Ospite abituale
Data registrazione: 24-04-2004
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Anche coloro che rimangono solo per breve nell'ombra dello stesso albero o si incontrano una volta sola alla stessa fontana provano una certa tristezza a ripartire. Tali incontri, sono riflessi ed echi istantanei di esistenze passate. Ma lei, cui vita negli ultimi tre anni si era fatta tutt'una con quella del principe, provava un dispiacere ben più profondo.
Tuttavia si rese conto, nel suo dolore e rammarico, e con gli occhi appanati dalle lacrime, che erano inutili. Sapeva che doveva andarsene e allora lasciò il palazzo. Ma prima di abbandorare le sue stanze, vagò in loro, tra i tanti ricordi di quel qualcosa, oramai perduto per lei. Infine scrisse alcuni versi sulla parete.
Moeizuru
karuru mo onaji
nobe no kusa.
Izure ka aki ni
awade hatsubeki.
Le erbe, fresche o secche,
sono ugualmente
piante del campo.
Entrambe sono destinate
ad andare incontro all'autunno.
Allora, salì nella carozza, e tornò a casa da sua madre, dove, una volta entrata, si arrese alle lacrime. Vedendola in questo stato, madre e sorella la pregharono e la supplicharono, facendole domande a cui non rispondeva quando ottenerò, da sua domestica, una confessione di quanto era accaduto.
Come conseguenza delle circostanze cambiate, le entrate mensili di riso e di denaro cessarono. Ora toccava ai famigliari di Hotoke ad assaggiare la beatitudine della prosperità.
Presto si sparserò le voci nella capitale, e sia i padroni che il popolo, increduli del fatto che Giô fosse stata mandata via dal palazzo, decisero di chiederla un'esibizione di danza, tutta per loro. Alcuni mandarono lettere, altri messaggeri, ma Giô, non avendo più nè cuore nè volontà per ulteriori applausi, li respinse tutti. Legata e arresasi nella rete dei tristi ricordi, continuava a versare le sue lacrime infelici.
L'anno trascorse. Ma la primavera seguente, il principe mandò un messaggero per sentire come stavano lei e i suoi affari, insieme a un invito di venire a cantare l'Imayo e a danzare come solo lei sapeva fare, per rallegrare Hotoke che sembrava sentirsi da sola.
Giô respinse anche questo di inviti scoppiando di nuovo in lacrime per la nuova ferita inflitta.
Non trovando alcuna risposta, il principe Kiyomori pregò il messaggero di ritornare con seguenti parole: "perchè Giô non lascia sapere delle sue intenzioni? Se rifiuta di venire, lascia che dia almeno una spiegazione del motivo. Ho qualcosa in mente per lei." Sottolineando al messaggero di annunciarle questo usando l'autorità impersonale del titolo sacerdotale del principe. Il messaggio quindi, conteneva una sorta di minaccia. "Avere qualcosa in mente per lei" significava che intendeva un certa forma di punizione.
Sua madre, sul sentire questo, si impanicò: "perchè non rispondi, anche se vai o non vai? Perchè non vuoi darmi retta?"
"Se pensassi di andarci," si sentivano accendere le parole di Giô "allora risponderei. Ma siccome non ci andrò di certo, non c'è risposta. Il suo messaggio significa senza dubbio che, se non ci vado, mi caccierà dalla capitale oppure mi condannerà alla morte. Oltre a queste due possibilità non ho niente di cui temere. In caso mi cacciasse dalla città non soffrirei nuovamente per essere messa su tale via. Ed anche se terminasse la mia vita, perchè dovrei addolorarmi per essere stata liberata dal mio corpo? Dopotutto, sono stata rifiutata da lui, perchè mai dovrei vedere ancora la sua faccia?"
Trovandola ferma nel suo silenzio, la madre pianse insieme a Giô.
"devi ricordarti," aggiunse "che i sudditi del regno non possono disobbedire agli ordini del principe. Ma oltre a queste leggi esistono leggi che ci controllano sin dalle esistenze precedenti."
"I rapporti fra l'uomo e la donna non cominciano solo nella vita che stiamo vivendo ora. Seppur alcuni si impegno in unioni per migliaia e migliaia di anni, ci sono altri che si separano subito."
"E ancora; inizialmente l'unione era prevista per essere breve, ma delle volte dura per tutta la vita. La cosa più incerta nel mondo è il rapporto fra l'uomo e la donna."
"Allora anche, i favori che hai ricevuto durante questi ultimi tre anni, sono stati così grandi che avrebberò dovuto soddisfarti."
