Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
La donna e la rivoluzione sessuale
Ottobre 2019
Si parla poco e si conosce poco o nulla della donna, delle capacità del suo cervello e della sua evoluzione nel tempo. Finora, soltanto le neuroscienze, dopo i contributi della psicoanalisi, stanno cercando di fare luce sul mondo ancora sconosciuto e misterioso delle donne, concorrendo ad eliminare teorie prive di validità scientifica, stereotipi, pregiudizi e ingiustizie di cui le donne sono state vittime nel corso dei secoli.
Negli ultimi anni, sono state compiute straordinarie scoperte neuro scientifiche sul cervello femminile.
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Il cervello della donna è una struttura unica. Non esiste un cervello unisex. Non esistono due cervelli uguali.
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La struttura e il funzionamento del cervello di uomini e donne sono diversi fin dal momento della nascita.
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Le caratteristiche neurobiologiche della donna - il ciclo mestruale, la gravidanza, il parto l’allattamento, la cura dei figli - influiscono sul suo sviluppo cerebrale, mentale, comportamentale e sociale.
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Le prime differenze del cervello si manifestano già dall’ottava settimana di sviluppo fetale.
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Le donne tendono a sviluppare qualità cerebrali uniche, come una maggiore agilità verbale; capacità di stabilire forti legami affettivi e di amicizia; capacità di decifrare emozioni e stati d’animo dalle espressioni facciali e dal tono della voce; capacità di appianare conflitti e disarmonie.
Alla comprensione del cervello umano ha contribuito la ricerca sugli animali, quando si è scoperto che il cervello animale comincia a svilupparsi fin dall’utero in modo diverso a seconda del genere del nascituro.
Sono stati poi pubblicati molti libri sul femminismo e la rivoluzione sessuale. Uno dei più interessanti è il volume scritto da Lucetta Scaraffia che s’intitola “Storia della rivoluzione sessuale. Il corpo delle donne tra eros e pudore” (Editore Marsilio, 2019). È una lettura finalmente critica sui conflitti, sui pregiudizi ideologici e sugli effetti della cosiddetta liberazione sessuale.
Storicamente, la donna è stata considerata sul piano ontologico, mentale, emotivo e sociale “inferiore” all’uomo, in una condizione di sottomissione e dipendenza psicologica, a partire dalla cultura greca con Platone e Aristotele a quella romana e alla teologia medioevale, e così proseguendo nei secoli. Si è discusso addirittura se le donne avessero un’anima. Una “segregazione gerarchica” secondo Margaret Rossiter. Che talora si conclude nella violenza e nel femminicidio. Un fenomeno allarmante che evoca tempi bui e infausti e che accende i suoi riflettori sulla condizione delle donne. Le quali vivono una situazione di crisi tra progressi e regressi.
Oggi, la donna sta subendo una forte svalutazione, soprattutto con il noleggio dell’utero e l’impianto di gameti estranei alla gestante.
Quello di vendere l’utero, di troncare ogni legame madre-figlio, è un atto di violenza, una crudeltà, che genera traumi e gravi, irreversibili danni biologici, psicologici, mentali e sociali sia nel bambino che nella madre.
Studiose e autorevoli esperte nel campo del femminismo hanno parlato di “eclissi, scomparsa della madre” (Maria Luisa Boccia), “fine della madre” (Lucetta Scaraffia), “della donna che non esiste” (Nicla Vassallo).
Affiora una umanità sempre meno umana, attraversata da forti cambiamenti socio-culturali che portano la donna a perdere le sue caratteristiche femminili, avviando un processo di mascolinizzazione della donna e femminilizzazione del maschio. La dimensione sacrale, simbolica, metafisica ed universale della donna viene ridotta a utero, corpo, fisico, oggetto di piacere. È un fenomeno - rileva Lucetta Scaraffia - aggravato dal fatto che quelle madri stanno diventando sempre “più simili agli uomini”, contendendo loro il potere, senza rendersi conto che sono le donne a “perdere il potere”. Le donne che hanno conquistato il potere - per queste studiose - lo gestiscono “come gli uomini, forse anche peggio”. Oggi, la donna in carriera si “arrabbia” se le si dice femminista. Sta di fatto che come madre, figlia, sorella ogni donna è “insostituibile”, mentre come insegnante, commerciante, medico, essa può essere “sostituita”.
