Anche se noi siamo responsabili per la nostra vita (in che misura poi? bohh!)
dobbiamo fare i conti con chi ci ha visti nascere e ha instaurato con noi una certa forma di relazione arrivando a definirne il tipo e la modalità di legame. Un figlio che associa la dipendenza genitoriale a sicurezza, riconoscimento e appartenenza farà fatica a trattare i suoi genitori/e come persone che possono fare i loro errori. Tenderà a minimizzare anche gli sbagli più madornali, raggiungendo paradossalmente a negare di aver subito violenza, perché è vincolato ad una identità che gli permette di riconoscersi.
E' perfetto perseguire la propria vera natura, riconoscere di non essere un corpo, ma quando sei impastato in quel fango pesante e colloso come pece, da che parte ti muovi, cosa fare?
Mi ricordo che il mio maestro di meditazione ripeteva incessantemente di meditare. La pratica ti libera, o meglio, la costanza, la tenacia. "Tu non sei quello che vivi o quello che pensi o quello che fai. Sei oltre tutto questo."
Un grande passo,
forse il solo passo è abbattere col soffio della chiara visione l'assurda idea di essere colpevoli (o responsabili) di qualcosa.
Il senso di colpa... la paura di aver sbagliato...
Sono atteggiamenti che noi abbiamo imparato, non sono innati.
Ma anche se a parole lo capisci, quello che provi dentro ancora non emerge chiaro, e te lo tieni finché non ti trovi a faccia a faccia con quella relazione malata che vorresti tanto sanare, perché ne hai parlato con gli amici, con la tua compagna, con Dio...
Ma quando ti trovi davanti a quello che volevi sanare fino a pochi istanti prima, tutti i buoni propositi vanno in vacanza, prendono il largo, non ti assistono, si perdono nel mutismo, nell'imbarazzo e dietro una maschera che non riesci a togliere.
Forse non vuoi togliere!
Forse prendi in giro tutti i tuoi amici quando dici che vuoi sanare quella relazione. In realtà è quella in cui ti riconosci di più, e ci stai bene lì, altrimenti perché continuare con quel gioco?!
Ti muovi fra un atteggiamento e l'altro. Con gli alcuni sei in un modo, con altri sei in un altro. Chi è quello "vero"? Forse non esiste. "Io sono come mi conviene essere", reciti un ruolo in ogni caso.
Far crollare ogni idea che ci siamo fatti di noi stessi è il solo modo per smettere di vivere nel sogno (o nell'incubo) che ci siamo creati. Certo sono parole... semplici parole, ma il primo passo non è la comprensione?
Però deve essere una comprensione vera, non di facciata!
Ci vuole onestà, la massima onestà per vedere i fatti come sono, per riconoscere le proprie difficoltà, ma anche la serietà delle proprie intenzioni.
Scusate se ho parlato a me stesso. Mi sono sfogato un pò...
"forumterapia"