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13-05-2008, 09.56.11 | #1 |
Ospite abituale
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Tremonti e la globalizzazione
Ho scoperto solo ieri alcune citazioni on line del nuovo libro di Tremonti, "La paura e la speranza", ad esempio:
"Come se l'universo fosse un supermercato, stiamo consumando il futuro dei nostri figli, con il rischio di farlo tanto in fretta da vedere noi stessi il risultato delle nostre azioni." ------- E, ancora, un capitolo del libro: È finita in Europa l'«età dell'oro». È finita la fiaba del progresso continuo e gratuito. La fiaba della globalizzazione, la «cornucopia» del XXI secolo. Una fiaba che pure ci era stata così ben raccontata. Il tempo che sta arrivando è un tempo di ferro. I prezzi — il prezzo delle merci e del petrolio, il prezzo del denaro e degli alimentari — invece di scendere, salgono. Low cost può ancora essere un viaggio di piacere, ma non la spesa di tutti i giorni. Un viaggio a Londra può ancora costare meno di 20 euro, ma una spesa media al supermercato può costare ben più di 40 euro. Come in un mondo rovesciato, il superfluo viene dunque a costare assurdamente meno del necessario. Cosa è successo? È successo che in un soffio di tempo, in poco più di dieci anni, sono cambiate la struttura e la velocità del mondo. Meccanismi che normalmente avrebbero occupato una storia di lunga durata, fatta da decenni e decenni, sono stati prima concentrati e poi fatti esplodere di colpo. Come si è già visto in tante altre rivoluzioni, quella della globalizzazione è stata preparata da illuminati, messa in atto da fanatici, da predicatori partiti con fede teologica alla ricerca del paradiso terrestre. Il corso della storia non poteva certo essere fermato, ma qualcuno e qualcosa — vedremo chi e che cosa — ne ha follemente voluto e causato l'accelerazione aprendo come nel mito il «vaso di Pandora», liberando e scatenando forze che ora sono difficili da controllare. È così che una massa di circa un miliardo di uomini, concentrata prevalentemente in Asia, è passata di colpo dall'autoconsumo al consumo, dal circuito chiuso dell'economia agricola al circuito aperto dell'economia di «mercato». È una massa che prima faceva vita a sé: coltivava i suoi campi e allevava i suoi animali per nutrirsi; raccoglieva la sua legna per scaldarsi; non aveva industrie. Ora è una massa che non è più isolata, che comincia a vivere, a lavorare, a consumare più o meno come noi e insieme a noi, attingendo a quella che una volta era la nostra esclusiva riserva alimentare, mineraria, energetica. È una massa che non ha ancora il denaro necessario per comprare un'automobile, ma ha già il denaro sufficiente per comprare una moto, un litro di benzina o di latte, un chilo di carne. I cinesi, per esempio, nel 1985 consumavano mediamente 20 chilogrammi di carne all'anno, oggi ne consumano 50. Se il numero dei bovini da latte o da carne che ci sono nel mondo resta fisso, ma sale la domanda di latte o di carne, allora i prezzi non restano uguali, ma salgono anche loro. E lo stesso vale per i mangimi vegetali con cui si allevano gli animali e, via via salendo nella scala della rilevanza economica, per quasi tutti i prodotti di base tipici del consumo durevole e poi per tutte le materie prime necessarie per la nascente e crescente produzione industriale: l'acciaio, il carbone, il petrolio, il gas, il cotone, le fibre, la plastica per far funzionare le industrie. La squadratura che si sta così determinando, tra offerta che resta fissa e domanda che cresce, ha avuto e avrà nel mondo un effetto strutturale sostanziale: la salita globale dei prezzi. E dunque del costo della vita. Non solo per quelli che nel mondo sono relativamente più ricchi, negli Usa o in Europa, ma anche per quelli che sono relativamente più poveri, in Africa. Può essere che recessioni economiche o nuove scoperte minerarie o invenzioni rallentino questa salita, ma sarà solo nel breve periodo, solo per un po' di tempo. Poi, se il funzionamento del meccanismo non sarà rallentato, la forza crescente della domanda tornerà a prevalere sulla quantità limitata dell'offerta. Procedendo per inevitabili linee di rottura, la globalizzazione ci ha dunque già presentato il suo primo conto con lo shock sui prezzi e con il carovita. Ma questo è solo l'inizio. Perché la globalizzazione sta cominciando a presentare anche altri conti: il conto della crisi finanziaria; il conto del disastro ambientale; il conto delle tensioni geopolitiche che, pronte a scatenarsi, si stanno accumulando nel mondo. È infatti già cominciata la lotta per la conservazione o per il dominio delle risorse naturali e delle aree di influenza. Nuove tensioni si sviluppano lungo linee di forza che vanno oltre i vecchi luoghi della storia, oltre i vecchi passaggi strategici. Dalla superficie terrestre fino all'atmosfera, dal fondo del mare fino alle calotte polari, le «nuove» esplorazioni strategiche, fatte sul fondo marino o ai poli, le conseguenti pretese di riserva di proprietà «nazionale», non sono già segni sufficienti per capirlo? Quando la storia compie una delle sue grandi svolte, quasi sempre ci troviamo davanti l'imprevedibile, l'irrazionale, l'oscuro, il violento