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Originalmente inviato da r.rubin
La bellezza non è virtù esclusiva della parola poetica: quanti matematici innamorati della loro materia adorano accarezzare per ore e ore le loro formule matematiche, e così quanti medici adorano il loro linguaggio specialistico.. e così tutti i "tecnici", se innamorati della loro tecnica materia, ne ammireranno pure, probabilmente, la bellezza del linguaggio. Sia tecnico, che letterario, che poetico, ogni cosa ha il suo fascino e la sua bellezza.
Sono daccordo con te quando sostieni che le asintonie tra persone dipendono anche dal linguaggio che usano, perchè ogni distanza crea difficoltà di rapporto e comunicazione, ma soprattutto ogni rigido arroccamento nelle proprie posizioni crea incomunicabilità. Arroccamento protettivo ma sterile ai fini di un ampliamento della propria visione del mondo. Per allargare i propri confini mentali e quindi la propria visione dle mondo è indispensabile ammorbidire quella linea di confine troppo dura, per renderla permeabile a ciò che si trova al di fuori, di modo che entrando il contenuto fino ad allora estraneo, per farsi spazio espanda lo spazio interno. Cercare di prendere dimestichezza con più linguaggi, ritmi espressivi, è un espansione del proprio spazio interno, del proprio modo di pensare, della propria vita, della propria visione del mondo.
Circa la filosofia come pensare poetico... molti autori hanno intrapreso questo sentiero, rivalutando il ruolo della filosofia in quanto poiesis, rivalutando il divenire continuo delle cose che quindi sfugge alla principio di verità come corrispondenza tra idea e cosa: poichè la cosa non è mai la stessa, e non appena colta da un idea è già mutata, il concetto immutabile della logica nulla stringe. Meglio allora cercare di entrare in risonanza interiore con il fluido accadere del reale, e cercare di esprimere quanto si può con la pulsante, carnale, parola poetica piena di vita. La vita sfugge alla fredda razionalità del concetto, ma può essere colta dalla metafora, alchimia di idea ed emozione.
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(Tutto bene, ma così non si fa giorno!...) Se fisso metodologicamente tre ordini di linguaggio, mi puoi ribattere: non sono tre, ma sono cinque, due, quanti ne vuoi. E allora, seppure divergenti, si seguita a ragionare con certo ordine e confrontarci sulla reale possibilità di passare da un ordine all’altro.
Il linguaggio matematico per me è tecnico; il linguaggio medico per me è tecnico… Il problema che mi pongo qui è: è possibile tradurre il linguaggio matematico o medico – ad esempio – in linguaggio letterario o poetico? e come? e perché? Così che, facendo un esempio magari, ne tocco con immediatezza la fattibilità e la ragione.
Il topic che ho proposto – mi accorgo – impone la bellezza come parametro; ma il mio ultimo post, l’ho formulato più ad aggirare quel nodo da sciogliere, assai difficile, invadendo piuttosto un terreno meno ostico – mi sembra: quello della comunicabilità.
Dunque mi puoi chiedere: sei sicuro – a parte l’intrinseca bellezza del linguaggio medico o di altro linguaggio tecnico da una parte, e del linguaggio letterario o del linguaggio poetico dall’altra – sei veramente sicuro che, traducendo ad esempio una diagnosi medica o un teorema matematico in linguaggio letterario (meglio direi qui giornalistico) o addirittura poetico (la cosa mi incuriosirebbe) ti fai capire meglio? Il problema – come è ovvio – diventa così di colpo non più del piacere e del gusto, ma della comprensione e condivisione. Per cui ancora esempi necessiterebbero per capirci e seguitare a comunicare…
Certamente che un matematico può andare in brodo di giuggiole di fronte al suo stesso linguaggio e inorridire se mai venisse volgarizzato da chicchesia; ma il linguaggio letterario rimane di gran lunga più gradevole, per la stragrande maggioranza delle persone, di quello matematico: quel matematico – voglio dire – non fa testo.
Il problema per ciò stesso cambia/cambierebbe ancora faccia: al di là dei tre linguaggi che proponi – mi puoi chiedere ancora – ci sono altri parametri prioritari da stabilire piuttosto? Sì, certo – ti risponderei subito: per me erano sottintesi, e l’ho trascurati vuoi nel topic vuoi nel post ultimo a seguire. Ovverosia il parametro della gente (giacché noi siamo gente) che definisco nella seguente denominazione ternaria: uomo comune|uomo della strada|uomo anonimo.
A questo punto, tanto per dire, uno scacchista mi potrebbe obbiettare dal suo punto di vista: tu che parli di bellezza, tu che parli di linguaggio, tu che parli di maggiore/minore comprensibilità; ma mi sai dire perché allora… Alt – lo fermo fulmineo – tu non m’interessi: sei l’eccezione, l’incognita, la mina. Lo tratterei conseguentemente, nel discorso che sto/che stiamo facendo, come il tuo computer ti tratta quando sbagli a digitare un tasto: non ti risponde.
Inoltre, la cosa strana è che mi attribuisci un’affermazione che non ho detto (e tuttavia mi alberga nell’animo): che la bellezza – specifichiamo però del linguaggio – appartenga alla poesia. Io ho parlato piuttosto di linguaggio letterario/bello, tecnico/complesso e poetico/profondo. Perché dunque?…
È vero sì che la parola assolutamente bella è più quella poetica che prosastica; ma bisogna sceglierla (primo punto), bisogna capirla (secondo punto), bisogna averla già introiettata (terzo punto), bisogna ripasteggiarla (quarto punto) con calma estrema, immedesimazione nell’immagine che racchiude e lentezza di esecuzione da tardigrado. E se poi quella parola poetica, la recita una bella voce (punto quinto) nel contorno di un volto|corpo belli e di un insieme scenografico appropriato, allora veramente (punto sesto) diventa più che bella: illuminante! Ma questo è altro discorso che qui non è possibile fare. Semmai in palcoscenico in un momento preciso con le persone giuste.
Infine “Circa la filosofia come pensare poetico...” – ho detto questo? Qualche bella frase di filosofia, presa dove vuoi, può anche essere ritrascritta metricamente; però è più un giuoco di scrittura. Semmai la filosofia può essere più utilmente ritrascitta in linguaggio letterario (meglio ancora sarebbe se giornalistico). Ma non credo che possa mai verificarsi quella sinonimia che mi attribuisci. Comunque vediamo, parliamone, solleva il problema…
Ti ringrazio per l’attenzione.
TRIS