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05-06-2006, 12.56.42 | #1 |
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In missione verso il pianeta rosso
GLI PSICOLOGI DI ESA E NASA TEMONO REAZIONI INCONTROLLABILI
PIANTERANNO la bandiera su Marte in nome del genere umano e quel momento sarà straordinario. Ma proprio in quel momento gli astronauti sentiranno il peso immenso della lontananza dalla Terra, dai loro simili e dalle loro famiglie e percepiranno l’angoscia del di essere quasi perduti nel Sistema Solare, di dover cominciare un’esplorazione rischiosa e di avere di fronte un lunghissimo viaggio di ritorno. Come dicono gli astronauti, «nello spazio nessuno può sentirti urlare». «E’ un aspetto sottovalutato dai non addetti ai lavori - spiega Gro Sandal, psicologa norvegese, studiosa di missioni spaziali -: è il tremendo impatto psicologico a cui saranno sottoposti gli astronauti destinati al primo viaggio sul Pianeta Rosso». Lo sanno bene l’ESA e la NASA, che stanno pianificando una missione umana su Marte entro il 2030. In tutto quasi tre anni, in cui l'equipaggio - cinque o sei astronauti - vivrà sempre sotto pressione, in uno spazio limitatissimo e in condizioni estreme, dove il minimo errore potrebbe essere fatale. Dalle simulazioni nelle camere iperbariche, dalle missioni in Antartide e dalle esperienze sulla Stazione Spaziale Internazionale, Sandal ipotizza che «nelle prime settimane molte energie saranno spese per adattarsi all'assenza di gravità: l‘euforia scomparirà e, poiché il sistema vestibolare cessa di funzionare correttamente, si potrebbero avere casi di SAS, la Sindrome da Adattamento allo Spazio, con nausea, disorientamento e mal di testa». Inoltre potrebbe essere difficile dormire, perché «nello spazio si altera l'orologio biologico». Gli astronauti saranno supportati dai medici di missione, ma appena le comunicazioni diventeranno difficoltose - fino ad avere, in prossimità dell'arrivo su Marte, un ritardo di almeno 40 minuti tra l'invio di un segnale e la ricezione della risposta da Terra - il senso di isolamento potrebbe diventare predominante, determinando attacchi di malinconia e facendo precipitare la motivazione. «Già dopo tre-quattro mesi la monotonia delle operazioni potrebbe determinare un calo di attenzione, aumentando il rischio di incidenti. Ecco perché la rotazione dei ruoli tra l'equipaggio e un programma di esperimenti il più possibile vario diventa fondamentale». La navicella, inoltre, sembrerà sempre più piccola. A causa della mancanza di privacy gli astronauti potrebbero diventare nervosi (è l’astenia) e non si possono escludere forti tensioni nel gruppo, unite ad ansia, insonnia e claustrofobia. Per risollevare il morale dovrebbero essere previsti piccoli compartimenti nascosti, da aprire mediante codici mandati via email: «Nascondere lettere e regalini al loro interno aiuterà a superare i momenti di crisi e la sensazione di isolamento». Dopo circa cinque mesi gli astronauti dovrebbero ritrovare la giusta motivazione: finalmente vedranno il Pianeta Rosso sempre più vicino e vorranno essere pronti al grande appuntamento. Organizzeranno simulazioni a catena per ripetere le procedure di avvicinamento e riscopriranno lo spirito di gruppo. Superata la prova dell'atterraggio, saranno di nuovo euforici, ma è a quel punto che comincerà una nuova e difficile fase: rimarranno su Marte per 18-20 mesi, esplorando il pianeta, in attesa del momento del rientro. Ritroveranno l'alternanza del giorno e della notte (la giornata marziana dura 24 ore e 37 minuti) e una parziale gravità (un terzo di quella della Terra): questo li metterà di buon umore. Avranno più spazio per vivere: ESA e NASA prevedono una missione robotizzata, prima dello sbarco, per trasportare l'infrastruttura abitativa adatta a ospitare l'equipaggio. Ma, superata la fase di curiosità delle «passeggiate», la pericolosità e la ripetitività delle operazioni (oltre la stanchezza) potrebbero provocare nuovi attacchi di stress, cattivo umore, affaticamento e insonnia. Dopo mesi insieme, in base alle affinità caratteriali, si potrebbero creare gruppetti isolati, generando incomprensioni e tensioni nei rapporti, fino a rendere impossibile il lavoro in team. E’ allora che l’isolamento potrebbe diventare insopportabile: le difficoltà nelle comunicazioni con la Terra, l'immenso deserto di «sabbia rossa» e la paura di non riuscire più a ripartire potrebbero generare attacchi di panico e gravi depressioni, fino a sfociare in pensieri di morte ricorrenti e perfino in tentativi di autolesionismo o di suicidio. L'unica cura, in questi casi, è «un sistema di diagnosi computerizzata e l'eventuale somministrazione di psicofarmaci, con dosaggi controllati da computer». I sei mesi per il rientro sembreranno interminabili. L’equipaggio sarà esausto e così potrebbe aumentare il rischio di incidenti. D’altra parte i contatti con la Terra diventeranno più semplici e gli astronauti si sentiranno sempre meno isolati. Poi, a Terra, dovranno riabituarsi alla gravità. La riabilitazione fisica e psicologica potrebbe essere lunga, ma - come insegna l'esperienza della Stazione Spaziale - i casi di depressione post-missione dovrebbero essere controllabili. Per ora la strada è in salita e, per arrivare in cima entro il 2030, bisogna lavorare moltissimo. Ma Gro Sandal resta fiduciosa: «Oltre all’accurata selezione dell'equipaggio, sarà fondamentale un rigoroso addestramento psicologico». Basterà? http://www.lastampa.it/_settimanali/...ienze/art1.asp |