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06-04-2008, 16.01.02 | #14 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-06-2007
Messaggi: 297
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Nullità e nodi.
Caro Antares.
perché le cose non sono già abbastanza per molteplici nodi intricate, vorrei aggiungere due nodi all’intrico. Il primo nodo. La geometria pone in principio il punto, quale ente da cui si generano, per moltiplicazione, tutti gli altri enti che sono oggetto dell’indagine scientifica: linee, piani, solidi. Pur tuttavia, essa definisce essere il punto senza dimensioni, come fosse nulla, nulla, al meno, quanto alle dimensioni. Dunque i matematici, se consentono con questa definizione del punto, per similitudine reputo che debbano porre, in principio dell’aritmetica, lo zero quale ente da cui si generano, per moltiplicazione, tutti i numeri. E veramente, se la scienza delle misure procede da un ente privo di dimensioni, la scienza del numero dovrebbe parimenti procedere da un ente privo di numero. Eppur mi pare, stando a quel che scrivesti sotto altro argomento, che molti dubitino che lo zero sia un numero, assumendolo solamente quale segno, per significare l’assenza di numero. Il secondo nodo. Come perveniamo a questi enti nulli, il punto della geometria e lo zero dell’aritmetica ?: perveniamo per sottrazione di enti non nulli da enti non nulli ?; oppure perveniamo in altro modo e quale ?. Intendo domandare: al punto senza dimensioni perveniamo semplicemente detraendo, per esempio, la dimensione della profondità da un cubo, la dimensione dell’ampiezza dalla superficie quadra rimasta e quindi la dimensione della lunghezza dal segmento di linea retta residuo così, che otteniamo il punto, il quale sia dunque l’ente semplice senza dimensioni ?. E dunque questo punto semplice è in principio della geometria non perché sia stato lì posto, affinché da esso possiamo procedere, estraendone linee, piani, solidi, ma perché lì siamo pervenuti per detrazione di proprietà dall’ente dato ?. Non altrimenti, considerando la matematica, allo zero perveniamo per detrazione di numero da numero, sì che, per esempio, se abbiamo tre e ne sottraiamo uno e poi un altro e poi un terzo, otteniamo zero per detrazione, ancorché non abbiamo posto lo zero in principio e quindi non ne abbiamo poi estratti gli altri numeri ?. O, vice versa, non perveniamo affatto al punto senza dimensioni, movendo da enti con dimensioni, ovvero allo zero, movendo dai numeri; ma, anzi, da quelli, cioè dal punto senza dimensioni e dallo zero, procediamo per generare tutti gli altri enti per moltiplicazione ?. Qualcuno domanderà: che muta ?. A mio giudizio moltissimo, perché tocchiamo così ed investighiamo l’origine stessa degli enti della matematica. In vero, se perveniamo allo zero ed al punto senza dimensioni, per sottrazione di ente da ente, nulla impedisce che possiamo affermare che la matematica tolga i suoi oggetti da quell’esperienza delle cose esterne, la quale l’uomo accumula nel corso della sua vita intelligente. I punti, le linee, i solidi, i numeri quindi non sono altro che astrazioni, le quali la nostra ragione produce operando sulle cose della natura, che percepiamo coi sensi, esprimendone alcune proprietà misurabili e misurate: così la linea della geometria altro non è, che un filo sottilissimo di lino, donde anche il nome, esteso con l’immaginazione all’infinito solo per la lunghezza; un cerchio ripete la superficie visibile del Sole o della Luna, supposta perfetta; un punto è una particella minutissima di polvere, cui sia sottratta, col pensiero, ogni estensione visibile; il numero uno è una cosa che vediamo, il due sono due cose; la frazione d’un mezzo, d’un terzo, d’un quarto e meno d’un’unità è una cosa tagliata a mezzo, ad un terzo, ad un quarto e meno. Dalle cose della natura agli enti dell’aritmetica e della geometria. In somma, lo zero ed il punto senza dimensioni non sono concetti del nulla in sé e per sé, applicati alla matematica, ma sono solo concetti del nulla per relazione, cioè annullamenti per detrazione di quantità simili a quelle percepite dai sensi nella natura delle cose: sottraendo tre a tre, non rimane numero e quest’assenza di numero, per comodità, appelliamo zero; sottraendo tutte le dimensioni ad un solido, non rimangono dimensioni e quest’assenza di dimensioni appelliamo punto. Non altrimenti, nell’esperienza quotidiana, se posseggo tre pomi e li dono altrui, non ne rimane alcuno, ma solo in relazione con me; se rompo un vaso, non ne rimane alcunché, ma solo in relazione con quel vaso, che prima era intero. Se, vice versa, lo zero ed il punto senza dimensioni sono in sé e per sé, al principio della matematica, tali cioè che senza loro neppure si potrebbe concepire né l’aritmetica né la geometria, perché tutti gli altri enti ne discendono necessariamente per moltiplicazione; allora mi pare sia necessario affermare che essi precedano l’esperienza nostra delle cose esterne, perché senz’altro di tali cose nulle non abbiamo esperienza alcuna nella natura, e quindi ci dobbiamo domandare donde vengano in noi questi concetti di nullità in sé e per sé, di nullità originaria per così dire; se vengano da una provvidenza divina, se da una conoscenza anteriore alla nostra vita, se dalla struttura stessa dell’universo, di cui siamo partecipi, o che so io. Non solo, ma considerando che appare difficile, al meno all’evidenza razionale, dedurre qualche cosa dal nulla in sé e per sé, reputo sia anche necessario, qualora si voglia concedere lo zero ed il punto senza dimensioni quali generatori di tutti gli enti matematici, che ci domandiamo se la matematica non violi, in principio di sé, le leggi stesse della nostra ragione e se, dunque, essa sia una torre angusta e deforme, temerariamente innalzata a dissimulazione speciosa ed artificiosa, ma inane della nostra irrimediabile ignoranza mortale, ovvero sia un edificio comodo ed ornato, sapientemente costruito con un’arte eccellente, tanto superiore alla nostra, che sia lecito supporre convenga alla natura d’un dio, il quale ce ne provveda benigno, quando crei l’anima nostra. Ciascuno elegga l’opinione che preferisce. Anakreon. |
07-04-2008, 20.52.40 | #15 |
Ospite abituale
Data registrazione: 19-05-2007
Messaggi: 189
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Riferimento: Zero ed Infinito
azz ecco bene qui siamo finalmente arrivati al problema più affascinante sulla natura della matematica (e della logica stessa).
