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IL NOME DELLA ROSA (umilissima richiesta d'aiuto mossa da un ragazzo in crisi)
Quello che posso dire di per certo, appena aver terminato quell'esametro, nonché il mio primo libro di Eco, è d'aver provato un fortissimo senso di perplessità, che m'ha portato a chiedere aiuto alla mia amica bibliotecaria, che m'ha confuso ancor di più: probabilmente perché non solum già le mie idee sul romanzo, pardon, le mie idee sul libro erano confuse, ma anche perché ho una vaghissima conoscenza riguardo il nominalismo che Martina m'ha brevemente illustrato (e, per estensione, riguardo la filosofia in generale (evviva il mio competentissimo prof)), che il mio Zingarelli 1989 definisce "dottrina filosofica secondo la quale soltanto le individualità costituiscono delle realtà concrete, mentre le idee generali, denotanti classi d'individui, non sono altro che nomi cui non corrisponde alcuna realtà".
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Ci trovo un'analogia troppo vaga, che comunque non mi spiego esattamente; sed sentio di dovermi muovere in quella direzione: infatti anche Abelardo, a suggello dell'ipotesi che credo d'essermi seminato in testa (non ancora nella sua completezza, per raggiungere la fine ho bisogno di molto aiuto), dice nulla rosa est appunto per illustrare come il linguaggio (e quindi i nomi?) possa rappresentare cose o idee sia irreali e persesi nel tempo. Ma che c'entra con tutto il romanzo?
Ho colto diversi temi: nell'ultimo capitolo in particolare, ove l'altisonantissima ecpirosi, rappresentazione dell'Apocalisse, distrugge il più ampio mondo appartenente alla cristianità, Guglielmo riconosce in Jorge, per eccesso d'impegno verso la religione, l'Anticristo in persona: ho pensato volesse dire che ogni forma d'estremismo comporta spesso risultati opposti a quelli ambiti.
Non credo sia il tema principale, anche se m'è parso il più presente in tutta la durata del libro: Guglielmo avanza sempre a spada tratta contro l'intolleranza ed il tappar le ali agli homines, proponendo la ragione, unita ad atteggiamenti di tolleranza e scienza, soprattutto nel senso latino, come metodi primi garanti di un'ideale ente per la comunità.
Un altro tema dominante, ma più nascosto, è quello del labirinto (non o se l'avete pensato anche voi, ma m'è sembrato che il libro abbia una struttura simile a quella della biblioteca, con la differenza che è possibile guadagnare piuttosto facilmente l'uscita dalla biblioteca): non c'è una storia di per sé, mi spiego: il libro inizia fingendosi un giallo ma, proseguendo, ci si accorge che di giallo ha ben poco: a parte il fatto che Guglielmo, lo pseudo-investigatore, viene sconfitto dall'antagonista, per il resto che si scopre? Nulla. Così Eco ha unito al suo incipit un sacco d'altre storie, costituenti le diverse strade da percorrere nel labrinto del suo libro, forse infinito, o meglio, limitatamente a me ancora infinito poiché ancora non m'è riuscito di guadagnare l'uscita.
Così, tante storie nel libro, o forse le sole storie non riconducibili a congetture, le discussioni teologiche, per intenderci, non credo siano altro che un modo per ingannare il lettore ed indurlo a perdersi nei meandri del labirinto. Ma neanche, perché tutte le storie sono tra loro collegabili, quindi devono servire a qualcosa. Ad ogni modo credo sia per questo che il libro piaccia molto ai lettori non esigenti: seguono la più banale tra le strade da percorrere, illudendosi d'aver trovata un'uscita.
Ecco anche il spiegato il mio "pardon" dopo aver scritto "romanzo": a parte il fatto che la dicitura è più che giustamente assente dalla prima di copertina, voi come lo definireste? Io non romanzo, di sicuro. Nemmeno giallo (che è fiction) per i motivi di prima. Forse a metà tra un romanzo storico e spy fiction. Racconta il passato, ma non alla stregua di Tolkien, ciclo bretone, knights fighting against dragons often to save a princess (e, in questo senso, potrebbe starci anche la Gothik novel con i suoi Brontë, Shelley, e perché no Wilde con Dorian Gray, etc., sì... Gothik novel che poi novel non è ma s'avvicina molto più al romanzo cortese, appunto), né lo racconta in modo enciclopedico. Mi sembra racconti il Medioevo, niente di più, quasi alla stregua di come Manzoni racconti il Seicento. Ho colto lo stesso modo di attaccare celatamente la società in cui gli autori vivvevano, almeno, m'è parso di coglierlo. Chissà.
Sarei felicissimo di chiarire, se non tutte, almeno un po' delle mie perplessità raccogliendo le vostre opinioni sul senso sia filosofico sia storico sia teologico, tutto quel che sapete, insomma. Sono assetatissimo di sapere, anche perché, finché non sarò soddisfatto del significato di questa mia prima lettura echiana, non potrò leggere alcuna sua altra opera. Ciao
Gould
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