Riflessioni sull'Esoterismo
di Daniele Mansuino
Sulla scuola polinesiana del mana
Ottobre 2011
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Presso i Polinesiani, il mana di successione reale ha tanto più valore quanto più è antico il lignaggio. Ho già parlato in Tuvalu della caratteristica delle famiglie polinesiane di tramandare a memoria lunghissime genealogie: bene, la famiglia di Bill era una delle tre oggi esistenti la cui genealogia arriva fino a un’isoletta delle Samoa (anche di questa, purtroppo, non ricordo il nome) che tutte le stirpi polinesiane del Pacifico – sparse su una superficie estesa quanto l’ex-Unione Sovietica – ritengono sia la fonte del genere umano e il Centro del Mondo (una terza e più limitata forma di accedere al mana consiste nel recarsi su quell’isola e partecipare a un rito che vi viene celebrato ogni anno intorno a un certo monolite ; ma non è aperto a tutti).
Per conoscenza, le altre due famiglie altrettanto antiche sono la famiglia reale di Tonga e quella delle Hawaii, però la veridicità della linea di successione di quest’ultima è contestata dalle altre due.
Tutto questo per fornire un’idea del livello del mana che Bill mi trasmise (nonché del rispetto da cui la sua famiglia era circondata) : per stabilire un’equivalenza, bisognerebbe ipotizzare l’esistenza di un occidentale il cui albero genealogico risalga ad Adamo (che io sappia, ce l’aveva soltanto Gesù).
Se può sembrare improbabile che un quidam come il sottoscritto sia stato fatto oggetto di un simile onore, devo dire che Bill – per quanto pignolo egli fosse riguardo al rispetto della sua ortodossia – prima di me aveva già trasmesso il suo mana a un altro giovane europeo, un ragazzo inglese. Perché l’iniziazione fosse regolare, in tutti e due i casi ci adottò come figli (il che gli forniva il diritto giuridico di trasmetterci il mana), e subito dopo averlo trasmesso ci ripudiò.
Perché faceva così ? Glie lo chiesi un giorno, e mi rispose che considerava suo dovere estendere il mana anche al di là delle genti della Polinesia, perché riteneva che i tempi fossero maturi per farlo. A distanza di tanti anni, sono quasi certo che il suo comportamento fosse dettato da un non-fare, perché anch’io ne ho avviati (gli attenti lettori della mia rubrica potranno identificarli), e riconosco il loro sapore senza bisogno che qualcuno me li spieghi.
Detto questo, una cosa che non vi consiglio è andare in Nuova Zelanda per cercare un contatto diretto con la linea di Bill : quasi di certo, fareste un buco nell’acqua. Nella scuole sciamaniche dirette non è gradito lo spirito di iniziativa da parte del discepolo : deve essere il maestro a farsi avanti. Quindi, anche ammesso che le persone che incontrerete conoscano l’identità dei figli spirituali di Bill, sarà improbabile che si accollino la responsabilità di farveli incontrare.
Un po’ diversa è la situazione a Tuvalu (ho parlato nell’articolo omonimo del mio incontro con il tino faivelakau). Ancora oggi, credo, chi abbia i soldi, il tempo e la voglia di andare a Funafuti o a Niutao potrà entrare in contatto con i pochi superstiti di questa incredibile linea, che a detta di Bill costituirebbe la discendenza più incorrotta della scuola del mana : uomini tali soltanto in apparenza, perché i loro poteri sono di gran lunga sovrumani, da quello di cambiare aspetto fisico a proprio piacimento a quello di governare gli eventi meteorologici.
Il vantaggio rispetto alla Nuova Zelanda sta nell’atmosfera completamente diversa che c’è a Tuvalu, dove i Polinesiani vivono ancora secondo le tradizioni. Se lo straniero si comporta bene, gli è possibile accattivarsi la fiducia di un abitante del luogo ed essere accolto in seno alla sua famiglia.