Secondo me le cose stanno così: indubbiamente le astrazioni matematiche e logiche sono stilizzazioni sempre più generali e quindi "grezze" della complessità che noi si percepisce. Perfino suddividere le esperienze sensoriali in categorie è un'atrazione, un'astrazione utilissima x giunta x potersi orientare nell'oceano interiore ed esteriore in cui siamo immersi e d cui siamo fatti. Un'astrazione che permette di cogliere, localmente solo a volte, le relazioni tra strutture e poi da queste permette addirittura (dato questo back ground iniziale) di porre definizioni "positive" quindi "normative" circa enti e fenomeni e non solo per via "negativa" (ad esempio sottraendo ad infinitum ottengo zero, vero, ma questo poi si puo' anche trovare in sè e per sè allor quando abbiamo un panorama di relazioni più ampio su cui spaziare con la ns indagine). Secondo me la matematica quindi è essenzialmente "descrittiva" - cioè deriva dalla realtà che percepiamo; invero in essa pero' sono anche racchiuse idee non immediatamente derivate dalla realtà, che la completano. Queste idee sono ad esempio casi "paradossali" che in natura non esistono ma che noi cmq riusciamo, seppur non a descrivere in termini espliciti e a visualizzarli con la geometria, riusciamo comunque ad "intuire" e a "porre" come principi che servono a completare la ns teoria. La cosa complicata è capire da dove arrivano queste idee. Puro platonismo? Categorie a priori Kantiane? Forse... forgiate da millenni d evoluzione del cervello. Ma penso che in ultima analisi anche questi concetti più "trascendenti" derivino dalla realtà solita ed usuale. Il "salto" potrebbe essere dovuto al cieco caso che accostando dei concetti - senza regole definite e già apprese a priori come "naturali" - porti a nuovi concetti all'apparenza "fuori dal mondo" , ma alla fin fine sempre derivati da esso attraverso un "mix" dovuto appunto al caso .... oppure a quello che chiamiamo intuito. |
09-04-2008, 14.15.37 | #16 |
Ospite abituale
Data registrazione: 27-06-2007
Messaggi: 297
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Questioni e spine.
Caro Cronos,
osservi: "La cosa complicata è capire da dove arrivano queste idee. Puro platonismo? Categorie a priori Kantiane? Forse... forgiate da millenni d evoluzione del cervello. Ma penso che in ultima analisi anche questi concetti più "trascendenti" derivino dalla realtà solita ed usuale.". Consento: mi pare verisimile che tutto, in fine, dipenda dall'esperienza che i nostri antenati fecero e che noi facciamo delle cose della natura e quindi, perché noi ne siamo parte, anche di noi stessi. L'esempio può essere quello del punto, la cui definizione geometrica, sia o non sia contraddittoria, pare non di meno discendere in qualche modo dall'esperienza di particelle minime, che percepiamo coi sensi nella natura e da cui sottraiamo o supponiamo sottrarre tutte quelle proprietà inutili per un certo fine. D'altronde, come acutamente noti, qualsivoglia concetto, che ci formiamo nella nostra mente, ha origini non dissimili: il concetto d'uomo non può non essersi in noi formato in virtù dell'esperienza degli uomini veramente viventi ed anche, per certo, di noi stessi; il concetto di dio è verisimile discenda dalla potenza formidabile di certi eventi naturali, che i primi uomini né comprendevano né potevano dominare: non per nulla di Zeus si diceva che fulminasse, tonasse e piovesse e la radice del suo nome richiamava il fulgore della luce diurna. Tuttavia alcuni reputano che certi concetti primi siano insiti in noi per grazia d'un dio o per opera d'una natura intelligente: ma questa è un'altra questione ben più spinosa, che forse non avrà mai risposta certa. Anakreon. |