e non sempre il bene. Già altre volte il mondo è stato governato anche dai demoni. In Europa, per la massa della popolazione — non per i pochi che stanno al vertice, ma per i tanti che stanno alla base della piramide — il paradiso terrestre, l'incremento di benessere portato dalla globalizzazione è comunque durato poco, soltanto un pugno di anni. Quello che doveva essere un paradiso salariale, sociale, ambientale si sta infatti trasformando nel suo opposto. Va a stare ancora peggio chi stava già peggio. Sta meglio solo chi stava già meglio. E non è solo questione di soldi. Perché la garantita sicurezza nel benessere che sarebbe stato portato dalla globalizzazione si sta trasformando in insicurezza personale, sociale, generale, ambientale. http://www.giuliotremonti.it/articol...zza.asp?id=114 Lascio a voi le conclusioni.... |
17-05-2008, 17.39.54 | #3 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Citazione:
La tua sopresa è stata anche la mia. E' sorprendente vedere come alcuni dei suoi bersagli siano gli stessi dei no-global. Cito ancora dal libro: "Il 1989, con il crollo del Muro di Berlino, segna la crisi sia del comunismo sia del liberalismo. Sostituiti entrambi da un'ideologia nuova: il mercatismo, l'ultima follia ideologica del 900". La stoccata al WTO è davvero un classico del movimento no-global; e Tremonti non si sottrae: "Dal giorno della stipula a Marrakech (15 aprile 1994) dell'accordo Wto (World Trade Organisation) sul libero commercio mondiale il mondo non sarebbe stato più come prima...mercato unico, errore unico. Mai nella storia dell'umanità un processo politico della portata di quello attivato con il Wto, l'apertura del mondo al mercato, è stato consentito e avviato con tanta istantanea e superficiale precipitazione." "Ciò che ancora nell'agosto del 2007, veniva definito da autorità ed esperti, da governatori ed economisti un semplice turbamento, si sta ora e invece rivelando per quello che è nella realtà. Una crisi con la C maiuscola. Una crisi non congiunturale ma strutturale, non limitata alla finanza ma estesa all'economia, non limitata all'America ma estesa all'Europa." Sui rimedi pare però che non sia altrettanto convincente: http://www.ariannaeditrice.it/artico...articolo=18670 A ogni modo, lasceremo che parlino i fatti prima di giudicare. |
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18-05-2008, 09.11.47 | #5 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Citazione:
Conoscendo la vera causa potremmo trovare un valido antidoto? Le cause si intersecano, si intrecciano, si mescolano, si sostengono reciprocamente avendo come meta una effimera follia: pochi ricchi da re Mida e tutti gli altri poveri più poveri e miserabili persino dei servi della gleba. E' la meta che determina anche il viaggio. E non crediamo di incolpare tutti i ricchi del mondo e lavarcene le mani come il Ponzio Colui che vuole tutto senza fare niente rientra nella categoria della meta effimera. Chi si preoccupa unicamente di se stesso senza curarsi del mondo che lo circonda, è uno in attesa di immettersi sulla medesima strada. Sarò catastrofista? non lo so. Ma di certo dobbiamo accettare l'idea che il mondo illusorio in cui ci eravamo barricati si sta sgretolando. Occorre rivedere, per il bene di tutti, la società attuale e "inventarci" scoprire, costruirne un'altra compatibile con il Pianeta. Ieri a "Ulisse, il piacere della scoperta" hanno parlato delle civiltà del Mediterraneo. Quando un popolo veniva sconfitto o implodeva la civiltà che rinasceva ne prendeva l'eredità e con quella proseguiva il cammino. Questa civiltà che io chiamo inciviltà sta morendo, non ci resta che cercare di salvare le cose buone e liberarci di tutto il resto. Vedere il palazzo che si sgretola è già qualcosa, visto che in tanti fanno finta di niente o aspettano che ritorni sui propri passi.....sui propri mattoni ma non basta rendersi conto della realtà occorre anche la capacità di pensare a come deve essere il prossimo. Ovviamente se contiene gli stessi errori del precedente la fine sarà identica. Imparare dai propri errori è il bastone verso l'evoluzione, ma in troppi si ostinano a saltellare su un solo piede Gli italiani, ho sentito dire, sono uno strano popolo dimostrano il meglio di se stessi nei periodi peggiori. Roma è stata per secoli il centro del mondo conosciuto, culla di civiltà, forse qualcosa ancora l'abbiamo nel sangue. E' facile distruggere, più difficile ricostruire. ciao mary |
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18-05-2008, 14.13.51 | #6 | |
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Citazione:
Tutto vero. D'altra parte, come anticipava già qualche anno fa Mario Deaglio nel suo libro Postglobal, la globalizzazione è già finita. E ora se ne sta accorgendo anche il Wall Street Journal... |
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28-05-2008, 10.29.29 | #7 |
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Le critiche di Tremonti alla globalizzazione mi son sempre piaciute. In una delle tante trasmissioni in cui presentava il suo libro accusava uno dei creatori della globalizzazione, su richiesta del giornalista che lo intervistava. E tale creatore era: Prodi... Romano. Come dice lui.
