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Verso la riscoperta e l' inte(g)razione.. [2]
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Aristotele sa bene, però, che la donna è comunque necessaria alla procreazione come ricettacolo del seme maschile e quindi non se ne può fare a meno. Tuttavia pur dovendo accettare questo fatto increscioso, riesce a salvare la superiorità maschile affermando che la donna è “un maschio menomato”, il risultato di una debolezza maschile, come se lo sperma non fosse abbastanza forte da “formare” i mestrui, che sono la materia messa a disposizione dalla donna. Alberto Magno e Tommaso d’Aquino continueranno a pensarla in questi termini. Nella Summa contra gentiles, San Tommaso sostiene che l’uomo ha “una ragione più perfetta” e “una virtù più solida”. Da Aristotele, passando per la cultura giudaico-cristiana (anche se il messaggio di Gesù era assolutamente rivoluzionario per quanto riguardava la condizione delle donne), fino ai Padri della Chiesa, alla scolastica Medievale, e all’Illuminismo, la donna viene sempre esclusa dal mondo luminoso della coscienza e relegata al mondo degli impulsi oscuri e pre-razionali della natura e dell’incoscio. La scienza occidentale si sviluppa come prolungamento del mondo clericale, che aveva associato la mascolinità con la separazione e la trascendenza e che disprezzava la “terrestre” femminilità come fonte di disordine e di corruzione nel mondo, come ha dimostrato David F. Noble nel bel libro Un Mondo senza Donne, Bollati Boringhieri 1994). In questa filiazione va ricercata l’origine di quel mondo senza donne che è durato secoli, una società di uomini con un sapere che rappresentava solo metà dell’umanità.
Ritorniamo adesso alla psicologia maschile. L’evoluzione dell’identità maschile, come sostiene anche Elisabeth Badinter nel suo XY, De l’Identité Masculine (Odile Jacob, 1992) avviene attraverso la differenziazione dall’universo femminile materno, che è il primo, fondamentale e naturale milieu del bambino. Il bambino per assumere la propria identità sessuale deve disidentificarsi dalla madre. Quanto più questo processo viene reso difficile da diversi fattori patologici che non analizzeremo qui, tanto più può essere traumatico. Ma immaginiamo che non intervengano patologie, allora due osservazioni si impongono: 1) non necessariamente questa differenziazione dal femminile per affermare la propria mascolinità deve trasformarsi in dissociazione, con seguito di ostilità, svilimento, disprezzo, repressione di tutto ciò che è associato al femminile, come di fatto storicamente è avvenuto; 2) non si capisce perché questo che è comunque il percorso maschile, anche in una eventuale forma non patologica, sia diventato il modello dell’ “evoluzione della coscienza” in generale. Infatti, anche l’Io della bambina, pur essendo dello stesso sesso, si differenzia dall’ambiente materno, anche l’Io della bambina può incontrare patologie in questo processo, ma non se ne sa molto perché questo tema è stato studiato poco o niente. Quando, poi, degli studi sono stati intrapresi, spesso lo si è fatto alla luce dei pregiudizi maschili. Solo negli ultimi trenta, quarant’anni si è cominciato a colmare questo abisso di ignoranza già ammessa da Freud con affermazioni del tipo: “Della vita sessuale della bambina sappiamo meno che non di quella dei maschietti” o anche: “Non dobbiamo del resto vergognarci di ciò: anche la vita sessuale della donna adulta è ancora un ‘dark continent’ per la psicologia.” (Il problema dell’analisi condotta da non medici, Opere, Vol.10, 1926).
Il fatto è che, proprio perché il patriarcato ha escluso le donne dal mondo della coscienza e del logos (che poi era anche ragione e spirito), considerandola “natura” e “materia” irrazionale, il sapere, la conoscenza, la filosofia, la scienza sono sempre stati gestiti dagli uomini, in un circolo vizioso senza fine. Gli uomini parlavano dei loro processi, analizzavano se stessi, e identificavano solo se stessi con la Coscienza, con la Ragione ed erano i soli ad avere rapporti con lo Spirito. Ciò che trovavano in se stessi era universale, valeva dunque anche per le donne. Ora in quanto esseri umani, certamente uomini e donne hanno molto in comune in tutti i campi, (fisico, biologico, mentale, spirituale). Lo Spirito Assoluto, inoltre, trascende il corpo-mente e quindi le differenziazioni sessuali. Tuttavia, qui e ora, mentre siamo nello spazio-tempo e in cammino verso la trascendenza, dobbiamo prendere atto che ci sono peculiarità proprie a ciascun genere e inoltre, cosa che mi sembra fondamentale, che c’è stato un tale e prolungato condizionamento su come le donne “dovevano essere” secondo i pregiudizi maschili, che recuperare la verità su noi stesse, il “Chi sono Io?” femminile deve tenere conto delle distorsioni che sono divenute a volte una seconda natura. Forse potremmo dire con Mme d’Epinay, amica di Diderot: “Ci vorrebbero parecchie generazioni per tornare a essere quali la natura ci fece.”
