dnamercurio
Data registrazione: 14-11-2004
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Elettroshock: si può sempre evitare?
Gentili amici.
vi riporto una realtà ormai in uso solo in pochissimi ambienti. E' certo che questa tecnica per credere di guarire i soggetti catatonici, e, si credeva anche gli schizzofrenici, non era certo poco deleteria-
Riporto parte del discorso del neuropsichiatra, professor Ugo Cerletti il quale così scrive:
......<<.... Non era vero, pertanto che gli animali venissero ammazzati dalla corrente elettrica, che veniva invece usata, secondo il suggerimento della Societa' per la prevenzione del trattamento crudele agli animali, per poter uccidere i maiali senza farli soffrire..... >>
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<<Mi sembro' che i maiali del macello potessero fornire del materiale di grandissimo valore per i miei esperimenti. E mi venne
inoltre l'idea di invertire la precedente procedura sperimentale: mentre negli esperimenti sui cani avevo tentato di utilizzare
sempre la minima quantita' di corrente, sufficiente a procurare un attacco senza causar danno all'animale, decisi ora di stabilire
la sua durata temporale, il voltaggio ed il metodo di applicazione necessari a provocare la morte dell'animale. L'applicazione di
corrente elettrica sarebbe stata dunque fatta attraverso il cranio, in diverse direzioni, e attraverso il tronco, per parecchi minuti.
La prima osservazione che feci fu che gli animali attraverso la corrente a
((1 2 5 volt))
della durata di alcuni decimi di secondo sulla testa, sufficiente a causare un attacco convulsivo completo, NON arrecava alcun danno.
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A questo punto ero convinto che avremmo potuto tentare di fare degli esperimenti sugli uomini, e diedi istruzioni ai miei
assistenti affinche' tenessero gli occhi aperti per selezionare un soggetto adatto.
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Il 15 aprile 1938 il commissario di polizia di Roma mando' nel nostro Istituto un individuo con la seguente nota di
accompagnamento: "S.E., trentanove anni, tecnico, residente in Milano, arrestato alla stazione ferroviaria mentre si aggirava
senza biglietto sui treni in procinto di partire. Non sembra essere nel pieno possesso delle sue facolta' mentali, e lo invio nel
vostro ospedale perche' venga posto sotto osservazione..." Le condizioni del paziente al 18 aprile erano le seguenti: lucido, ben
orientato. Descrive, usando neologismi, idee deliranti, riferendo di essere influenzato telepaticamente da interferenze sensoriali,
la mimica corrisponde al senso delle parole; stato d'animo indifferente all'ambiente, riserve affettive basse; esami fisici e
neurologici negativi; presenta cospicua ipoacusia e cataratta all'occhio sinistro. Si arrivo' ad una diagnosi di schizofrenia sulla
base del suo comportamento passivo, l'incoerenza, le basse riserve affettive, allucinazioni, idee deliranti riguardo alle influenze
che diceva di subire, i neologismi che impiegava.
Questo soggetto fu scelto per il primo esperimento di convulsioni elettricamente indotte sull'uomo. Si applicarono due grandi
elettrodi alla regione frontoparietale dell'individuo, e decisi di cominciare con cautela, applicando una corrente di bassa
intensita', 80 volts, per 0,2 secondi. Non appena la corrente fu introdotta, il paziente reagi' con un sobbalzo e i suoi muscoli si
irrigidirono; poi ricadde sul letto senza perdere conoscenza. Comincio' improvvisamente a cantare a voce spiegata, poi si
calmo'.
Naturalmente noi, che stavamo conducendo l'esperimento, eravamo sottoposti ad una fortissima tensione emotiva, e ci pareva di aver corso gia' un rischio notevole. Nonostante cio', era evidente per tutti che avevamo usato un voltaggio troppo basso. Si propose di lasciare che il paziente si riposasse un poco.........>>>
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Mentre O G G I :il Professor ROBERTO FORNARA scrive:
Elettroshock: se lo conosci lo eviti
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Elettroshock: se lo conosci lo eviti di Roberto Fornara
Neuropsichiatra infantile Docente presso la Scuola di Formazione per Educatori di Comunita', Universita' degli Studi Roma 3
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Non vorrei dilungarmi sulle origini e sulle caratteristiche dell'elettroshock: basti sapere che il suo inventore si chiama Cerletti e che la sua prima applicazione sull'uomo risale al 1938.
Cio' che ritengo di fondamentale importanza e' che da allora sono state elaborate una cinquantina di teorie per spiegare il
meccanismo d'azione di questa tecnica, ma nessuna di esse si e' rivelata esatta.
Come medico e psichiatra, mi chiedo se questo "particolare" possa essere trascurato, e onestamente me lo chiederei anche se fossi un malato mentale o un suo congiunto.
Purtroppo sembra trattarsi solo di "scrupoli" eccessivi, dal momento che oggi, come e forse piu' di ieri, al riparo delle strutture private e pubbliche l'elettroshock continua ad avere un ruolo terapeutico.
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Sembra piuttosto singolare la forsennata puntualizzazione con la quale molti colleghi precisano la ristrettezza degli ambiti in cui
utilizzare queta tecnica (refrattarieta' agli psicofarmaci, depressione in gravidanza, stati catatonici, atteggiamenti autolesivi, insonnie intrattabili). Singolare perche' in realta', al di fuori di queste categorie diagnostiche, il ricorso all'elettroshock appare piuttosto diffuso, molto piu' diffuso di quanto farebbe immaginare la frequenza statistica delle suddette categorie diagnostiche.
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Non sempre, poi, il paziente e' in grado di scegliere serenamente il da farsi. In tal caso e' il parere dei congiunti (o quello dei
medici che informano?) a determinare se e quante volte il malato sara' sottoposto al trattamento. Gia', perche' una volta sola
difficilmente puo' bastare e occorre una serie di sedute per arrivare ad un'apparente e troppo spesso fugace remissione dei
sintomi.
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Strano fenomeno: se una persona malata prende per anni psicofarmaci, di cui si conosce il meccanismo d'azione, senza risultati apprezzabili, entra "di diritto" nell'orbita della terapia elettroconvulsivante; se lo stesso paziente si sottopone (o viene
sottoposto) a una decina di sedute di elettroshock (di cui non e' noto il meccanismo d'azione), viene quasi sempre invitato a
continuare l'esperimento...
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Credo che in realta' l'elettroshock non meriti sempre e comunque una difesa "scientifica" senza una reale base scientificamente
provata.
Semmai andrebbe orientata la maggior parte dei nostri sforzi per comprendere le ragioni profonde del disagio psichico di una
persona che troppo frettolosamente definiamo paziente.
Spesso la depressione rappresenta una tappa necessaria nel processo di crescita di una persona; l'elettroshock dovrebbe
risvegliarla, riportarla al mondo, ma al mondo spesso vengono restituiti soltanto dei relitti umani, dei frammenti di anima piu'
smarriti e piu' disperati di prima.
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Talvolta l'elettroshock potra' anche rappresentare un'ultima spiaggia, ma in realta' e' il segno della nostra impotenza terapeutica, che si trasforma in cieco accanimento verso la malattia mentale, passando obbligatoriamente attraverso la testa del paziente senza considerare la sua anima.
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Non possiamo essere complici di questa miopia psicologica: guardiamo oltre, guardiamo dentro, guardiamoci dentro!
Si può essere ancora d'accordo ad usare questa terapia?
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Alessandro D'Angelo
Alessandro D'Angelo
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