Le Finestre dell'Anima
di Guido Brunetti indice articoli
Cinema, creatività e cervello
Novembre 2015
Gli ultimi anni del XX secolo sono stati caratterizzati dal grande progresso delle neuroscienze, destinato a “sconvolgere” non soltanto i metodi di diagnosi in medicina e psichiatria, ma anche le nostre millenarie concezioni, a partire dai sistemi filosofici. Questo progresso è stato reso possibile soprattutto dall’uso di metodiche di brain imaging, le quali hanno permesso lo studio non invasivo del cervello e della mente su basi nuove.
La nuova scienza del cervello ha iniziato a investigare temi fondamentali, come l’intersoggettività, il sé, l’etica, le credenze, l’empatia, l’estetica e altri ambiti di studio. Oggi, le neuroscienze possono fornire un notevole apporto alla ricerca dell’espressività umana e della sua esperienza estetica.
Cervello, creatività, arte, bellezza, musica, poesia, film sono un complesso e difficile intreccio di fenomeni ancora carichi di mistero. Punto di partenza è considerare l’arte come una manifestazione del cervello e della mente. E’ solo analizzando il funzionamento del cervello che noi possiamo trovare alla fine risposte congruenti.
Come nasce la creatività? Perché l’uomo crea l’arte? Sono temi che i filosofi hanno cercato di affrontare fin dall’antichità. Diversamente dai filosofi, oggi i neuro scienziati sono interessati a capire l’origine e la natura della creatività in maniera diretta ed empirica. Il crescente interesse in questo campo ha dato origine ad una nuova disciplina che Semir Zeki ha chiamato neuroestetica. La neuro estetica è un nuovo campo di ricerca che tenta di coniugare lo studio dell’arte con le neuroscienze.
L’arte rappresenta un insieme di impulsi inconsci e ci dà alcune tra le esperienze più profonde ed emotivamente coinvolgenti accessibili agli esseri umani (Dutton).
Alcune ricerche hanno utilizzato l’arte per comprendere il funzionamento del cervello, mentre altri studi attraverso le tecniche di brain imaging hanno esaminato il concetto di “piacere estetico” e di “bello”.
A partire da Riegl e continuando con Ramachandran, Kris e Gombrich, oggi sappiamo che le immagini generate dall’artista vengono “ricreate” nel nostro cervello. Un’opera ci può trasportare attraverso un “continuum” di emozioni diverse, che si estendono dal piacere erotico al dolore, dal terrore all’angoscia, dalla paura della morte alla speranza della nascita.
Un prezioso contributo alla comprensione dell’arte, soprattutto dell’arte cinematografica, è quello fornito da un neuro scienziato, Vittorio Gallese, e da uno studioso del cinema, Miche Guerra, con il volume “Lo schermo empatico. Cinema e neuroscienze” (Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, pagine 318, € 25).
Come mostrano le scoperte di Panksepp e Damasio, alla base dell’arte ci sono le emozioni. Il ruolo svolto dalla dimensione emotiva e da alcuni sistemi sensori-motori riveste un importante significato nella realizzazione e nella comprensione dell’attività creativa. Gli esperimenti neurobiologici hanno cercato di individuare i “correlati neurali” dell’arte e del bello, mostrando che arte e bellezza sono “radicate” nel cervello. Noi percepiamo, sentiamo e avvertiamo l’esperienza estetica.
Il successo degli esperimenti condotti con le tecniche di neuroimaging stanno gettando nuova luce su quello che accade nel cervello quando un soggetto fa esperienza di un’attività artistica. Questa - afferma Zeki - è un concetto “cerebrale ereditario”, una struttura che presenta un rilievo biologicamente oggettivo. Da queste nuove acquisizioni è sorta l’idea che l’arte è un’attività neurologica che nasce dalle aree primordiali e inferiori del cervello (Panksepp).
Affrontare l’arte, e dunque il cinema, con gli strumenti delle neuroscienze significa contribuire ad “arricchire” la nostra comprensione dei meccanismi che guidano la visione del film, il coinvolgimento corporeo dello spettatore e i sistemi empatici con i suoi protagonisti e le loro vicende.
L’ipotesi avanzata nell’opera in questione è che per comprendere i molteplici e complessi sistemi neurali coinvolti nel film occorra fare riferimento a un nuovo modello teorico: “la simulazione incarnata” (embodied simulation). E’ il tentativo di imitare le caratteristiche di una situazione, impiegando mezzi o strategie analoghe, con il fine di acquisire una migliore comprensione “dall’interno”.
Il primo ad impiegare il concetto di simulazione è stato il neuro scienziato francese, M. Jeannerod, il quale ha proposto che l’immaginazione motoria potesse essere considerata come una forma di simulazione. Immaginare un’azione equivale a simulare l’esecuzione. Il modello della simulazione incarnata costituirebbe un meccanismo cerebrale rilevante sia per l’attività cognitiva che per altri aspetti dell’intersoggettività. Tale ipotesi poi serve a chiarire elementi della relazione con le immagini e con i film in rapporto alla costruzione del film, alla sua ricezione e alla sua specificità estetica.
La possibilità di entrare in relazione con gli altri e con il lavoro creativo è dovuta in particolare all’attività dei neuroni specchio e al fenomeno dell’empatia. I neuroni specchio sono una popolazione di neuroni, i quali si attivano sia quando una persona compie un’azione (afferrare un oggetto) sia nel momento in cui osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto. Questi neuroni sono stati individuati nelle cortecce premotorie e parietali del macaco e successivamente negli uccelli e nell’uomo nel 1992 da un’équipe di cui faceva parte anche Gallese.
La struttura funzionale della simulazione incarnata, che rappresenta una caratteristica di base del funzionamento del cervello, è implicata anche con l’empatia. La nozione di empatia viene introdotta nella seconda metà dell’Ottocento in Germania. Secondo il filosofo tedesco Vischer, la fruizione estetica dell’immagine in generale e dell’opera d’arte in particolare sottintende un “coinvolgimento empatico” che si configurerebbe in una serie di “reazioni fisiche nel corpo dell’ osservatore”. Il concetto di empatia riguarda una “manifestazione emotiva” che concerne il nostro profondo rapporto con gli altri e con il mondo. E’ un sentire “dentro” gli stati soggettivi e privati di un’altra persona, è comprendere le intenzioni altrui, la realtà, e dunque l’arte, il bello, il film.
Guido Brunetti
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