Elizabeth viveva, dunque, sotto la tirannia paterna, in una strana dimora fiabesca, fra pareti silenziose, in una stanza buia dalle imposte ben serrate, tra medicine e libri impolverati, sostenuta nelle sue lunghe convalescenze unicamente dall’appassionato bisogno di leggere e studiare, approfondendo soprattutto lo studio dei grandi tragici greci (in particolare Euripide, “ Il nostro Euripide, l'umano, dalle vive e calde lacrime, che se tratta di cose comuni, le inalza fino alle sfere!"), che poi confluì nello splendido saggio "I poeti greci cristiani", studio curiosamente incoraggiato e consentito dall’austero padre, e con la sola compagnia dell’inseparabile cagnolino Flush
Commoventi le strofe dedicate da Elizabeth al suo compagno di sventura:
"Di te si dirà: Questo can vegliava giorno e notte accanto a un letto, in una camera chiusa, dove mai raggio di sole non rompeva l'oscurità intorno alla malata, all'afflitta. Le rose colte per metter nei vasi, in quella camera morivano visibilmente, prive di luce e di brezza: questo cane solo aspettava e vegliava, sapendo che quando manca la luce, rimane a splender l'amore. Altri cani fra le rugiade ed il timo cacciavan le lepri, inseguendole per prati e per fratte, nell'aria libera al sole... questo cane solo si distendeva, si strisciava presso una languida gota, convivendo nel buio. Altri cani, franchi e allegri animali, saltavano al suono acuto del fischio che gli raccoglie nel bosco... questo cane solo vigilava in attenzione di una parola mormorata appena, o di un più forte sospiro. E se due mie lacrime scendevano improvvise sui suoi lisci orecchi, se il mio respiro si faceva a un tratto convulso, egli saltava su in fretta e con ansia, facendomi le feste, carezzandomi, respirando affanoso nella sua tenera commozione.
|