Peccato che forse era nel suo schieramento che si trovavano i maggiori fautori di una politica neoliberista. Ma quello che volevo dire e' che nella seconda parte del libro, la speranza, Tremonti indica quella che secondo lui e' la strada da seguire per uscire dalla crisi. Cioe', se ricordo bene, il ritorno alle origini cristiane e alla potenza degli stati nazione. Insomma dal liberismo all'interventismo dello stato. Son due facce della stessa medaglia. Si rimane nell'ottica del capitalismo imperialista. Come uscirne, ci si chiede allora? Coll'anarchismo, come si dice in un'altra discussione? O col comunismo "vero"? E' ancora possibile sperare in un sistema in cui la proprieta' delle aziende sia collettiva e non privata? E' possibile sperare in una societa' in cui gli individui non siano alienati, ma responsabili e integrati? Esistono ancora le classi sociali? Non lo so, pero' esistono tre miliardi di lavoratori almeno sulla terra. E se si unissero davvero internazionalmente? O son solo vecchi sogni ed utopie? |
31-05-2008, 08.16.58 | #8 | |
Ospite abituale
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Citazione:
Se per un solo istante ci fermiamo a riflettere seriamente, con mente aperta, ci renderemo subito conto che non esiste niente in questa globalizzazione, comunismo, capitalismo e quant'altro un intervento esterno ma semplicemente la creatività dell'uomo stesso. Basta che più individui condividano lo stesso scopo, la stessa idea, lavorino per lo stesso programma. La maggior parte degli esseri umani segue come schiavetti o ebeti volontà e idee di pochi e questo ha creato questo mondo. Come possono mille schiavi essere tenuti sotto controllo da una manciata di uomini? se non uno solo? hanno paura, restano singoli, e da solo nessun può fare molto. Le religioni da sempre si danno da fare per mantenere il gregge sottomesso al lupo, e gli individui sin dalla nascita addestrati ad essere ottimi dipendenti del sistema. Visto che oggi le possibilità di comunicazione e conoscenza che tutti o quasi possono utilizzare e che le prospettive sono catastrofiche da qualsiasi parte vengano prese, sarebbe opportuno cominciare a guardare ad un'altro tipo di vita, di società, di prospettiva. Insieme agli altri il singolo fa sempre la differenza. I tempi stanno maturando in fretta, e penso che sarà molto più semplice per individui che la pensano allo stesso modo mettersi insieme e fare la differenza. Ma per costruire una casa dobbiamo già avere in mente un buon progetto. Ciao mary |
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02-06-2008, 18.06.46 | #9 |
Ospite abituale
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Riferimento: Tremonti e la globalizzazione
Usare la globalizzazione per sostenere il nazionalismo. Mhmmm
Solo una piccola informazione che prendo da un documentario tedesco (www.essen-global.de). I prodotti alimentari globalizzati riempioni i mercati africani. In Senegal per esempio costano 1/3 dei prodotti locali. Allora succede, che non potendo vivere del loro lavoro a casa loro i senegalesi vengono da noi. Tremonti ha ragione, bisogna trovare soluzioni nuove. Mi andrebbe benissimo se trovasse soluzioni che permettessero agli agricoltori senegalesi di vivere a casa loro. Ne avete altre? |