FILOSOFIA QUANTISTICA e Spiritualità
La chiave per accedere ai segreti e all’essenza dell’essere. Di Ulrich Warnke
Traduzione a cura di Corrado S. Magro
In esclusiva assoluta per l'Italia, per gentile concessione dell’autore e dell’editrice Scorpio la traduzione del libro di Ulrich Warnke: Quantenphilosophie und Spiritualität.
Capitolo 7 - Aprile 2015
L'interfaccia tra mente, anima e corpo materiale
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L’IO iniziato, L’IO che sa, non è nato e non muore. È scaturito dal nulla. Non è stato partorito; eterno, continuo e antico, non può essere annullato quando viene eliminato il corpo.
(Katha-Upanishad 2.28 - Nikhilananda 1963)
Tra le funzioni dell’essere distinguiamo in generale quelle del corpo che a volte chiamiamo materia, quelle dello spirito che chiamiamo anche intelletto e quelle dell’anima. Si tratta di concetti di uso comune da secoli e poiché più in là tratteremo “l’introduzione all’alchimia per il raggiungimento di una certa onnipotenza”, per meglio comprendere ci soffermiamo già ora su questi concetti. In passato abbiamo definito cos’è la materia. I concetti di intelletto o spirito e anima sono impiegati in modi molto diversi, e si rivela necessario definirli nuovamente nel nostro contesto.
Fino ad ora abbiamo parlato di cosciente/subcosciente e della relativa funzione di comunicazione interposta. Inoltre abbiamo collegato quasi sempre consapevolezza conscia alla saggezza (intelletto) e riferito l’inconscia alle emozioni. Ora vogliamo provare a connettere i concetti “spirito” e “anima” con consapevolezza conscia da un lato e con quella inconscia da un altro lato. Spirito/anima sono nell’essenza dell’individuo l’unità complementare identica a consapevolezza conscia/inconscia.
Il termine “spirito” (o intelletto) presente anche nella espressione biblica di “Spirito Santo”, fa parte di re-spirare (nota del traduttore: per analogia ricordiamo l’espressione del nuovo testamento “e furono ripieni di spirito santo”, quando si racconta che l’alito dello spirito pervase l’intelletto degli apostoli permettendogli di esprimersi in piùlingue). “Respiro, alito di vento” indicava in passato anche animazione quale altro significato di spirito. È proprio così che viene interpretato il termine ebraico rûah del Tanach, la bibbia giudaica, tradotto con “spirito” e che indica anche “aria in movimento”, “vento”. Nel mondo animale, uomo compreso, rûah è il respiro che infonde vita alle creature e con ciò assicura le funzioni vitali spirituali e arbitrarie. L’origine del rûah, o come preferiamo chiamarlo, è essa stessa un’essenza spirituale, intellettuale.
Rûah corrisponde nella nostra bibbia allo “spirito divino che scivola sulle acque”, in altre parole: il nostro collegamento con il soprannaturale. Permettendoci un paragone interculturale con l’induismo, lo possiamo definire Shakti, quello che rende il divino inattivo in attivo e così conoscibile, praticabile. Shakti stesso resta però inseparabile dal Dio a cui appartiene, come Yin da Yang, come il giorno dalla notte e animus da anima (vedi archetipi di C. G. Jung).
Considerazione di valore questa che ci aiuta a dimostrare come la nostra consapevolezza conscia/inconscia, o intelletto/anima vengano retti da unità di energia estremamente piccole la cui sorgente è un campo di fondo intellettuale infinito.
Per la definizione di intelletto proviamo a facilitarci il compito riferendoci alle funzioni fisiologiche dell’individuo, sebbene non sia sufficiente. Avevamo già accennato che nel nostro cervello c’è una suddivisione funzionale con da un lato la neocorteccia, responsabile a grandi linee per ragione (ratio) e conoscenza (intelligentia) con la sua attività neuronale, e dall’altro lato il metencefalo con il sistema limbico per l’universo delle emozioni. Con capacità cognitive intellettuali dell’individuo, intendiamo il percepire, l’apprendere, come anche ricordo e immaginazione, insomma il totale delle forme di pensiero di cui la neocorteccia si rende garante.
Ambedue gli aspetti dello spirito sono chiamati pneuma (alito) e nous (saggezza) nell’antica Grecia.
Alla fine della lettura di questo capitolo constaterete che l’interpretazione di Agostino (354-430) filosofo e maestro di dottrina della chiesa, è quella che probabilmente si avvicina di più alla verità. Egli fa differenza tra intelletto (mens, animus) e anima e definisce lo spirito umano “occhio dell’anima” (oculus animae). Come ancora dice, la conoscenza della verità eterna è possibile attraverso la luce incommutabile dello spirito divino (lumens incommutabilis). Questa luce è la parte più intima dell’essere umano. La conversione dell’individuo verso il proprio se stesso più profondo è il ritorno alle sue origini effettive. Lo spirito assoluto è quindi concetto di verità e causa prima di tutto l’essere.