Per quanto tutti conoscano personalmente i pochi tino faivelakau rimasti, non sono socialmente benvisti, perché la maggioranza della popolazione è profondamente cristiana e tende a considerarli dei miscredenti. Quindi dapprima negheranno la loro esistenza, poi la ammetteranno ma saranno riluttanti a farveli incontrare, e infine - con insistenza e diplomazia – vi sarà possibile ottenere un contatto diretto.
L’incontro con il tino faivelakau vi fornirà l’impressione di trovarvi di fronte a un pover’uomo ignorante, sciocco e svanito, e salvo un colpo di fortuna non vi sarà possibile cavare da lui un ragno da un buco. Ma per quanto stupido e insulso possa essere stato il vostro contatto, potete stare certi che il suo ricordo non vi abbandonerà, e col tempo determinerà nella vostra consapevolezza grandi cambiamenti.
A proposito del tino faivelakau che io incontrai, una cosa che non ho messo nell’articolo è che l’anno dopo, nel mio primo viaggio di ritorno da Nauru all’Italia (che fu il più rapido : stabilii un record di ventisette ore) lo incontrai su un aereo.
Stava seduto un paio di file più in là, ed era senz’altro lui ; o perlomeno era una persona del tutto identica al personaggio che incontrai quella notte, i cui tratti somatici non si possono dimenticare facilmente - alto più di due metri, fisico bestiale, il volto di un moai (almeno prima di trasformarsi improvvisamente in un vecchietto sdentato).
Fu soprattutto il volto identico a un moai dell’isola di Pasqua che mi rese sicuro quasi al cento per cento della mia identificazione. In precedenza, avevo già ritrovato quei tratti somatici in vari volti di Micronesiani, tanto da farmi riflettere che – sebbene Pasqua stia nel Pacifico sudorientale e la Micronesia a nordovest – potrebbe darsi che il popolo che creò i moai dopo aver lasciato Pasqua si sia trasferito lassù ; non avevo però mai più incontrato una persona tanto simile ai moai anche per… le dimensioni, con un faccione che sembrava davvero scolpito nella pietra - e inconfondibili erano anche i suoi capelli, lunghi e lisci, non crespi come sono quelli della maggioranza dei Micronesiani.
Il piccolo aereo volava, e io lo guardavo con attenzione, mentre lui – seduto più avanti – sembrava non essersi accorto di me. Visto in piena luce, sembrava non avere più di vent’anni ; parlava e rideva con un altro ragazzo seduto accanto.
Entrambi erano vestiti con gli abiti dimessi dei giovani indigeni : vecchie t-shirt mille volte lavate, jeans stinti al ginocchio, enormi sandali di numeri che in Italia non si potrebbero trovare.
Il loro comportamento tradiva quel mix di sbruffoneria e timidezza che da noi un tempo era tipico dei ragazzi cresciuti nei paesi : consapevoli che la gioventù sta offrendo loro occasioni irripetibili, e dispiaciuti per non sentirsi abbastanza maturi da approfittarne.
In ultima analisi, tutto sembrava tranne uno stregone. Cominciai seriamente a pensare di essermi sbagliato. Poi l’aereo fece uno scalo (non ricordo se a Pohnpei o a Tarawa), scendemmo tutti e ci ritrovammo nella sala d’aspetto ; mi avvicinai e gli chiesi quanto la sosta sarebbe durata.
Rispose two hours, e il tono incerto e un po’ aggressivo mi confermò l’impressione di aver di fronte un giovane sprovveduto. Pensai a quanto conta il caso nel determinare il destino delle persone : se fosse nato a Los Angeles avrebbe potuto diventare il nuovo Schwarzenegger, invece eccolo qui a vagabondare da un isoletta all’altra, magari con la prospettiva di andare a spezzarsi la schiena in qualche piantagione.
