dnamercurio
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Cibi Irradiati, Ma Pochi Lo Sanno
Gentili amici,
NOTIZIA INTERESSANTE : SPESSO CIBI IRRADIATI,
MA NON LO SAPPIAMO
Chi li ha mai visti? A chi è capitato di trovare su un alimento la dicitura "trattato con radiazioni ionizzanti"? A nessuno, ne siamo certi. Eppure i cibi irradiati circolano, silenziosamente, per il nostro paese. E' quanto ha scoperto con un test il Movimento consumatori.
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Una sorta di miracolo, fondamentale per evitare tossinfezioni pericolose per il consumatore, garantire alimenti incontaminati e limitare onerosi sprechi di cibo. Un pericoloso modo per trattare gli alimenti senza la necessaria cura igienica, nascondendo l’inevitabile perdita di freschezza, per di più con l’aiuto di una tecnica che fa sempre paura, la radioattività che evoca disastri come quello di Chernobyl. L’irradiazione, ossia il processo che sottopone un alimento a radiazioni ionizzanti derivanti da generatori di fasci di elettroni o da sorgenti radioattive, è uno di quei temi in cui si scontrano paure e certezze, sospetti e tranquillizzanti prese di posizione. Il procedimento può essere impiegato per ridurre la contaminazione microbica di un alimento, eliminare germi patogeni, distruggere infestazioni da insetti e parassiti, prevenire la germinazione in vegetali.
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Un trattamento permesso in Europa e regolato, da noi, dal decreto legislativo n. 94, del 30 gennaio 2001 che ne limita l’utilizzo solo su una lista positiva di alimenti, tra i quali erbe secche, spezie, patate, cipolle e aglio. La dose massima di radioattività a cui possono essere sottoposti questi vegetali è di 10 kGy e qualunque prodotto sottoposto a irraggiamento deve specificare il trattamento. Chi li ha visti? Accanto alla denominazione di vendita, insomma, dovrebbe comparire l’indicazione “irradiato” o “trattato con radiazioni ionizzanti”. Quando è solo una componente dell’alimento a essere stata sottoposta a radiazioni, la dicitura segue il nome dell’ingrediente, nel caso degli alimenti sfusi, deve figurare per mezzo di un cartello esposto sulla cassetta. Eppure a guardare tra gli scaffali dei negozi italiani, di queste etichette non c’è neppure l’ombra. È quanto ha verificato, per esempio, il Movimento consumatori attraverso una lunga indagine nei punti vendita italiani. Incuriositi da questo strano silenzio italiano, gli uomini dell’associazione sono andati a spulciare il sistema di allerta europeo scoprendo che solo nel 2003, erano stati segnalati dai Paesi membri ben 15 casi di alimenti irradiati ma illegalmente muti in etichetta. Le segnalazioni, partite soprattutto da Danimarca e Germania riguardavano erbe dietetiche (come il guaranà, l’aloe), té, ma anche frutti e vegetali, provenienti da Cina, Stati Uniti, Olanda, Svezia, Spagna e soprattutto Gran Bretagna. Nessuna segnalazione, invece, risulta mai partita dalle autorità sanitarie italiane. Possibile che nel nostro Paese – si sono chiesti al Movimento consumatori – non sia mai stato rintracciato un alimento irradiato? E se è così, perché attraverso le nostre frontiere non entrano prodotti che in altre nazioni comunitarie invece sono presenti? Con le mani nel sacco Per nulla convinta che l’Italia sia una sorta di isola franca in cui non entra neppure un alimento irraggiato, l’associazione ha incaricato quattordici sezioni di mettersi in cerca, in tutta la Penisola, di spezie, erbe essiccate, integratori. Un lungo lavoro, svolto con la consulenza scientifica dello studio del dottor Alessandro Occelli, che ha portato ben 41 campioni nei laboratori francesi dell’Eurofins pronti per essere esaminati attraverso un’analisi denominata Psl (Luminiscenza ottenuta per fotostimolazione) eventualmente confermata da un’altra determinazione (la termoluminescenza). I risultati dimostrano, come forse era prevedibile, che nessun paese europeo è immune da trattamenti di irradiazione. Su 41 campioni analizzati dal movimento consumatori, infatti, 2 sono risultati positivi. Si tratta di un prodotto di erboristeria (Le dieci erbe prodotto da Esi Albissola) e di un aglio macinato acquistato e prodotto in un supermercato Sigma. In tutt’e due i casi - e questo è l’aspetto più preoccupante - nessuna indicazione in etichetta avverte il consumatore che non può distinguere questi alimenti da quelli non trattati. A meno di non poter contare, come avviene in altre nazioni europee, su una rete di controlli pubblici che scoraggino i furbi che usano queste tecniche ma “nicchiano” al momento di dichiararle. Controlli che in Italia, per lo meno in questo settore, sono assenti .
Saluti
Alessandro D'Angelo
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