psicoterapia o terapia delle idee?
In un recente articolo su la Repubblica ( Come affrontare il disagio esistenziale, 15/12/’04 ) U. Galimberti ritiene che nella nostra epoca contrassegnata da visioni del mondo irriflesse e inadeguate “esperti de pensiero” sarebbero più efficaci degli analisti e degli psicofarmaci che rimuovono l’inquietudine di chi non riesce ad ottundersi con l’integrarsi negli schemi di vita imposti e si estranea da TV, stadio, moda, shopping, ecc. ponendosi alcuni interrogativi
Sarebbe legittimo desiderio per l’uomo pensante disaminare la propria spesso angusta e distorta visione del mondo.
“Se vuoi essere felice cura la tua anima” è l’insegnamento socratico per chi sente l’esigenza di guardarsi dentro , di conoscere se stesso , di capire cosa dice e relative implicazioni, ecc. che è fatica, forse sofferenza, perchè da sempre è più facile seguire le mode, le consuetudini, le conversazioni disimpegnate.
Oggi prevalgono stili di vita automaticamente appresi sotto l’influsso ambientale, strategia d’imperfetta “felicità” che può suscitare spleen e disistima in ogni fascia di età, e la filosofia, purchè non ridotta a evasionale esercizio teoretico, serve solo a chi è sensibile a valori formativi mai conclusi e non è pago di ciò che è. Il pensante problematico percorre un solitario percorso verso l’individuazione al di là dei ruoli. Per la costruzione di un’individualità non omologante soccorre un’introspezione che elabora esperienze e conoscenza.
Sono attratto dall’antica saggezza, psicoterapia ante litteram, precorritrice del modello cognitivo-comportamentale, che conferma il legame tra filosofia e psicologia.
Gli antichi notano che non è la realtà che turba ma la rappresentazione che ce ne facciamo e a cui ci affezioniamo nevroticamente. Contano più i vissuti interpretati che gli eventi : “Ognuno è tanto infelice quanto crede di esserlo” (Seneca); ci si deve mutare a fronte di una realtà immutabile : “Non potendo cambiare gli avvenimenti bisogna cambiare se stessi” ( Marc’Aurelio ), ecc.
Illuminati sempre dal “so di non sapere” per contrastare l’arroccamento nell’egocentrismo intellettuale, nell’inverificata fedeltà alla propria visione del mondo, negl’inconsapevoli fraintendimenti da travisamento di termini, ecc. e per chiarire ciò che si può conoscere, ciò che per noi sarebbe meglio, ciò che possiamo rischiare, quali sono le strategie difensive a noi più adatte, sapendo fluire da ripetitivi e sterili copioni.
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