Sono passati quindici anni da quell’incontro. Questa notte (tra il 2 e il 3 settembre 2011) stavo dormendo, quando ho avvertito una sensazione strana : non mi era mai accaduto prima di provare freddo e caldo contemporaneamente.
Considerate una per una, entrambe le sensazioni erano razionalmente spiegabili : dormivo con la finestra aperta e da fuori entrava in camera un’arietta fresca, ma d’altra parte molto umida, e io dormendo mi ero strettamente avvolto nel copriletto. Ma provarle tutte e due insieme era una cosa talmente strana che mi sono svegliato di colpo : ho aperto gli occhi, e mi trovavo nella sala d’aspetto di quell’aeroporto. Il giovane sprovveduto mi stava di fronte ; i suoi occhi sembravano vuoti. Poi si sono illuminati di colpo, e un flash abbagliante mi ha accecato.
Riapro gli occhi quasi subito ; sono di nuovo nel mio letto, e il letto decolla. Questa è la cosa in assoluto più strana che mi sia capitata nella ormai lunga esperienza di spostamenti del punto d’unione : controllate ne Il lavoro sui sogni, rileggetevi pure tutte le opere di Castaneda, e mai da nessuna parte troverete che un sognatore sia partito tirandosi dietro il letto. Don Juan da qualche parte ipotizza la possibilità di viaggiare nei mondi di sogno portandosi dietro anche oggetti, ma Castaneda non lo fece mai, e non avevo mai creduto che fosse possibile.
Inutile specificare che non è stato il mio letto sul piano della realtà oggettiva a partire con me, ma un letto allucinato : tuttavia molto materiale, anzi pesantissimo. Ai vecchi tempi, quando mi spostavo in diversi piani di realtà quasi tutte le notti, non avrei mai avuto la forza di sollevarlo : evidentemente il non essere più riuscito a viaggiare per oltre quattro anni aveva accumulato in me - senza che lo sapessi - una quantità di energia sottile sbalorditiva.
Comunque, se era così, il sovrappiù di energia è durato pochissimo : mentre il letto si alzava, una brevissima fitta zigzagante dietro le spalle mi ha avvertito che il movimento del punto d’unione si era bruscamente frenato. Mi sono ritrovato a fluttuare in un piano di realtà estremamente vicino a quello della realtà oggettiva ; tutto quello che potevo fare era cercare di volare, con letto e tutto, fuori dalla stanza.
Al primo tentativo, il letto ha rollato lateralmente ; sono andato a picchiare contro il calendario sulla parete a sinistra, senza riuscire a attraversarla.
Ci ho riprovato, ed è andata meglio : scivolando nell’aria ad un’altezza di circa un metro e mezzo, il letto – accelerando proprio come fanno gli oggetti pesanti – si è spostato in avanti verso la parete di fronte, che è più lontana.
In questo modo, ha accumulato abbastanza slancio per riuscire a penetrarla ; ma a metà della traversata (questo è un problema che mi capita ogni tanto attraversando i muri e non sono mai riuscito a risolverlo neanche senza letti al seguito, figuriamoci con) mi è venuta paura che la parete si rimaterializzasse intanto che stavo mezzo dentro e mezzo fuori ; e nei mondi di sogno, aver paura di una cosa del genere equivale con certezza a farla succedere immediatamente.
Non è bello avere un muro che si materializza tagliando in due il tuo corpo (corpo sottile beninteso, ma vi assicuro che non è bello lo stesso). Ho provato un gran bruciore di stomaco, e un altro lampo mi ha temporaneamente accecato.
Ho riaperto gli occhi ancora, e stavo guardando dall’alto il portoncino d’ingresso del mio tempio voodoo (che in effetti si trova in linea con la parete che cercavo di attraversare, direi una dozzina di metri più avanti e tre più in basso). Ma questo non vuol dire che l’attraversamento del muro, malgrado tutto, fosse riuscito : è più probabile che lo spasmo allo stomaco abbia fatto schizzare il punto d’unione su un altro piano, sempre vicinissimo a quello della realtà oggettiva ma diverso dal precedente.