"E se sarà, che dopo questa convocazione ti rifiuti di andare, non è ancora detto che sarai condannata alla morte, ma è certo che verrai cacciata dalla capitale. Allora, anche se fuori dalla città, tu e tua sorella siete entrambe giovani e potete trovare degli alloggi, per quanto stretti, fra le roccie e gli alberi nel profondo del paese. Ma io? Io sono troppo vecchia per andare a vivere in ambienti estranei. E questo pensiero mi rattrista profondamente. Ti chiedo soltanto di compiere un atto di solidarietà e pietà per questo mondo permettendo che finisca la mia vita in questa città."
A sentire queste parole, incapace di opporsi all'appello di sua madre, Giô si alzò e con profonda sofferenza che traspirava dai suoi occhi, si preparò per andare.
Come sostegno nel viaggio, partì con la sorella Gijo ed altre due ragazze Shirabyoshi. Le quattro in carrozza si diresserò al palazzo
Al suo arrivo venne condotta, non nel posto che precedentemente era il suo, ma in uno più giù, lontano nella parte inferiore del corridoio. "Ahimè," pensò tra sè e sè, "perchè mai? Anche se non ho alcuna colpa, ma prima vengo allontanata ed ora devo pattire queste ulteriori umiliazioni." Temeva di mostrarsi sofferente in compagnia, allora alzò le maniche davanti al viso per nascondere le lacrime che faticava a trattenere.
Ma Hotoke che aveva visto tutto, piena di compassione per tale tristezza, si volse al principe: "è Giô," gli disse "se soltanto non la aveste mandata via......La prego, la faccia chiamare qui. O, se no, mi mandi via me, ed io ci andrò." Ma il principe Kiyomori rifiutò, come al solito, di accordare l'ultima richiesta, facendole presente l'inutilità delle sue suppliche. Hotoke abbandonò il corridoio.
Il principe allora, lasciò trascorrere del tempo, prima di degnarsi di concedere a Giô l'udienza. "E come sta Giô?" la domandò, "e come va la vita da quando.....? Hotoke sembra sentirsi sola, ti prego, confortala con una canzone Imayo e una danza." con un tono crudele per rinfacciarle l'assenza di Hotoke.
"Ormai che ho obbedito di venire qui," pensava Giô tristemente, "non disobbedirò quest'ultima richiesta." Raccogliendo tutte la sue forze per trattenere le lacrime cantò questo Imayo:
"il signore benedetto che una volta portava l'argilla mortale,
mi ha promesso di lasciarmi unire a lui un giorno
quando tutte cercavano di diventare la sposa del suo spirito.
C'è dell'amarezza a trovarsi lasciati fuori"
Cantò due volte la canzone, e non più in grado di nascondere il suo dispiacere, tutti i presenti in sala; principi, cortigiani, i più alti nobili e Samurai si comosserò fino alle lacrime. Anche il principe stesso riconobbe il suo lamento: "Cantato meravigliosamente" dichiarò "abbiamo capito anche il messaggio interiore della tua canzone. Ora, vorrei vederti danzare ma, " aggiunse " ho una facenda da sbrigare che mi attende. Con crudeltà nella voce concluse "Vieni più spesso a cantare e a danzare, Hotoke si divertirebbe." Giô, incapace di rispondere, si ritirò tutta triste dalla sala.
Tornata a casa sua, si buttò giù, riflettendo ad alta voce: "avevo deciso di non andarci, ma per non disobbedire alla volontà di mia madre, sono andata a soffrire nell'agonia. Resistere due volte a questo tormento è veramente amareggiante. E se rimango in questo mondo potrei essere sottoposta di nuovo, alla stessa tortura. Non ce la faccio più ad andare avanti così. Oggi stesso devo liberarmi da questo corpo."
Gijo e sua madre sentirono le parole che mormorò. "Sorella," disse la figlia più giovane, "Se lasciate questo mondo, verrò con voi." Con dispiacere più profondo per cosa aveva sentito, la madre si rammaricò: "Ho sbagliato. Il mio rimorso è profondo per averti pregato di andare, senza considerare la sofferenza che avresti dovuto affrontare. Se dovesti toglierti la vita, Gijo diceva che si sarebbe unita a te, e se le mie due giovani figlie muoino prima di me, che senso avranno questi pochi e tristi anni rimasti alla vostra madre? No, Non rimarrei. Mi toglierei la vita con voi."
Ma impedire ad una madre di terminare i suoi giorni come prestabilito dalla natura era uno dei cinque grandi peccati.
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