancora nel cervello il grido di mia madre chinata innanzi al mio cadavere. Ormai sarà la decima volta che lo sogno, ma penso che non ci farò mai l’abitudine. Ieri l’ho raccontato a Geremia, un mio compagno di trincea, anche lui 277° battaglione. In questa orribile guerra è diventato la mia unica luce, il mio unico amico: ormai sia io che lui potremmo scriverci reciprocamente la storia della nostra vita. Be’, tornando al sogno lui mi ha detto che quando era bambino ne faceva sempre uno, quello cadere in un precipizio, e suo padre gli raccontava che gli sembrava di cadere, ma era volare in Cielo. Per me vuol dire morire ma Geremia insiste e afferma che suo padre sapeva quello che diceva. Ma… poi ha continuato e ha detto “Il mio sogno era quello che accadeva nell’altra dimensione e il tuo quello che continua ad accadere qui dopo la morte”… sarà?! Ma io dico che morire o volare, come insiste Geremia, è sempre meglio della vita che facciamo qui, a marcire, imputridirci e penare in questi laghi di fango putridi, senza cibo, senza acqua, senza…senza mio fratello, la mia sorellina che domani compie 15 anni…e l’ho vista che era ancora una bambina…mia madre, che piangeva… Mi rivedo ancora là, fresco di laurea, davanti a casa che le dico “Finisce presto Mà, finisce presto”, e poi Sofia…meglio non pensarci, e…papà. Papà…era là scuro: avevo appena litigato con lui. La sera prima aveva detto “Ogni guerra è un brutto affare” e poi non ho più ascoltato. Aveva cercato di farmi ragionare: non avevo compreso. Il mattino seguente mi aveva abbracciato lo stesso, aveva pianto…ci eravamo lasciati, forse per sempre: qui, se non mi prende un cecchino, muoio di tifo.
L’unico conforto è Geremia, senza di lui ora avrei perso la ragione, sarei diventato pazzo in mezzo a questa morte. Ma lui è diverso, è buono. Stava per prendere i voti: era quasi frate, non per codardia, non per paura della guerra, poiché sarebbe venuto comunque, come cappellano, s‘intende. Adesso deve uccidere: dev’essere un dramma per lui: lo è per me. Non dice mai nulla, sa che lo capisco; soffre. Lui afferma che queste sofferenze della trincea non le vuole Dio: è l’uomo che scegliendo la via del male,se le procura. Penso che abbia ragione, Geremia. Mi volto verso di lui. E’ sveglio e fissa le stelle… chissà cosa ci trova… io speranza, poiché penso adesso a casa stanno guardando proprio quella stella e la stella dice loro che li sto pensando. E’ un bel pensiero; certe volte sono lì, di notte e mi dico “Adesso guardo quella stella là e faccio quel pensiero lì”; non è facile, tuttavia mi sforzo sempre, perché con l’immaginazione, ogni tanto riesco a sorridere e sono istanti preziosi: come acqua di amore e bontà in un deserto di odio e morte. Guardo in cielo e mi dico “Ci sarà un futuro?”. Un freddo cane che di prende da dentro, accoltellandomi, mi assale. Si scorgono i bagliori dell’artiglieri. Dei colpi. Forza soldatino, si combatte.
Sono passati sette giorni da quel 29 ottobre e non ho pensato più nulla. Dopo tanti patimenti fisici, morali Geremia ed io siamo salvi. Non riuscivo a pensarci, non riuscivo più a credere al concetto di “Salvezza” e a quello di “Pace. Geremia è stato colpito di striscio; non è grave.
Fra un mese saremo a casa.
Qualcuno ha suggerimenti o modifiche da consigliare?
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