Difatti lì era già mattino, e poco al di sotto di me – negligentemente appoggiata allo stipite del portoncino del tempio – stava una signora sulla quarantina con giubbotto, minigonna e stivali di pelle nera. Vista dall’alto, mi sembrava in tutto e per tutto una prostituta.
Trovavo strano che fosse lì, e sono sceso (con letto e tutto) per guardarla meglio. Aveva capelli lisci e neri che mi ricordavano qualcuno. Quando l’ho guardata in viso ho visto che aveva la carnagione color terracotta, e i lineamenti erano quelli di un moai…
Allora ho capito che dall’alto avevo visto male : come accade nei mondi di sogno, la ricezione visiva era stata imperfetta, e il mio cervello aveva completato l’immagine a modo suo. Ma quegli abiti neri non erano quelli di una prostituta : era la tunica nera della Santisima Muerte Negra.
Il tino faivelakau si era vestito come la Santisima Muerte Negra, si era appoggiato al portoncino del mio tempio voodoo (che a lei è dedicato) e senza parole mi stava dicendo : qui devi venire !
Allora mi sono ricordato di quante volte mi fossi ripromesso, in quei quattro lunghi anni che non ero riuscito a spostare il punto d’unione, di recarmi nel tempio voodoo la prima volta che questo fosse accaduto, per celebrare i riti della Santisima in sogno.
Inconsciamente forse me ne ero ricordato, difatti avevo provato ad attraversare il muro nella direzione giusta ; ma le energie non mi erano bastate, e il maestro del mana era lì puntuale a rimproverarmi.
Dopo aver capito queste cose, il crollo energetico è stato totale : il punto d’unione è tornato a posto, anche il letto è tornato al suo posto e mi sono ritrovato in mezzo a un confusissimo sogno comune, nel quale le mie defunte zie invitavano inspiegabilmente la prostituta a prendere il tè sul terrazzo, e cose del genere.
Se mi sono dilungato su questa storia, non è solo per l’euforia di aver ritrovato la via dello spostamento : è anche perché per la prima volta ho avuto la conferma da un maestro del mana che le mie esperienze con le macumbe interetniche latinoamericane non gli sono sgradite. Questa è per me un’acquisizione che mi fa ben sperare di essere sulla strada giusta, e conferma le mie certezze riguardo alla sostanziale unità delle scuole sciamaniche.
E inoltre, perché di tutte le mie esperienze di spostamento quest’ultima – sebbene in parte fallita – è stata di gran lunga la più coerente sul piano razionale : non mi era mai accaduto di riuscire a trarre dalle esperienze precedenti una lezione tanto logica e dettagliata.
Mi sto chiedendo se questo non significhi, dopotutto, che dietro la scuola del mana c’è davvero un corpus teorico, e che stanotte – a quasi trentuno anni dalla mia iniziazione – sono riuscito a compiere il primo passo per impararlo.
Se ve ne ricordate, io a Tuvalu io incontrai anche Eruita T. - una meravigliosa ragazza che fu, per troppo poco tempo, la mia compagna. Come ho narrato nell’articolo Nauru, Eruita era sorella di S.T., il terzo e ultimo esponente della scuola che io abbia finora incontrato di persona.
Non so ancora molto di lui. Nell’articolo su Nauru trovate che speravo di incontrarlo nel 2009, ma vari imprevisti mi contesero quella gioia, e al momento non posso prevedere quando accadrà.
Ma da stamattina sto pensando se questo ritardo non abbia un senso preciso, e se S.T. non sia realtà la persona designata dai miei maestri per insegnarmi la teoria della scuola del mana, quando i tempi saranno maturi.
E quando tornerò a Nauru, andrò anche a posare un altro fiore sulla tomba di Eruita, che a pochi passi di distanza dalla spiaggia guarda per sempre il suo Pacifico.
Daniele Mansuino
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