Revisionismo
Vittorio Vidotto, nella sua "Guida allo studio della storia contemporanea", dopo aver messo in mostra come, nella storiografia italiana del secondo dopoguerra, siano sorte come funghi le varie storiografie di appartenenza (democristiana, comnunista, socialista ecc.), afferma:
"A queste peculiarità del clima culturale italiano ne va aggiunta un'altra: la diffusa sistematica intolleranza nei confronti di ogni revisione interpretativa, trattata come un attacco politico, deprecabile come un tradimento. Così la propensione revisionistica, invece di essere una delle qualità più alte del lavoro dello storico, votato a ricostruire e a reinterpretare il passato secondo nuovi schemi e nuovi documenti, è stata e in parte continua ad essere trasformata in una imputazione da portare in giudizio di fronte ai custodi delle vulgate storiografiche."
Contestualizzare la faccenda all'interno delle vicende della storiografia italiana significa rendersi conto di come un atteggiamento revisionista possa essere messo in luce nel momento in cui ci si appresta a rivedere le tesi del proprio ambito di appartenenza storiografica (un marxista che, ad esempio, non è poi così convinto che il Risorgimento italiano sia effettivamente una "rivoluzione mancata") oppure laddove si voglia dare una nuova lettura di una vicenda che i più considerano ormai archiviata (come, ad esempio, il caso Galileo). Non di rado l'atteggiamento nei confronti del revisionismo è astioso (si pesi alla vicenda-De Felice). Perché, secondo voi? Chiudersi nelle proprie certezze è facile e comodo, mentre difficile è essere sempre pronti a rivederle?
Perché?
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