Ospite abituale
Data registrazione: 18-04-2007
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Il coraggio di parlare
Ho letto da qualche parte delle paure, dell'insicurezza, dei comportamenti da archivio "delle sentenze negative" che si rimanifestano quando si cerca di far fronte alla propria paura di amare, di soffrire. Ho letto anche sarebbe bene mostrarsi per come si è, non voler a forza coprire il proprio essere ammantandolo di buono, che anche le sensazioni poco buone hanno dignità di essere, fino a che non le assegnamo la dignità di essere totali, di occupare ogni spazio della mente e del cuore. Era nata da poco un paio di mesi, sembrava però una buona strada un cammino costante. Il primo stop il giorno dopo il primo appuntamento, una specie di attacco di panico che ha avuto lui, mi ha chiamato la mattina dicendomi che aveva uno strano malessere, una settimana dopo, al nostro incontro mi ha confessato che dipendeva dal fatto che io ho un bambino, bambino che non sarà mai suo figlio e che questo gli causava un forte blocco, ammetteva che era una cosa stupida e senza senso, ma tant'è. All'epoca mi sembrò di dire le cose più sensate potessi (ero anche un pò frastornata da questo "caso" unico nel suo genere fino ad allora). che non si può vivere sui binari, che la vita va vissuta prima di farsene un'idea precisa, che era il caso di non soffermarsi su delle linee di principio, ma stabilirle di volta in volta, che la felicità molto spesso non è una serie di requisiti. Mi sembrava potesse essere giunto il messaggio (che in sostanza era non ti fare sfagiolamenti cranici, aprioristici, vediamo cosa accade e poi ne riparliamo). Per indole ci vado pianino, un pò di conoscenza non è male a supportare le risate, il gioco, l'anguria al fresco del castello e soprattutto, altro. Che è arrivato un pò di tempo fa, la costanza degli scambi e la loro qualità (anche la considerazione che si poteva tranquillamente uscire per cinema e basta o passeggiata e basta e che l'altro era una scelta delegata a me) mi avevano dato da pensare che l'empasse iniziale era stato risolto con un pò di fatalismo, con un pò di buon senso. Ma da un paio di giorni, aleggiava dentro me una sensazione di disagio, ragionavo con me stessa, cercavo di parlarmi, di codificare questi stati d'animo, la mia paura lo sapevo era lì, ho cercato di sentirla senza lasciarmene condizionare, uno stato d'animo, un pezzetto del mio animo non tutto. Ho tentato di riporre in archivio tutte le reazioni da insicurezza (frutto di vecchi retaggi) che mi sembravano essere l'unico strumento operativo possibile ed ho cercato di elaborarne di nuovi. Ieri notte una frase, sussurrata nel cuore della notte, ehi massi, io non voglio fare l'amica di letto, lo sai vero? Era una mia paura (o un mio sentore?), lui non si era comportato da classico toccata e fuga, il silenzio. Lo sai che io ho quella cosa, è più forte di me, è stupida ma te l'avevo detto, tu mi sembava l'avessi accettata.... e bla bla bla, ma hai fatto benissimo a dire, bla bla bla. Io lo so che ho fatto bene, ho ascoltato me, ero centrata (come dice qualcuno)? Per un pezzettino mi sento orgogliosa di quel che ho fatto per me, era giusto sapere prendere coscienza, capire, ascoltarsi ecc. ecc., per un pezzettone è cemento armato, che pesa sul cuore, sullo stomaco, opprime i polmoni e riempie la testa. Un pò l'ho riversato qui, in modo da costruire una scatola dove chiudere dentro quest'altro capitolo di equivoci, spero vogliate perdonarmi la getto via così.
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