La donna, in quanto soggetto, è stata esclusa anche dalla spiritualità. Questo è avvenuto progressivamente dopo il Neolitico, l’epoca delle Dee Madri, quando la donna ricopriva importanti ruoli religiosi e spirituali e con l’affermarsi del patriarcato. Lo Spirito diventa a un certo punto appannaggio dell’uomo, solo gli uomini possono avere un rapporto diretto con Dio e le donne di riflesso, attraverso gli uomini (ci sono state delle eccezioni, almeno parziali, come per esempio le prime assemblee cristiane dove le donne profetizzavano; alcune sette cristiane condannate come eretiche; varie forme di sciamanesimo; in Oriente le scuole mistiche che onoravano il principio spirituale femminile come il Tantrismo e il Taoismo, anche se poi, nei secoli, la discriminazione patriarcale delle donne ha comunque prevalso).
Insomma anche in questo ambito le donne non sono state protagoniste. Certamente non si tratta di tornare alla Dea Madre, come propongono certe femministe, o ai rituali magici delle streghe della Wicca Religion fondata da Phillis Curott che fa molte adepte tra le donne in carriera americane. Queste sono regressioni all’egocentrismo e al narcisismo prepersonale. Ma Dio Padre con la sua religione comunque mitica e tradizionalmente misogina non è più adeguata al nostro livello di coscienza razionale e post-razionale. Invece il bisogno di trascendenza e di spiritualità rimane, anche se le religioni tradizionali non possono soddisfarlo sempre o del tutto, e questo vale per donne e uomini senza distinzione. Solo le tradizioni non dualiste rispondono ai bisogni spirituali di chi vuole integrare oltre che spirito, materia, mente e corpo, anche maschile e femminile. Infatti, anche se lo Spirito è al di là di ogni dualità e di ogni forma e quindi anche del maschile e del femminile, al di là di Eros e Agapé e al di là della Via che Sale e della Via che Scende (ne è l’origine e la quiddità), il mondo manifesto in cui siamo incarnati come uomini o donne ci obbliga a un percorso, un cammino (il famoso paradosso: siamo già quello che diventeremo): questo cammino ha bisogno anche della voce femminile, del contributo femminile, delle esperienze femminili.
Una visione aggiornata della questione femminile in ambito spirituale viene presentata da Ken Wilber nel suo libro The Eye of the Spirit (Shambala 1997). Può essere così riassunta: la spiritualità maschile enfatizza l’azione, l’identità, l’autoaffermazione, l’Eros; la spiritualità femminile invece la relazione, la comunione, l’Agapé, un misticismo incarnato, immanente, discendente, centrato sul corpo. Ora, se è vero che la spiritualità maschile è stata caratterizzata sia in Oriente che in Occidente dall’ascetismo e dalla Via che sale, che rifiuta il corpo, il mondo, la materia, la donna, io credo che questo sia più che altro una conseguenza della (necessaria, come credono alcuni, patologica come penso io e altri studiosi, soprattutto donne) dissociazione dal femminile che a un certo punto della storia viene operata dall’Io maschile. Questo Io si identifica alla Coscienza, luminosa, apollinea, razionale e si sente minacciato dall’Altro da Sé femminile, la differenziazione diventa dissociazione. Femminile diventa sinonimo di irrazionalità emotiva e istintuale, tipica di donne, animali e bambini.
La spiritualità femminile, d’altra parte, non ha avuto altra scelta che uniformarsi all’ascetismo maschile, non poteva, infatti, avere forme di espressione autonome in un ambiente culturale e istituzionale da millenni formato e gestito dagli uomini. E’ quindi difficile dire esattamente come sarebbe una spiritualità femminile (e anche maschile) senza dissociazioni (Vedi i libri di Ida Magli su questo tema, in particolare Storia Laica delle Donne Religiose, Longanesi & C., 1995). Ma possiamo farcene un’idea, anche perché le donne, soprattutto negli ultimo trent’anni hanno cominciato a dare contributi importanti attraverso le loro esperienze e la loro riflessione.
[segue..]
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