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Ennesima strage nel lombardo-veneto
Di nuovo un'intera famiglia massacrata nel bresciano.
La lombardia e, in misura minore, il veneto, paiono essere il terreno di "caccia" di una malavita di minimo profilo, prevalentemente composta da extracomunitari.
Il mio scandalo, tuttavia, non è causato dalla provenienza geografica degli assassini: se essi sono romeni, croati, nordafricani, siciliani o veneti, calabresi o lombardi, poco importa.
La questione è la seguente: possibile che non esista, per la società civile delle regioni più avanzate del nostro Paese (e, quindi, più "a rischio") una qualche modalità di difesa che non sia quella personale?
L'assoluta inefficienza delle forze dell'ordine, le quali, quando richieste di un intervento "immediato" sono quasi sempre latitanti, unita ad una magistratura che ha l'unico interesse di intervenire sulla società produttiva, hanno creato un clima di assoluta precarietà esistenziale in alcune zone del Paese.
Precarietà, purtroppo, esportabile potenzialmente a tutte.
Che cosa si può fare, in Italia, quanda si sia vittime della prepotente tracotanza di qualche "spostato" che dichiara di "non aver nulla da perdere"?
Nulla, se non trovare forme personali e creative di difesa.
Le forze dell'ordine, in genere, dichiarano la propria "impossibilità" all'intervento, anche in presenza di minaccia serissima del cittadino (con buona pace dell'opera "preventiva" del reato di cui sarebbero investite).
La magistratura, dal canto suo, vanifica ogni intervento: la criminalità "comune" in Italia di fatto non è punita.
Intasate di indagini di carattere economico-politico-finanziario, le Procure in questo Paese, tendono a sgravarsi in fretta, come di inutili fardelli, della criminalità contro le persone: e, quando proprio sono costrette, per la pressione dell'opinione pubblica, a comminare sanzioni, lo fanno strizzando l'occhio al delinquente.
Dieci anni, quindici, per l'omicidio plurimo, divengono cinque-sei, quando non si tratti di eventi di cui gli organi di informazione continuano a trattare periodicamente.
In queste condizioni, io avanzerei alcune ipotesi, del tutto virtuali, da applicarsi nelle province in cui gli assassinati per criminalità comune siano più di quindici all'anno:
- abolizione del Porto d'Armi per l'acquisto di strumenti di difesa;
- riconoscimento ufficiale dello Stato della qualifica di "Forze dell'Ordine" a qualsiasi istituzione privata che, superati alcuni doverosi controlli da parte delle istituzioni pubbliche, ne faccia richiesta;
- assetto "militarizzato" delle Forze Armate, con facoltà del cittadino di ricorrere anche ad esse quando la necessità lo consigliasse;
- facoltà di rinvio "automatico" alla Corte dell'Aja in ogni caso di presunto "eccesso di difesa" da parte del cittadino o di chiunque abbia operato in suo favore;
- vincolo, irrevocabile, al consumo integrale della pena in caso di criminalità comune consumata in quelle zone, senza facoltà alcuna del ricorso a forme alternative o a interruzioni di qualsiasi sorta nell'espiazione;
- intervento fattivo delle Forze Armate in un'azione di vigilanza del territorio, in collaborazione con le Forze dell'Ordine.
Non mi pare che si tratti di ipotesi connotabili politicamente: esse mirano, soprattutto, alla prevenzione di tali reati.
Purtroppo, non i codici, ma la giurisprudenza mostra quanto poco valore abbia, per lo Stato, la tutela del cittadino che non delinque.
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