Ernst Hackel (1834-1919), biologo dell’evoluzione, era certo che lo spirito fosse un fenomeno scientificamente comprensibile. Sigmund Freud (1856-1919) manifestò più volte la convinzione che i processi intellettuali nel maggior numero dei casi sono processi inconsci. L’individuo non si rende conto delle paure, della rabbia e delle altre sensazioni che egli trasporta con sé in giro e alle quali “dà sfogo”.
Oggi nell’idioma usuale, l’insieme di tali sentimenti viene spesso designato con “anima”.
Democrito, vissuto tra il 460 e il 371 a.C. descrisse l’anima come un agglomerato di atomi di fuoco di formato sferico e liscio che si differenzia dagli altri atomi per la loro maggiore mobilità alla quale devono la loro forma.
Intelletto/spirito assieme all’anima costituiscono la psiche. E anche qui entrano in funzione le proprietà delle particelle fini. L’antico termine greco psyche fa parte del verbo psychein (soffiare, respirare) che all’inizio significava “alito, respiro” e quindi vita. Per Democrito gli atomi dell’anima sono distribuiti ovunque all’interno del corpo e imprimono movimento a quelli del corpo durante tutta la vita. Anche i fenomeni mentali nel loro insieme sono meccanicamente spiegabili con il movimento degli atomi dell’anima. Ed è così che p. es. questo movimento determina la salute dell’essere. Era questa la teoria di Democrito sull’anima che con Aristotele è arrivata fino a noi.
Epicuro (342/341 a.C. a 271/270 a.C.) ritenne l’anima come un corpo dentro un corpo, secondo lui quindi la psicologia apparteneva alla fisica. Per Epicuro la materia dell’anima si distingue dalla materia rozza per la sua tenue costituzione simile al soffio del vento.
Il romano epicureo Lucrezio (forse 97-55 a.C.) si addentrò più in dettaglio. Per lui l’anima era un miscuglio di atomi di calore, di aria e di vento e di un quarto tipo di atomi che permettono la trasmissione verso il raziocinio. Questi atomi, paragonati agli altri della materia, sarebbero lisci, rotondi e piccolissimi.
René Descartes (1596-1650) parte dal presupposto basato sulla sua concezione dualistica che non localizza l’anima nel corpo o in un qualsiasi luogo appartenente al mondo materiale.
Secondo la sua concezione, la comunicazione tra anima e corpo ha il suo epicentro nella ghiandola pineale. (v. Remnant 1979)
Complessivamente nelle tradizioni riguardanti anima e intelletto si parla di una sostanza che come un alito si adagia su tutto e che noi per così dire possiamo dirigere come respiro dentro di noi. Vedremo più avanti che gli argomenti considerati vengono rappresentati in modo abbastanza simile sotto il punto di vista della fisica attuale.
Se noi parliamo di uno spirito universale (assoluto) e individuale vogliamo porre alla base quanto segue:
L’informazione viene :
⟫ incorporata,
⟫ memorizzata,
⟫ valorizzata (finalizzata) intelligentemente,
⟫ collegata con senso e valore,
in un “campo”, e totalmente elaborata con una consapevolezza che permette di fare esperienza. L’intelletto riceve informazioni e le trasforma in tempo, spazio ed energia codificata.
Anima e intelletto sono in grado di liberare forze? Secondo la nostra esperienza dovremmo rispondere con un sì. Noi con la nostra volontà e le nostre emozioni, siamo in grado di influenzare la materia. Le forze però non possono sgorgare in assenza di energia alla base, ragion per cui intelletto e anima devono ricorrere a energie ben precise.
Boguslav Lipinski docente all’Università di Boston, con un dosimetro per radiazioni ionizzanti come quelli per misurare la radioattività di particelle atomiche in millesimi di REM per ora, rilevò in diverse chiese americane l’energia durante il rito religioso. I valori abituali oscillavano tra 20 e 70 mR/h. Ebbene, durante alcune preghiere recitate nel santuario di Medjugorje, per brevi momenti misurò valori di 100mila mR/h. Radiazioni talmente elevate sono per l’individuo estremamente dannose, eppure nessuno dei presenti si ammalò.
L’interpretazione di questo fenomeno fu che campi specifici di energia sono già misurabili con tali apparecchiature, ma non si tratta di normale radioattività, bensì di una forza che genera un evento a livello dell’atomo simile alla radioattività.
C’è una tale forza della consapevolezza? Se è così, quella della fede dovrebbe sviluppare una propria energia.
La tesi che ”consapevolezza fa uso di entità quantistiche”, fu enunciata già nel decennio del 1960 e da quel momento sempre perorata.
Niels Bohr disse: “Il pensiero consapevole porta con se un piccolissimo interscambio di energia ed è per questo che solo una spiegazione fisico-quantistica qualifica la descrizione della consapevolezza”. (Bohr 1958)
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