Il femminismo e la rivoluzione sessuale sembrano aver portato le donne ad essere “soltanto oggetti in modo diverso”. Le grandi battaglie per la liberazione femminile - afferma una studiosa francese, Thérèse Hargot, insegnante e femminista - sono state una “rivoluzione fallita”, una “miseria sessuale” caratterizzata dall’esplosione di malattie trasmissibili sessualmente, in cui la donna – aggiunge - diventa “merce di scambio, di mercato, un oggetto in vendita, una cavia, una zoccola”.
È stata una rivoluzione fondata su teorie pseudoscientifiche false, su fragilità etiche, immaturità psicologica, trascinando nel suo fallimento la specificità femminile e la stessa maternità.
Le ragazze di oggi si presentano come “puro apparire”, praticano la promiscuità come se fosse “bere un bicchiere d’acqua”.
La donna è “sola” dentro.
Prevalgono la “tirannia” del corpo e della bellezza, mettersi in “mostra”, c’è l’esibizione del corpo femminile. Sono le nuove “schiavitù” femminili.
Il femminismo non ha “liberato” la donna (Susanna Tamaro). Le ragazze crescono in modo permissivo, si vestono come “cocotte”, rischiano l’anoressia.
La trasgressione è un merito, le parolacce, la volgarità sono una esibizione.
Anche questo è libero arbitrio.
È libertà di scegliere il male.
Nell’età postmoderna - spiega Bauman - l’erotismo si è svincolato sia dalla funzione riproduttiva come dall’amore, sin qui “cardine” dell’esperienza umana. La ricerca del piacere sessuale è diventata una “norma culturale”.
Alcune ricerche hanno mostrato l’insorgere di una nuova sindrome: la “sex addiction epidemic”, l’epidemia di dipendenza dal sesso. Un nuovo disturbo psichiatrico, una nuova “schiavitù” che colpisce nove milioni di americani, con quaranta milioni di soggetti che entrano ogni giorno in siti hard.
La rivoluzione sessuale ha poi contribuito allo sviluppo economico della pornografia e del mercato.
Il sesso postmoderno si traduce in “nevrosi psichica”, generando ansia e depressione e colpendo soprattutto gli adolescenti. Il 94 per cento delle ragazze fra i 14 e i 16 anni ha già avuto un rapporto sessuale.
È il sintomo di una “ipersessualizzazione delle bambine, le nuove “lolite” di otto anni truccate e vestite come “donne sexy”. Il sesso, per Lucetta Scaraffia, sembra essere diventato per tutti “l’unica e vera ossessione.
La promessa di felicità per tutti, implicita nell’utopia che ha mosso la rivoluzione sessuale, non poteva trovare - aggiunge Scaraffia - “smentita più clamorosa”. Disegnando con ciò “il fallimento della cosiddetta rivoluzione sessuale”.
Si parla di libertà, di emancipazione, di riscatto, di progresso. In realtà, non è libertà, ma una “gabbia d'acciaio” (Weber). È strumentalizzazione della donna.
È una pseudo libertà che genera una condizione tragica e alienante nella donna.
È la “distruzione della libertà” in nome della libertà (G. Kuby).
La rivoluzione sessuale pertanto non produce - come concorda Eva Illonz - una maggiore felicità, ma determina un senso di assuefazione e insoddisfazione e numerosi rischi psichiatrici, comportamentali, stress, fuga dalla realtà e dalla vita, ansia da prestazione.
Una società malata di sesso. C’è il tramonto dell’eros e il trionfo del porno. Un pansessualismo culturale che “imprigiona” il cervello e la mente, creando “disgusto e ripugnanza”. Insomma, una sorta di rigetto.
Un disperato nichilismo.
Oggi, molte donne, ragazze giovani ed avvenenti, abituate a vivere avventure sessuali spericolate e superficiali stanno prendendo coscienza di questa condizione e trovano interesse, gratificazione e benessere nell’amicizia, nell’arte, nella letteratura e in altre attività arricchenti.
Lo ribadiamo: autorevoli studiose (femministe) parlano concordemente di “fallimento” sia del femminismo sia della rivoluzione sessuale.
Nel suo vasto e documentato saggio, Gabriele Kuby sostiene che la sessualizzazione all’inizio fu vissuta come “un ideale rivoluzionario” dai giovani sessantottini di sinistra, per “dilagare come moda” nell’intento di “sovvertire” la morale cristiana e “scardinare” la famiglia, in nome dell’assoluta libertà, del progresso e della tolleranza. Determinando una condizione che “erotizza” tutti i rapporti sociali e portando a “giustificare” tutte le aberrazioni morali in nome della libertà. Una libertà che si trasforma in arbitrio, schiavitù, sottomissione, dipendenza, mercificazione, prostituzione, pornografia, divorzio, aborto, perversioni.
È la banalizzazione del sesso e del senso dell’esistenza, che crea - come rileva Therese Hargot, studiosa e femminista - stati ansiogeni e discriminazioni sessuali nelle donne, soprattutto nelle ragazze. Siamo passati da una norma che vietava di avere rapporti sessuali prima del matrimonio ad un’altra norma per cui bisogna avere tanti rapporti prima di sposarsi.
Invero, la libertà (sessuale) è maturità, presa di coscienza, capacità di amare ed essere amati.
L’ipersessualità precoce e la dipendenza dei ragazzi alla pornografia, per l’Hargot, non sono scelte libere, sono sintomi di “una falsa libertà (sessuale), il risultato di un condizionamento sociale, una imposizione. La donna diventa così soltanto oggetto di piacere, una condizione che offende la dignità della persona, gli affetti, i sentimenti.
Oggi, il femminismo è scomparso. La maggior parte degli autori prende atto del suo “fallimento culturale”. Uno dei suoi errori è stato quello di non essere riuscito a modificare il pensiero maschilista. Uno dei problemi maggiori per l’affermarsi di un vero “pensiero paritario” riguarda la donna stessa, incapace di “pensarsi”, “poco incline” a quella vicinanza presupposto di “qualsiasi affermazione sia personale che di gruppo”.
Il femminismo si è costruito nella valorizzazione di un modello maschile. È un femminismo che si “rivolta” contro la stessa donna, che spesso trasforma il proprio corpo in un “oggetto”.
Allo stato della ricerca, oggi non tutti hanno idee chiare su cosa voglia dire, o se abbia ancora senso, definirsi “femminile”. L’evoluzione “social” del femminismo, per Nancy Fraser, studiosa e femminista americana, ha portato al crollo di questo movimento. “Ci siamo tradite - ha detto la Fraser - e non ce ne siamo neppure accorte”. “Siamo noi stesse a rinchiuderci in una serie di stereotipi, a innalzare la bandiera del potere alle donne come delle Spice Girls vestite in paillettes. Ci definiamo in qualcosa di diverso, ‘ministra’ non ‘ministro’ e ci diciamo più sensibili di qualsiasi uomo”.
Sindaca, ministra, assessora, avvocata, ingegnera sono in realtà forme linguistiche non corrette, sgraziate, che danneggiano la bellezza e il suono della lingua italiana. È un insulto al buon senso e alla grammatica. Sono una moda, una forzatura ideologica, sintomo del degrado umano, sociale e culturale della società postmoderna, un postmodernismo che rifiuta certezze, valori e principi che da sempre hanno contribuito a formare la civiltà occidentale.
Questi nomi femminili sono l’espressione, secondo autorevoli studiosi, di “pseudo battaglie ideologiche condotte da quelle donne le quali, conquistando nuovi spazi in politica, non hanno idee, pensieri e strategie”, ovvero non mostrano di avere un pensiero forte da imporre e pensano di risolvere i complessi problemi della donna e dell’umanità con queste insulse e pochezze grammaticali prive di consistenze e solidità culturale e scientifica, sociale e morale. Sono forzature - è stato detto - portate avanti da “donne frustrate e ossessionate dal sesso”, spesso sintomi legati a problemi inconsci e a disturbi della personalità.
Il femminismo - e concludiamo - dovrebbe vivere della sua definizione più semplice: uguaglianza tra i due sessi. Il resto è solo “tradimento” e “negazione” nei confronti di ogni donna.
Guido Brunetti
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